Claudia Sogno (Amina Narimi)

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I testi di Claudia Sogno, spesso veicolati dal dolore e sgorgati con la veemenza che soltanto le emozioni fatali riescono a esternare, oltre che personalissimi, posseggono la capacità di condurre il lettore in una trama dal coinvolgimento universale.
Viene spontanea la constatazione di quanto la poesia possa, seppure parzialmente, placare la sofferenza ineludibile, mitigarla quel poco o quel tanto che le parole consentono, con l’icasticità di versi appassionati; come questi in cui, nel capovolgimento dei ruoli, è la figlia che maternamente abbraccia e culla, che si fa dispensatrice di cura e tenerezza:

“…La voce spezzata di mia madre
bagnata nei capelli come una bambina
appena nata
conteneva quelle parole:
“non c’è più niente da fare”

Sono versi ammaliatori, non permettono distrazioni, a volte con il timbro travolgente di un crescendo che cattura l’anima. A volte sussurri, delicati come veli, fluttuanti alla brezza dei ricordi, sospesi tra l’immanenza del vissuto dolente cui la poetessa non può sottrarsi, e la levità di un respiro che si affida alla speranza.  Speranza di un altrove, di un infinito (otto sdraiato) che pur essendo concetto umano, è paradigma del divino:

“dieci mussole sono le garze imbevute
gli ultimi sorsi d’acqua succhiata
dalle mie mani tre volte
tenevi tra le labbra sfinite le garze , come ninive
io pregavo te le porgevo e pregavo…”

L’amore che travalica spazio e tempo, che nella consapevolezza dell’impossibilità di governare gli eventi, sposta i confni al dolore, lo sublima nella liricità che a volte, scalpitante, inventa ancora vita, trasfigurata, d’oltre.
La chiave di volta del percorso poetico di Claudia-Amina è questa sua potenza evocativa, capace di suscitare grande commozione, e di significare l’esperienza umana attraverso la magia della natura, ricomponendola in versi.
A chi legge, il compito di immergersi in essi, di approfondire la dinamica della comunicazione diretta suono-parola, attinta a livelli profondi, nella sacralità che fonde mente e cuore.
Tra scarti temporali, viaggi esotici ed esoterici, Claudia ci conduce in un suo mondo mitico e misterioso, fiorito e luminoso, a volte in una galoppata felice che attraversa terre, colori, luci, in una caleidoscopicità polisemica che cattura l’anima.

Eva Sibrontič

                                        


La preghiera di Narimi

Quella notte la risposta fu abbagliante
quando mi svegliai
alle quattro del ventisette luglio
-corri da Lei-

Si era consumata a tre quarti la candela benedetta
il 2 febbraio di tanti anni fa nel giorno della Candelora
una donna di mare me ne fece dono
incartandola dentro una preghiera
accompagnò le sue mani la parola di raccomandazione:
“Accendila solo in caso estremo, quando non c’è più niente da fare.”

Durante questi venti anni l’ho conservata in alto
nei mobili più alti, più vicini al cielo, lontani dal dolore
Nei momenti difficili l’ho sfiorata poi sempre riposta
ho creduto non fosse l’estremo dolore quello provato
ce la posso fare-mi ripetevo-
deve esserci qualcosa di più grande
per convocare Dio
La voce spezzata di mia madre
bagnata nei capelli come una bambina
appena nata
conteneva quelle parole:
“non c’è più niente da fare”

dieci mussole sono le garze imbevute
gli ultimi sorsi d’acqua succhiata
dalle mie mani tre volte
tenevi tra le labbra sfinite le garze, come ninive
io pregavo te le porgevo e pregavo
narimi, sussurravo, rimani
negli occhi avevi non posso”
ed io ti ho implorato: Perdono

Nella notte piena mi ha inondato
la vigilia della sue parole
nella camera bianca, le sue braccia affaticate
lungo le mie spalle, a dire fai presto,
fai tutto quello che puoi, corri…..
-Non c’è più niente da fare-

Sono uscita dalla stanza
con un compito ben preciso da proteggere
Ho aperto la carta che conteneva la preghiera, la candela
solo allora ho compreso il senso, la misura esatta del tempo
e tutto il lago nel cuore

Quella candela sarebbe durata solo…
il tempo degli Angeli
si era consumata tutta, meno un quarto…
il tempo di raggiungerla
Il tempo dell’uccello che canta Narimi all’alba

Le cose aprono fessure segrete
i numeri tornano perchè così qualcuno ha prestabilito
sapeva da tempo mia madre della sua imminente partenza…
sapeva Lei, Zingara, tranne Noi
un anno di Vita..Kurskaja Kosà,
per prepararci al distacco…
credo questo sia stato il suo dono,
il più grande, L’Amore
le garze di mussola nel numero giusto
il solo fianco, il suo dolore le Ninive…
quante preghiere inginocchiate in un anno
gli amici del boscovecchio, le fessure i segreti la creta
di loro sempre mi chiedeva, dei Geni

Infine ventisei respiri…
Tante volte hanno girato le viti
alla vita la sua casa di legno, avamposto sul mare
Ho chiuso gli occhi…
a venticinque ho detto piano +1 è arrivato
… l’ultimo foro.. il sigillo a tenere il segreto
la neve
il rosso nudo del sangue, sciolto di ceralacca
un premio di luce
è una piccola pace quella che sento
nel tormento del lutto, l’amore
tante cose da dirLe ancora segrete, sfinite

Gli aghi dei pini cadono quando è ora….
quando è ora
Narimi
resta il dolore, contiene tutta me stessa
regge il mio passo, nel bosco, senza fiatare
fino alla radice del foro
stringo le mani le garze imbevute
le trasparenze degli occhi
chiari ,che niente nascondono
Lasciami l’ll tuo coraggio
-le ho scritto nel suo avamposto-
La tua paura di niente che mai hai avuto, deponi
nel cuore mio impaurito e solo
una niniva di mussola
sottile respiro di quiete, la neve
Ho messo nel pugno la corsa, durante la messa
la rondine, la traccia, il fianco, la tana
stringevo le zampe la cerva, il mio bosco
la niniva, come una figlia
l’ho messa ancora al seno, attaccata
le ho dato da bere la luce

Inginocchierò gli occhi, alle 7,45
come un muezzin canterò
ogni mattina, a quell’ora
come l’usignolo ….Narimi
UnaVoltaPerSempre…
Rimani
                     

-Stabat Mater

Mi pesano le braccia in casa
gli occhi si gonfiano per eccesso di dolore
non di lacrime.
C’è una donna leggera che mi attende
Silvana, luminosa
copre la mia ombra ancora
dilaniata
acerba come i fichi, sulle alpi i bucaneve

notti e notti che cerco di curare il cuore
in sé stesso più grande del dolore
più forte di tutto quel che c’è, che è
senza nascondergli l’accaduto
l’urna di luce si fa la sua grandezza insieme
la sorgente diretta della forza

Entro qui così, con gli occhi chiari
gli anelli stretti di ricordi
protendono nel suo vero nome
dicono…-Mammet! sono tornata….
fa quasi freddo già
non lascerò più la finestra aperta da domani,
solo poco poco, a giro d’aria.-

Non è incrinato il cuore, la voce sola stenta…
mormora che verrai, verrai a conoscerla
le braccia allora si fanno d’abbandono..
fa cuore nel mio viso la tua ombra
C’è una vita solo nostra- tua e mia-
estranea ai giorni, che scava gli occhi
più grandi dei silenzi
delle notti seminali abitate dalla fame,
una vita immobile ferma sulla radice delle cose
le Parole
Un’esistenza fatta di visioni splende “estrema”
-Più che vissuta contropelle è intatta, sai?-
nelle pupille chiuse evoca i nostri cristallini chiari,
non c’è polvere nel coraggio
non paura nella fame,
sta imparando che l’ll buio è un eccesso di luce l’ll nero
e niente è la parte di una cosa altra
che è l’unione del contrario l’ll suo splendore
vegliando sempre, come vestali il fuoco

Sappiamo nulla di promesse, di crudeltà, paralisi o consumazioni
ma possediamo la parola visiva del luogo
del dove giorno a giorno ricomponiamo mut(u)a la vita

Non credo sia esperienza la nostra, non la mia
nemmeno la ragione ci conduca
che sia rivelazione è l’ll mio sentire
voci che si chiamano in palude e non si vedono
rivelazione dell’incomunicabile
Quel gioco indicibile del silenzio con la luce
risuona senza requie apre una via al sempre
muove montagne di Ararat nei corpi assenti

La roccia non sa inventare…credimi
è così grande da dividere in chiarezza l’ll buio
nell’ora esatta di quarta vigilia ti chiamo
ognivolta sogno, stringo l’elefante
nell’orecchio debole gli accosto l’ll grande e ascolto,
indovinando l’ll gemito di quel bambino
se sarà felice …
afferro allora le ferite, le più profonde
dove la neve non si vede
le colmo di miele nel bianco delle vene
con le mussole che mi hanno messo a nudo
mi vesto, mi coloro
torno ogni volta a splendere
in Stabat Mater
e..sogno di quella felicità
che mi rimane

                 

DWA

Ve do vo, ti sillabo
padre, ma non comprendo
solo facce d’altro
altre facce al mondo
Tu sei chi: non sta in due
Dwa, la sola sillaba
l’ll nesso tra noi due
doppio l’ll tuo dolore
sempre figlia invece, io

                 

Il Si-Murgh

Siete venuti spinti dalla palude
dalla caverna magica d’acque scure
inconoscibili tanto uguali
nati due volte, tu e l’altro te stesso
fratello-madre insieme
nella grotta tiepida, dipinta d’ocra rossa
Quando tua madre vi ha partorito,
stava come essere il tuo doppio
gli è bastata un’occhiata,
pochi attimi allo scambio
soffiando nel cordone, nella pancia
ti ha dato il cuore, col respiro primo
tua celeste comunione, la placenta
magica come un’anima di terra
ti ha nutrito delle acque della vita
poi si è fatta soffio e ostia

tuo gemello-originale
offerto al simurgh

Eri grande che ti hanno svelato
l’anima d’uccello, la consegna tra le mani,
l’ll benandante
Qualcosa di numinoso e magico
che ti sospende ancora il fiato
nelle notti di quarta tempora
quando senti la chiamata
che ti fa volare profondissimo
a combattere gli spiriti
che tengono bassa l’erba
che non fanno alzare il pane
-Non uccidere la placenta
Non tagliare il cordone a tuo fratello
Lascialo morire di morte naturale
quel bimbo che rinascerà
anima-gemella-
Muta nei dialetti
la placenta
si vela al suono
“nati con la camicia”
Sessualità condannata, femmina
innominabile,
divinità madre
alle caverne ti leghi, alle acque scure
all’ipogeo, alla palude il parto
l’origine della vita
La tua paura, Uomo.
“Sacro” per te è l’orribile
inconoscibile del sesso
dove vita e morte si confondono:
la comunione nel corpo
il sangue della madre
la Placenta Celeste del bambino

Allora disegno contro il muro
contro il muro, sdraio un 8
ci metto dentro ciò che sono
chi mi nutre
ciò che mi piace. l’ll Simurgh

                              

La carovana della Sete

Diligenza di mussole
carovana della sete, le donne
diverse di lingue, di curiosità
con un solo sorso d’acqua
in vita, uguali
Tolgono di dosso la polvere
in un Hamman dedicato nelle ore
per lavarsi, coprirsi di confidenze
nei vapori di fumi confondersi le idee
con voci accennate a pena
tanto a servire(a bastare) il tono ,
il suono al senso di preoccupazione
delle donne in Tunisia

Più in là, all’ombra delle moschee
i veli egizi sopra i jeans,
muovono di grazia il Cairo,
delicati, l’aria di parole nelle donne

Lungo le strade, in Rajasthan, è mattina presto
camminano solenni le donne, come camion
colorate di saree , delle regine
i fasci sulla testa son corone, con_turbanti
parlano, accucciate nei campi
macchiano di colore
schiacciate la sera sul carretto
non tradiscono sofferenza, in piedi
tanto eleganti tulipani

Nel Gibuti le donne sono i Fiori
rassegnati di mutilazioni
di una terra secca, a tinte spente,
dietro i banchi di frutta colorati
sorridono, eleganti, per nulla intimorite
gridano la vergogna appesa ai cartelloni
in quell’angolo di terra in bilico
tra la pace ed i cartoni
Sono le Donne.. i fiori del Gibuti

Intanto, si diffonde il velo in Libano
di devozione e moda alternativa
scelta di giovani musulmane,
anziane tradizionaliste
fianco a fianco sul viso con la moda
e il codice dell’Islam tatuato
il hijab, prova a dire libertà

Le donne Amandebele pregano
e protestano sui muri delle case
arte che si tramanda madre in figlia
strumento di lotta, di resistenza attiva
la fanno con la luce, con il colore
pastamadre che ripete

In Madagascar le donne son formiche
sul continente rosso, nella montagna
scolpiscono la roccia, fino alla ghiaia
il tempo a colpi di martello
battono in processione,
gli occhi senza speranza
senza sfamare la famiglia

In Iran dagli occhi si dissanguano
nella luce le poesie concesse nude
dai piedi dalle mani Forough Faronhzad,
Tahereh Saffarzedh un brivido balbetta
nella gola preme a dirotto, schiocca
urlano le tempie come angeli in ritardo
in bianco e nero sulla città cerniera
la solitudine di una donna metàorientale
si scioglie e prega una forma nuova
una pioggia temperata di libertà

Siamo tutte spose
di ogni velo
di Libertà
                  

Alzale piano le tapparelle

Alzale piano, le tapparelle
-mi dicevi- amore mio
perchè sono gli occhi delle case.
C’è pudore nel risveglio
fiori
negli occhi deboli
tra gli spazi d’aria,
carichi di frutti,
un riparo
dalla meraviglia
che ci regala
lieve
la luce
se la tiri su
piano.

Un culto
istintivo
è già
amare

                         

                          

Claudia Sogno  dice di sé:
Porto Rilke sotto il seno, la notte sotto il cuscino.
Amo leggere scrivere correre, andare dagli alberi  -qui mi chiamano ClaudiadegliAlberi- Dentro al boscovecchio (dal testo di Buzzati) ho il mio rifugio, seguo i cervi .
Da quando mia madre è diventata invisibile quel bosco si è “incantato” , mi fa magie che mi vergogno a dire.
Ho sempre nascosto parole dentro gli alberi e lasciato nelle crepe delle case abbandonate dei pensieri miei o di Rilke, ma ora più che mai non vi resisto.

e dove vago
su LaRecherche : http://www.larecherche.it/autore.asp?Utente=amina.narimi

su Libero il mio primo blog : http://blog.libero.it/ClaudiaSogno/

su WordPress : http://aminanarimidotcom.wordpress.com/

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12 Risposte to “Claudia Sogno (Amina Narimi)”

  1. jual mukenah katun jepang Says:

    jual mukenah katun jepang

    Claudia Sogno (Amina Narimi) | il giardino dei poeti

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  2. maria allo Says:

    Magica !

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  3. fattorina1 Says:

    Mi piace questa poesia che ha sapore d’antico e affabulazioni femminili e sa di nuovo nel dettato.
    Sanno entrare dentro con una forza leggera ma non frenabile, sanno di vita e di morte, ma di vita soprattutto perchè gli alberi ci sopravvivono e portano oltre la nostra finitezza i nostri segreti, gli amori, le gioie.
    Narda

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  4. magia del fuoco Says:

    MAGICAMENTE riesci sempre a rimanere nella mia mente .

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  5. Blumy Says:

    bello ritrovarti qui in mezzo a tanta poesia dolce e spezzata e capire che non sei soltanto quella ragazza bella che scrive su fb due versi surreali (che a me piacciono tanto)

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  6. Amina Narimi Says:

    Ringrazio Eva Sibrontič, ringrazio tutto Il Giardino per avermi accolto tra Poeti Veri, un saluto speciale a Cristina Bove che leggo assiduamente un abbraccio a Loredana sempre generosa e agli amici che mi hanno lasciato un segno Grazie a Voi

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  7. Loredana Savelli Says:

    Leggere queste poesie è esperienza mistica e carnale insieme. Si ha quasi paura dell’immersione. Come un mare che esiste da sempre e tutto mescola, confondendo…

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  8. RagazzoEurialo Says:

    …il dolorespacca….il doloresaldaisogni…

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  9. angelorosa Says:

    un tempo per tutto, sotto il sole

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  10. franco Says:

    Allora è vero… “c’è un tesoro in ogni dove..” anche dentro gli alberi o nelle crepe delle case abbandonate.

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  11. tramedipensieri Says:

    …brividi di dolcezza… questi versi (e non solo)

    “…La voce spezzata di mia madre
    bagnata nei capelli come una bambina
    appena nata
    conteneva quelle parole:
    “non c’è più niente da fare”

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  12. Amina Narimi Says:

    L’ha ribloggato su amina narimi.

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