Archive for the ‘Alessandro Dall’Olio’ Category

Alessandro Dall’Olio

14 ottobre 2013

ale2

Amare e tempo

Rispetto al precedente libro (Non ho urla in me, pubblicato nel 2010), la nuova raccolta di Alessandro Dall’Olio ha qualcosa di diverso. Fin dal titolo. Pretende di essere ascoltata come un discorso che ha chiarito le proprie ragioni, rafforzato il proprio stile e mappato le proprie domande attraverso un lavorio filosofico intorno al “senso di questo stare”. Con una domanda si apre, infatti, il primo brevissimo testo

Ti hanno mai amato come meriti,

per tutta la durata di un amore?

il quale coniuga subito i due poli che catalizzano le riflessioni dell’autore con maggiore intensità: l’amore e la durata. Verrebbe da reintitolare l’opera Lieben und Zeit, vedendo l’organicità con cui i due termini sono collegati nella fondazione dell’individuo, che solo dalle due realtà “amare/tempo”, strette in tutte le loro devastanti, cicatrizzanti sfumature, si dà un senso.

   Proprio per questo intreccio la valenza del verbo “stare” del titolo si dilata dall’iniziale accezione spaziale a quella temporale. Comincia arpeggiando uno stare proprio, evanescente come l’aria «regina invisibile di qui attorno», continuamente chiamato all’uscita da sé, all’exsistere, dal richiamo magnetico dell’altra («in te leggo pagine / che mi chiamano altrove»). Prosegue indagando l’altra nel suo mancare, nell’impronta-traccia-segno calligrafico gestuale che propizia una presenza possibile («nella vasca una riga di sapone / che ha la forma dei suoi piedi puliti»), nell’orma cava che plasma nell’anima («ma non c’è trama o motivo / se ho vuoto di te»), nel luogo appena abbandonato («il vuoto della festa / che è stata / è solo la sedia / che ti accolse»). Finisce con l’assumere il senso di persistere, rimanere in un «tempo che non fugge», per quanto messo alla prova da «tormenti perenni», purché resti «nella mente per gli anni a venire / come certi odori sentiti nelle case d’infanzia».

   Come anche l’ultimo verso citato dimostra pienamente, marca di questa volontà di permanere, fragile e consunta, ma percorsa fino all’ipersensibilità, è il corpo, frontiera su cui si gioca (anche in senso politico) la disponibilità all’incontro. Preso da questo aspetto, il libro di Dall’Olio è una sorta di enciclopedia dei sensi, che vengono esplorati nelle loro potenzialità inedite e inebrianti, con «esercizio», con «attenzione migliore», fino a catturare quel «sapore di gemme e giacinti» per il quale si può mettere a rischio tutto, persino la facoltà di parola.

   L’ascolto rispettoso e assorto del corpo può aprire a una nuova forma di autenticità, più rasserenante e in un certo senso più sacra, per esempio nell’ultima sezione della raccolta, “Come qualcosa che comincia”. Qui è la «scintilla di un noi» che produce una «grazia disperata» contro ogni barriera di solitudine e può far fruttare anche l’elemento naturale per definizione più intermittente e vago, il vento, emblema, insieme al precipizio e alla deriva, di tutto il male del mondo. Vento, precipizio, deriva, diluvio, frana… non sono, infatti, altro che immagini che Dall’Olio moltiplica per mostrarci la violenza polimorfa di un movimento di rapina che si oppone allo stare, al persistere, di fronte alle quali anche oggetti tradizionalmente avversi, come il muro (come non ricordare la montaliana «muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia»?), il cancello, la fossa, smussano la loro negatività per la fiducia di poterli «risalire» grazie alla propria «passione» caparbia. Nei confronti di ciò che ghermisce e passa, invece, le armi del poeta si fanno più spuntate, l’atteggiamento più doloroso.

   In questa parte assistiamo a un’altra novità rispetto all’opera antecedente: la sezione, e quindi il libro, si conclude con alcune poesie alla madre. Veramente notevole è come il passaggio da un soggetto all’altro avvenga in modo quasi impercettibile, tanto le poesie per la donna amata convergono naturalmente in quelle per la madre, grazie al terzultimo testo che confonde i vincoli di sangue con quelli della volontà («madre, sorella, sei mia figlia / sei ciò che voglio come vuoi tu»). E questo non può non ricordare, se è lecito parvis componere magna, il Canzoniere petrarchesco, dove è la figura della Madonna a chiudere il calendario di passione dei 366 componimenti, quasi a dire che Laura potrà anche essere archiviata come un «giovenile errore», ma l’unica sorgente disponibile di divino, di ciò che è sommamente degno di adorazione, resta la donna. Rispetto all’autorevole classico, Dall’Olio non crea, però, opposizione tra una donna-Medusa, capace di pietrificare l’anima con il suo ritrarsi, e la Donna-fonte, che porta «refrigerio al cieco ardore», bensì mostra il confluire senza tagli o soluzione di continuità di un femminile luminoso, ma cangiante e imprendibile come l’arcobaleno, in un femminile titanico e protettivo («stringevi la mia piccola mano»), guida a zone inesplorabili come il confine delle età o addirittura della morte. Di fronte a entrambi gli aspetti dell’Altra, la fedeltà del poeta non indugia, non deflette, permane nella sua salda condizione di devoto. Inabissato e innamorato.

Maria Luisa Vezzali

Dove sono i silenzi
tra le grida del mercato?
Attraversiamo questo ponte
offerti come merce
agli sguardi ciechi
di passanti frettolosi.
Obbligati, come siamo,
a spremere le ore di questa vita
che ce ne chiede sempre il rendiconto,
dimenticandosi di noi.

Non so chi sei e non so cosa è la felicità.
Però quando una si presenta anche l’altra si avvicina.

Il vuoto della festa
che è stata
è solo la sedia
che ti accolse.
Non ricordo altro.

L’amor pavido vive di sopite menzogne.
Senza sosta parla di frattaglie
per il gusto di vuotarsi la bocca,
evitando di urlare le cose più vere
per il timor di riempirsi il petto.

Non c’è abbastanza bene per tutti
la sua carestia passa
compromette il peso
di sentirsi respirare.
Un’aria poca che si incanala
da qualche parte,
ma mai soffia dove ci
si sente spersi,
dove vagano muti
i corpi digiuni.
Ci vorrebbe altro bene,
si carichi nelle stive
si scarichi in ogni porto,
si costruisca di nuovo
e più grande.
Spargetelo su queste distese
increspate,
su! fatene teatro,
torrente impetuoso per tutte le rive.
Si sollevino, dunque, le nostre fronti
di contadini chini
davanti a un altro giorno di grandine.

Vorrei prestarti i miei occhi
e sostituirli ai tuoi per un’ora.
Poi portarti davanti a uno specchio
per farti vedere cosa vedo io
quando ti ho davanti.

Staccare il sentiero dal prato
e lasciare ferita la terra,
evitare il buio che incombe
un minuto alla volta,
trovare nelle mani l’unione,
nelle culle l’inizio,
tra le righe un a capo.

Mi consegno al nessuno con cui vivo
A quel dardo scoccato
che sbaglia il centro e si piega.
Mi racconto, convinco,
mi ricevo e costringo
a raccogliere le frasi
cadute tra i sassi,
le impilo, le imploro
di rimettere in circolo
motivi di vita
niente affatto casuali.
Scendo, mi scavo
mi perdo, mi sfido,
ringrazio, mi scuso
di questa pioggia d’angolo,
di queste penombre
che mi trovano sempre.
Sono io che non trovo
Il tuo foro d’entrata,
sono io che non provo
a intimidire la fede
sono io che non trovo
il senso di questo stare.

con gli abiti.
senza abiti.
mi abiti.

Cerca tra le virgole e le viole
Nel bisbiglio che fa un albero che spunta
nei colori che chiedono un ballo.
Fammi tana dietro le lacrime.
Pace liberami tutto.

BIBLIOGRAFIA

Dall’Olio Alessandro, Non ho urla in me, LS Gruppo Editoriale, Bologna, 2009.

Dall’Olio Alessandro, Il senso di questo stare, LS Gruppo Editoriale, Bologna, 2012.

Das Pons kompakt Wörterbuch 3. Auflage, Zanichelli/Klett, Bologna, 2006.

Großwörterbuch Deutsch als Fremdsprache, Langenscheid, Deutschland, 2003.

Zingarelli Nicola, Lo Zingarelli, Zanichelli, Bologna, 1997.

Pollicino Simona, Traduzione e poesia: Mallarmé traduttore di E. A. Poe, Arco Journal, e-journal del Dipartimento di Arti e Comunicazioni dell’Università di Palermo, 2004.

Carotenuto Carla, Teoria e prassi della traduzione letteraria. Analisi testuale di Senilità tradotto da Carmen Martìn Gaite, in Frammenti di Europa: riviste e traduttori del Novecento, Metauro, Pesaro 2003.