Una foglia s’inventa le ali
Questa di Bianca Bi è una raccolta che sintetizza sentimenti e passioni tra percezione e pensiero.
Emergono le pulsioni del corpo, in modo delicato ma al contempo forte, quando gli istinti e i sensi sono ispiratori di versi come questi:
sei una mano alla maniglia tra una parola
e il punto, lo strappo del mare
tra una parola e l’altra
Il tentativo di sublimare è vano se non se ne accolgono i limiti, se non si sperimentano le modalità con cui vengono registrate dalla coscienza:
ho annusato la viscosità dei liquidi,
ho percorso le linee dure del legno
e le curve dolci dei suoi nodi:
piccole fessure sull’anima delle cose
Il linguaggio poetico si fa metafisico, in un’analisi che coglie ogni vagabondare psichico; tale espressione lirica, nei passaggi segreti, (come camminamenti rocciosi di quella stessa umanità che agogna a livelli più alti di comprensione), attraverso l’esperienza del corpo e le sue vicissitudini, diventa la struttura portante di una poesia vera, viva, non contaminata da romanticismi di genere, tuttavia pervasa di atmosfere sospese e rappresentazioni squisitamente femminili. Poesia che immette negli spazi in cui la misteriosità dell’esistenza umana si raccorda alle piccole esperienze quotidiane, e l’attenzione sui dettagli fa scrivere:
una foglia s’inventa le ali
e l’accompagna un sacro silenzio.
ché il sole acceca ma la pioggia,
la pioggia tace […]
(dalla prefazione di Cristina Bove)
Riflessioni dell’Autrice:
Cosa significa camminare facendo perpetuamente penultimi passi?
Il penultimo passo è l’affanno. Affanno dell’arte, affanno dell’umano, affanno della parola che è lì lì, è quasi quella parola eppure non è quella. La parola è intrinsecamente un difetto di costruzione, lo è sempre in tutte le forme.
Essa fallisce e fallisce l’umano perché non ammansisce le cose le quali sono “impiccate” e attonite. Scricchiolanti, dense. Le cose scricchiolano perché non riposano mai dentro l’involucro del linguaggio; lo rompono continuamente, la loro volontà è irremovibile.
Ma un penultimo passo è anche una devozione. La devozione a quel vuoto, a quel buco fitto che “pesa” e che è lo stare della corda a concerto finito** , o il suo stare
“spalancatamente a un passo dall’arco”.
Io davvero credo che questo penultimo passo, questo vivere tra le cose, “né a capo né a fine”, questo stare nel mezzo, essere sospesi tra due gesti, sia tutto; “il gerundio impossibile del morire” che è la vita.
**(Herbert)
Tu sei il rumore che si percepisce appena
tu sei il rumore che si percepisce appena
l’odore di luoghi nascosti
il galleggiante alla canna di un pescatore
tremante.
sei una mano alla maniglia tra una parola
e il punto, lo strappo del mare
tra una parola e l’altra,
il buco della terra
che si è aperto alla croce.
tu sei dolcezza dei liquidi,
sinuosa
sei una forma che si dona,
come una disperazione.
Stanza bianca
la quietezza dell’acqua
quando è ferma
oscura ogni voce:
le urla s’accasciano sulla secchezza placida delle foglie.
una stanza bianca attende
spalancatamente
sussultando a ogni accenno di
vento:
entrerà ancora un poco
il passerotto?
Ho toccato quante più cose possibili
ho toccato quante più cose possibili
indugiando sui perimetri dei petali,
sui contorni della carta.
ho sostato pulsando nel tempo del dolore,
ho annusato la viscosità dei liquidi,
ho percorso le linee dure del legno
e le curve dolci dei suoi nodi:
piccole fessure sull’anima delle cose
per leccare e bere
per riconoscere il mondo
di ogni giorno e ogni istante fermo nel presente.
ho tentato di fissare l’esperienza
disegnandola col mio caldo corpo
sulla superficie fredda del biancore
ma ho sentito un battito
e altro non ho saputo scrivere che cuore
raggelando i corpi alle parole,
di neve
uccidendole.
Istantanea
sono ore piegate queste
dai suoni sordi
i fili d’erba chini
al suolo
l’aria d’attesa intrisa
ma senza bramosia
così come il passero
che né vola né sosta dormiente
si lascia bagnare un poco
nel suo passivo stare
senz’ombre, e guarda:
una foglia s’inventa le ali
e l’accompagna un sacro silenzio.
ché il sole acceca ma la pioggia,
la pioggia tace.
A volte i tuoi occhi sono come gli stormi
a volte i tuoi occhi sono come gli stormi,
io non li conosco.
non so dire su quali superfici
si siano appena mossi,
sopra quali altri oggetti andranno
a posarsi dopo avermi percorso
quel poco.
e arriva un’apnea che si finge riposo del vento
il timore di un cielo acquattato sotto un vaso
e mi scordo dei nomi tranne per questi pezzetti
del tempo che chiamo piccoli addii
e le scarpe scomposte buttate
un po’ a caso
sembrano darmi ragione.
infine anch’io ho le sembianze di un vaso
e in agguato un silenzio…
perché dimmi come si fa a respirare,
parlare
stando nel mentre delle cose
– né a capo né a fine –
nel mentre di uno sguardo
in un frangente del precipitare
nel dovunque del cielo.
Bianca Bi nasce nel 1982, vive per 20 anni in Calabria tra mare e campagna.
Si trasferisce a Torino nel 2004, dopo gli studi universitari. (Scienze dell’Educazione).
Fin da giovanissima si interessa alla musica. A 12 anni impara i primi accordi di chitarra.
Sperimenta le arti visive con approcci al disegno e alla fotografia.
Parallelamente cresce la passione per la poesia a cui si dedica più intensamente in concomitanza con particolari snodi esistenziali.
L’attività musicale, iniziata nel 2002, consiste in una serie di brani composti, registrati e arrangiati rigorosamente in casa. Solo dal 2017, pian piano, stanno progressivamente vedendo la luce alcuni di questi. Si sancisce, con la loro uscita, l’importante passaggio da una composizione individualistica e arroccata a un’opera-messaggio che chiami in causa anche l’altro.
Per quanto concerne i futuri progetti musicali è massicciamente presente il desiderio di comporre e dedicare un album al Sud.
17 febbraio 2019 alle 12:40 |
L’ha ribloggato su biancabibloge ha commentato:
Grata a Cristina per l’ospitalità e al Gruppo Zaum per la pubblicazione.
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10 febbraio 2019 alle 13:54 |
Chiedo scusa per il ritardo nel rispondere. Ringrazio di cuore Cristina per l’ospitalità e le sue parole. Grazie anche a chi ha voluto leggere e a chi ha commentato. Questo giardino è fonte di grande arricchimento.
Con gratitudine,
B.
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10 febbraio 2019 alle 15:51 |
grazie a te 🙂
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3 febbraio 2019 alle 19:21 |
In questi testi mi sembra di cogliere un’ansia, un dover dire necessario, un’urgenza che a volte s’allarga. E straripa. Qualche parola di meno, qualche aggettivo di meno, qualche evitamento di più: non riesco a farmi piacere parole come “cuore” o “uccellino”, mentre mi sembrano di grande valore versi come
”stiamo io e te come due cose qualsiasi fatte d’onde e spigoli
cadute per caso da uno scaffale”
(avrei tolto “fatte d’onde e spigoli”, ma non fa niente.
Conoscevo già Bianca Bi e l’ho sempre letta con un certo piacere, nonostante, come ho già detto, qualche eccesso linguistico, a volte.
“La parola è intrinsecamente un difetto di costruzione, lo è sempre in tutte le forme”., scrive Bianca.
Mi sembra che l’autrice debba trovare la sua forma. A mio avviso, dovrebbe fidarsi maggiormente di se stessa e, qualche volta, lasciarsi andare un po’ di più a quel difetto di costruzione che caratterizza sempre la parola ed accettarne i limiti e la scarsità.
Ciò detto, sono rimasto piacevolmente impressionato e la mia è una critica (se lo è) costruttiva, perché credo che Bianca Bi stia cercando quella via di mezzo tra le tensioni che ci fanno esistere e che la troverà.
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