“Insorte” di Anna Maria Curci sonda i territori umbratili della parola, cioè quelli che stanno sul limite e permettono ambivalenza o plurivalenza, individuando un elemento sostanziale della poesia e della lingua: la polisemia. È chiaro, infatti, che l’esperimento riveste, per questo libro, un valore importante, ma allo stesso tempo non si tratta di un puro esercizio stilistico, perché al centro permane la manifestazione di un concetto, di un moto interiore, di una impressione e persino dell’inesprimibile. Per intuire una simile funzione speculare è sufficiente leggere il titolo, “Insorte”, come participio del verbo “insorgere” oppure come “stare nella sorte”, in mezzo alla casualità. Il doppio, però, è anche espressione del bene e del male, di dolore e di gioia, così come in più punti lo sono le tre sezioni del libro che, lungo tale discrimine non sempre chiaro per l’uomo, attraversano il mistero del mito, del patire, della stasi più o meno apparente. In tutto ciò, è la parola che recupera e chiarifica, custodisce la voce dell’Io e cura, però, come l’uomo, rimane sempre vestita di luce e di buio.
Giuseppe Manitta
Dalla sezione Tragedia e idillio
Psyche
Sussurra la sua voce tra i nastri
– scampati nudi alle quinte di bufera –
folle d’Amore per un’eco celata
nel sogno di fondali inesistenti.
S’immerge per lei ch’è inabissata
chi esplora le anse e i fondi del volere
– brama coatta deriva di corrente –
e recupera il filo e la parola.
Elce
Hanno attaccato al tronco una striscia
con l’altro nome tuo, quello maschile,
e “quercus ilex”, la doppia firma:
rifugio saldo, ramo sporgente,
appiglio a chi accede in altre stanze.
“Quercia di pietra” ti chiama un’altra lingua.
Una pena? Un passaggio? Un cambiamento?
Su squarcio di domande e all’erba secca
in silenzio offri ombra e riparo.
Ciane
di natura imperfetta e sete immensa
è l’essenza di scorrere e cercare
nell’intralcio di lacci e cesure
di paratie ferrigne arrugginite
fonte azzurra di pianto e condanna
è sosta e ripartenza di papiri
fiumi di metamorfosi disciolte
vicenda di addensare e rifluire
Dalla sezione Quando tace il latrato
Quando tace il latrato
Di notte quando tace il latrato
gli scuri si avventurano a indagare sul buio
Non che sia vero ardire
tastare cauto piuttosto
parete dura o membrana sottile
il gradino nascosto sull’uscio
il patire promesso
di timpani e trafori
Quando tace il latrato cambia voce
Aspetto
nel disordine compatto
Ustica, 27 giugno
Cos’è la verità? Uno specchio ustorio
parabola a difesa dell’assedio
stra-vaganza stracciona e assetata
lazzara sulla soglia di madama
menzogna che festeggia il compleanno.
Gocciano le bugie nei candelabri
per un desco imbandito e imbandierato
con caccia armati a carico sganciato
su vite esplose in volo. Schermo piatto.
Scacco al re e alla sua torre di controllo.
Sottotraccia
Questa è una storia di appunti fatti a pezzi
di fogli sminuzzati
di righe cancellate.
Questo è il puntiglio di un frammento perso
che ricompare graffio di una riga
sulla glassa che livella e ricopre.
Questi sono i bisbigli i colpi lievi
da muro a muro
mentre fuori è farsa.
Queste sono le note per gli accordi
il controcanto a pifferi e trombette
i vocalizzi muti i ponti a mente.
Dalla sezione Tolle, lege
Tolle, lege
Dietro i vetri i tuoi libri
custodiscono pagine da aprire
in tutti i tempi, dicono: tolle, lege!
Dato per perso, è pur tenace il filo
rincorso a capitomboli sventati.
Prende fiato e dal margine addita.
impalpabile sembra e consistente
impalpabile sembra e consistente
la tela che riveste le tue braccia
scavano quelle e riluce questa
del gesto del chinarsi ad ascoltare
le grida senza voce in sabbie immote
il gocciare sommesso nelle grotte
s’offre la tela e donandosi cresce
lo strappo non divide ma discerne
«Aria serena e di sostanza sferzante» *
Dietro l’altura
o dentro il caseggiato
sere d’incanto austero
attendi i pochi
aura anima aria
ampio orizzonte
sobria bellezza
sferzante di sostanza
serbi partenze.
*CSI, Brace
Trobairitz al pianto
Al pianto che martella
replica trobadora:
tu rivolta il berretto,
non distogliere sguardo,
canta e poi canta ancora.
È vuota la parola?
Te lo chiedi ogni giorno,
sopito e sulla strada,
ché si prosegue affianco,
messer lutto e scudiera.
Lunghi tratti in silenzio
e in sordina si accorda
la nota melodia
di pianto e menestrella:
vesti di luce il buio.