Fausta Genziana Le Piane

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Fausta Genziana Le Piane

__Gli Steccati Della Mente – Ed. Penna d’Autore 2009

 

DAL LABIRINTO AL CERCHIO MAGICO

C’è una continuità sotterranea nei libri di Fausta Le Piane, poesia, saggistica o narrativa poco importa, che attinge al rapporto dialettico tra vita e arte, inteso come work in in cui la poesia, tanto per stare allo specifico di questa riflessione, si fa epifania dell’utopia del cuore e terapia dell’io diviso.
Ecco, quindi, che alle “maschere” di “Incontri con Medusa” e “Notte per maschera” subentrano, dentro questi “Steccati della mente”, la “caccia”, le “stazioni” e le icone del “femminile” come varianti metaforiche del repertorio esistenziale.Maschere, insomma, che ancora una volta velano e svelano.
A cominciare dalla “caccia” dove preda e predatore si scambiano di ruolo fino a diventare una cosa sola; la stessa ossimorica dimensione della vita tra memoria e storia.
La caccia di “falchetta e falconiere” senza la volgarità dello sparo, senza il latrare dei cani o il calpestio degli zoccoli; solo il crudele silenzio del cielo appena increspato dal fruscio di un ala, da un lampo di sole che cancella il grido impercettibile della resa rapida e senza condizioni e, per un attimo, l’azzurro che si fa bianco lutto d’amore.
L’orizzonte capovolto promuove l’ebbrezza del vuoto stupore dove, senza più peso, vacillano gli “steccati della mente”.
Fausta Genziana Le Piane continua con questo suo nuovo libro, bello e intenso, il dialogo assiduo tra l'”io” e il “sé”; tra le sue parole “senza voce/nè sguardo/senza fine/nè limite” e l’impudica castità di donna-luna che non teme l’inquietudine dell’ansimare di un desiderio che, pur minacciato dal fiato pesante del disincanto, resta, tuttavia, eterno e indistruttibile come il cerchio magico delle pietre o delle orme dei passi cancellate dal dubbio di una “luna di sabbia” che è clessidra di un tempo senza durata.

Questa poesia è fatta di parole che volano libere nel cielo della sensibilità fantastica addestrate a cacciare sogni e poi a tornare, ubriache di vento e di luce,sulla pagina, fedeli al loro nido di carta che odora di cuoio e velluto come il “ruvido guanto” del falconiere.
C’è in tutto il libro una struttura compositiva nella quale immagini e concetti sono ritmati in un gioco di contrappunto dentro lo spartito poeticocche i colori del vissuto suonano nel tempo smarginato dove eterno ecquotidiano dialogano, s’interrogano e ti prendono per mano in uno spazio checla pagina non può contenere perché è la mentale proiezione di un viaggiocsenza una meta né un ritorno certi. Siamo dunque, ancora una volta, nel “labirinto”.
Come l’amazzone “aizza i cani nella notte/all’inseguimento d’un nobileccervo”, Fausta Le Piane “aizza” i versi nelle scorrerie di una indocile passionalità, pudica e scapigliata, leggera e furiosa.
Poi, all’improvviso, si accorge che è la poesia, come sete di verità e di abbandono, ad inseguire lei; all’improvviso si sente preda e tenta la “fuga”.
Anzi, vorrebbe farne la sua “strategia”, tant’è che evoca persino il suo teorizzatore e mentore, Henri Laborit, ma mentre lo scienziato e sociologo francese polemizza con la società tecnologica e virtualizzata che ha fatto dei suoi veleni la “kultura contro natura” dell’uomo contemporaneo, Fausta cerca e trova, o meglio, ri-trova la “cultura della pietra scheggiata” per ricongiungere, attraverso la poesia, la sua anima al cosmo.
“Rapidi viaggi”, “stazioni provvisorie e improvvisate”, “sudici marciapiedi.

….
Ma che stazioni frequenta Fausta?
Certo non “stazioni di posta” di polverosa e avventurosa memoria e nemmeno le liriche stazioni prevertiane, meno ancora quelle “spaesate” di Chatwin; no, quelle di Fausta Le Piane più che stazioni ferroviarie sono “porti di cemento per amori sbandati” dove lei, comunque, non approda; non può approdare perché è “roccia e isola” … “sbriciolata dalle onde in tempesta” Quindi in perenne viaggio e naufragio.
Anzi, a ben leggere i suoi versi, le “stazioni” sono la scenografia mimetica di una ribellione.

Le stazioni, quelle di rotaie, pensiline, scambi e deragliamenti, finestrini appannati, orologi polverosi e altoparlanti gracchianti sono sostanzialmente l’evocazione di una realtà subita, di una memoria double-face; quella della fanciullezza e quella dell’amore-assenza colte, entrambe, in viaggi verso stazioni non sue, non scelte, non amate: “ignote al mio vivere” scrive Fausta.
Per questo parlavo prima di “porti”; di moli più che di pensiline e si sa che ogni molo è solo “una nostalgia di pietra”.
In queste “stazioni” circola un’aria di rivolta, di rifiuto, di desiderio divento e sabbia estratti dalla “valigia di vetro dei sogni” per mimare “spiagge per distendermi al sole con te” ed invocare “un Fato voluto dagli Dei” per “un viaggio più ampio del mare aperto” in cui l’amore si fa corpo-mare; continente liquido da scoprire e conquistare oltre le colonne d’Ercole della mediocrità e viltà che scandiscono la banalità quotidiana.
E’ un esorcismo che funziona perché funziona la poesia di Fausta Le Piane.
Una poesia dove i deragliamenti del cuore sono imbrigliati da uno statuto semantico rigoroso e rigoglioso e il terzo livello della parola poetica nutre, come una linfa sotterranea, la griglia compositiva in cui linguaggio alto e basso dialogano in una sinergia di sensi e ragione di grande efficacia espressiva e coinvolgente emozionalità.
Basterebbe citare i versi di “Le isole” felicemente giocati sulla decantazione simbolico-rituale di una “svestizione” che è liberazione da ogni sovrastruttura culturale e da ogni condizionamento moralistico per approdare alla icastica nudità danzante nel perimetro degli occhi amati.
Quanto “Al femminile”, Fausta Le Piane disegna le sue “improbabili” donne con versi agili, animati da una forza volatile e decisiva.
“Volatile”, nel suo irridere con sottile e perfida ironia ad ogni deriva “femminista” e “decisiva”, nel rivendicare la declinazione “femminile” di una pienezza di vita che è affascinante sintesi dei contrari; parafrasi ossimorica di una orgogliosa diversità che, per dirla con Bernanos, “apre brecce di cielo dentro la vita” e che, come il diamante, è fragile e indistruttibile; riflette e rifrange una luce non sua e, tuttavia, basta una sua carezza per ferire a morte la vanità dello specchio e il vetro dell’indifferenza. Per questo Eva è, insieme, “smarrita e consapevole” e la donna del sud “incantata e saggia”; Penelope paziente e virtuosa ma anche “mai paga d’ignoto e di avventura” ; è madre-regina dal “tenero fiocco tra i capelli” ma anche “farfalla dalle ali che nessuno può spezzare”.

Ritroviamo poi in questa sezione del libro due costanti di tutta la produzione poetica di Fausta Le Piane: la prima è un rapporto con la natura che è continua “aggettivazione” di un “clima” e /o di una situazione …. “un pomeriggio ombroso”, “una preghiera all’ombra delle palme”, “io fungo rotondo/tu alga fluttuante”, “sii falasco sulle paludi del nostro piccolo mare”, “scacchiera di cielo e di mare”… e potremmo continuare a lungo.
Una “natura”, quindi, che è rappresentazione simbolica di un desiderio e di una perdita, o meglio, di una impossibilità che la parola poetica riesce ad inverare.
Non a caso Alcmane diceva di essere poeta perché aveva capito la lingua delle pernici.
Tanto per ricordare che la poesia è verità dell’inconoscibile; epifania del segreto mistero dell’indicibile che si rivela nell’appercezione sensibile di suono e silenzio promuovendo la ricomposizione unitaria dell'”io diviso”. Che è poi, tout court, il senso profondo della frase conclusiva del discorso di accettazione del “Nobel” da parte di Wislawa Szimborska…”la poesia è rimanere in silenzio in attesa di se stessi davanti ad un foglio di carta bianca”.
L’altra costante che connota la poesia di Fausta Le Piane e scorre nelle vene dei suoi versi è una sensualità diffusa e soffusa; fisica e mentale, che nella sua caratura espressiva si fa cifra stilistica.
Qui l’esemplificazione sarebbe deviante perché non si tratta di un’ aspetto particolare e magari significativo della sua scrittura ma di un climax direi alchemico, proprio nell’accezione di reagente metamorfico del senso che pervade in generale la struttura portante della composizione poetica.
Perciò suono e significato; ritmo ed idea hanno il ruolo degli strumenti in un’orchestra. Ciò che conta, allora, è la musica che scaturisce dall’insieme; ciò che ci trasmette; se e come ci “costringe” a reagire quando tocca le corde della nostra emozionalità. Quando, in definitiva, prima di “capire” “sentiamo”, ecco ciò che conta.
Perché dare tanta importanza a questo climax?
Intanto, perché è uno dei punti di forza della tenuta formale della poesia di Fausta e poi perché è l'”humus” che nutre e fa crescere e fiorire la verità dei “sentimenti” che questi versi esprimono emarginando ogni rischio di “sentimentalismo” o “romanticismo” di riporto.
Ma è tempo di tirare le fila del discorso e intendo farlo ritornando all’inizio di questa riflessione.
Là dove c’è un accenno al “labirinto” come possibile chiave interpretativa del libro e, più in generale, della poetica della nostra autrice anche se, è vero, la notazione non è una novità dato che ha formato oggetto di altre attente e acute letture critiche.
La ragione di questa insistenza sul tema sta nell’accezione di “labirinto”, un po’ diversa da quella delle altre indagini interpretative, che vorrei rapidamente evidenziare in questo contesto in quanto particolarmente significativa sul versante del rapporto, sempre misterioso e rischioso, tra arte e vita; tra Le Piane-poeta e Fausta-donna che mi pare però opportuno approfondire per una comprensione del nesso sinergico che esiste e resiste alla radice della sua poesia.

Per farlo cedo volentieri la parola ad Hermann Kerm col quale concordo pienamente laddove scrive che …”Nel labirinto nessuno si perde/nel labirinto ognuno si trova/nel labirinto nessuno incontra il Minotauro/nel labirinto ognuno incontra se stesso”.
Chiaro il concetto?
Ecco perché, tra l’altro, il “tempo” di questa poesia è un verbo tutto coniugato al presente.
Perché è un presente che marca il “continuum” dell’esistenza individuale come esperienza e processo; come ricerca ostinata e necessaria del rapporto tra “realtà e verità” che è, forse, azzardata scommessa progettuale ma che l’impudica innocenza del sentire può rendere obiettivo credibile e perseguibile.
E, del resto, “se vogliamo vivere il presente dobbiamo riscattare il nostro passato, saldarne il debito. E questo si può fare solo con il dolore che purifica”, cosi Cechov fa dire a Trofimov nel “Giardino dei ciliegi”.
Il “dolore”, infatti, è il filo rosso che lega le poesie di questo libro come le perle di una collana allacciata al collo della memoria sensibile e che colma “il vuoto puro dell’esistenza senza futuro” giacché, lo sappiamo, è difficile vedere il futuro quando è il dolore a tracciare la linea dell’orizzonte.
Dolore, non sofferenza; dolore che sedimenta il passato in esperienza, che rifiuta il ripiegamento elegiaco del rimpianto.
Fausta Le Piane non si piange addosso, non recrimina ma vive lucidamente il dolore non nelle ” ricordanze” ma nella conquista dell'”oblio” come forma d’incontro con un futuro, è  stato detto, privo di certezze ma che, tuttavia, non abdica alla speranza.
E’ cosi che la sua poesia “funziona” perché ci convince e coinvolge con l’impietosa innocenza della verità.
Fausta Genziana Le Piane, infatti, a mani nude, cuore aperto e lucida coscienza traccia con le parole della sua poesia il “cerchio magico” dentro il quale, finalmente, si dissolvono gli “steccati della mente”.

Italo Evangelisti

*

 

_____________

Carnac

Un granello di sabbia
attraversa tessere di vento
e si adagia
nell’incrinatura secca
della grigia pietra celtica
a rompere
l’equilibrio del tempo.

*

L’Amazzone

Aizza i cani nella notte,
l’Amazzone
all’inseguimento d’un nobile cervo.

Impazzita
per la preda che sfugge
azzarda
incalza all’orizzonte
dell’isola di Saint Kilda.

E non v’è che la parola
a dire lo strazio,
il giorno e la notte,
l’ora e l’infinito
del suo dolore.

E non v’è che la parola
a dire la caccia
e lo spirito inviolato
che corre sull’isola selvaggia.

Il viola dell’erica s’inchina
muto
al coraggio dell’Amazzone
alla sua furia
alla sua solitudine
al suo cavallo stanco.

Amazzone ispiratrice
guidami
a ritroso nel tempo

nel bosco sacro di querce
dove il cielo e la terra
sono un’unica cosa

nel cerchio magico della mente
dove le stelle
hanno eterna dimora.

*

Stonehenge

Un lampo
e la notte fu mistero.
La luna scese
lentamente
a posarsi
come bianco coperchio
sul cerchio delle pietre
che,
come lance,
la trafissero.

*

Stonehenge

Il cuore del gigante agonizzante
debolmente pulsa
al centro del cerchio magico.
Il Titano giace
senza forze
nascosto
nel cuore della Terra:
forse la sacerdotessa
lo chiama a nuove energie
sussurrandogli
parole d’amore incantate.

*

Fausta Genziana Le Piane: nata in Calabria, vive ed opera a Roma. Laureata in Lingue, ha insegnato francese e ha vinto una borsa di studio per la Romania. Ha curato le schede di lingua francese per la grammatica italiana comparata di Paola Brancaccio e adattato classici francesi per la scuola superiore. I suoi libri di poesie, “Incontri con Medusa” (Calabria Letteraria), “La Notte per Maschera” (Edizioni del Leone) e “Gli steccati della mente” (Penna d’autore) hanno incontrato il favore della critica. Con Tommaso Patti, ha pubblicato la raccolta di racconti “Duo per tre”, Edizioni Associate, Roma (Prefazione di Paolo Ruffilli) cui ha fatto seguito “Al Qantarah-Bridge”, Un ponte lungo tremila anni fra Scilla e Cariddi, Nicola Calabria Editore. Ha pubblicato una raccolta di racconti, “La luna nel piatto”, Edizioni Associate, Roma, con annesso un sedicesimo dedicato alla pittura di Pinella Imbesi e “Interviste a poeti d’oggi”, Edizioni Eventualmente, 2010. Si occupa di critica (AA.VV, “Clio e la parola-Critica e crestomazia della poesia di Maria Racioppi”, Nuova Impronta, 2003; Francesco Dell’Apa, “Dal tempo unico”, Città del Sole edizioni, 2003) e recentemente ha pubblicato “La meraviglia è nemica della prudenza”, invito alla lettura de “L’arte della gioia” di Goliarda Sapienza, Edizioni Eventualmente, 2010. Si occupa di critica (AA.VV, “Clio e la parola-Critica e crestomazia della poesia di Maria Racioppi”, Nuova Impronta, 2003; Francesco Dell’Apa, “Dal tempo unico”, Città del Sole edizioni, 2003) e recentemente ha pubblicato… biografia completa qui

Italo Evangelisti, poeta e critico d’arte. E’ stato autore di saggi e interventi, in particolare, sulla “scuola romana” e “l’astratto-espressionismo”; presentazioni al catalogo e interventi critici sull’opera di alcuni tra i più importanti artisti italiani, da Attardi a Calabria, da Vespignani a Gianpistone e Gino Guida, da Franco Ferrari a Bruno Varacalli e Giulietta Paolini o di giovani emergenti quali i pittori Angela Pellicanò, Gabriele Tagliabue, Serena Maffia, Giacomo Montanaro; lo scultore Francesco Marcangeli, nonchè di pittori stranieri di fama internazionale, quali la filandese Sojle Yli-Mary, il bulgaro Atanas Atanasov, la slovena Vida Slivniker e l’argentina Ana Negro.

Premio “Margutta-Comune di Roma” 1993 della critica; consulente artistico dell’Associazione – Accademia ” Art-studio Tre”; Presidente della giuria del Premio internazionale “Open – Art ” 2004, 2005 e 2006.
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2 Risposte to “Fausta Genziana Le Piane”

  1. faustalepiane Says:

    Hai centrato appieno il mio amato rapporto con la natura e la mia predilezione per alcune culture antiche (uso disegni celtici anche nei miei collages). Grazie!

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  2. Doris Emilia Bragagnini Says:

    “La falce, stanotte
    ha crudelmente reciso
    greggi di pensieri
    allo sbando
    nei recinti della mente”…

    Inizia così il primo testo della raccolta (intrapresa magnificamente da Italo Evangelisti) ma, durante tutto il tragitto, tra un testo e l’altro, si fa strada l’idea che nulla, di fatto, abbia potuto recidere la messe d‘immagini che spaziano tra ere lontane, visioni ancestrali, l’identificazione di un sé connaturato con gli elementi: terra, aria, acqua, fuoco e tutto quello che e vi intercorre nella sua forza pervasiva. Ne emerge una creatura fatta di sogni in perfetta fusione con la natura, capace di decifrare la sostanza di piccoli meravigliosi microcosmi preclusi ai più…

    Benvenuta Fausta…

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