[…] Squarci di visioni da cui trapelano istanti di tempo condiviso, memorie che chiudono come in un geode cristalli di felicità. Eppure “ Nulla rimane anche se cento mani / ricamano il vortice profondo che confonde / le mie parole incastrate nel mondo./ …………/ Sei stata una passione, / ora sei gesto di estrema solitudine. […]
(dalla prefazione di Narda Fattori a “Ultimo tocco”)
INEDITE
*
“Parole”
Le mie parole hanno il giogo dell’edera,
strette ai rami, irrequiete al vento per ricordi,
cingono la solitudine in quel nodo
che il nostro amore mostrava insaziabile.
Lungo il tempo hanno un palpito delicato
inseguono il rumore della gente
che non conosce la soglia del cielo
e cede all’ombra dei frammenti
tra le ciglia e gli sguardi.
L’orizzonte incide la tua assenza,
che aleggia timorosa indecisa
nell’eterna vendetta dell’infinito.
Hai negli occhi il fulmine d’autunno,
impertinente e violento, quasi un gioco
che risplende innocente fra le ciglia
e ricama motivi dell’inganno.
Vorresti intrappolare le moine
come un esile fiore che improvviso
spezza il lungo silenzio, e fra le dita
disperdi il labbro sensuale e dolce.
Soffice nuvola dai capelli neri
racchiudi nel sorriso l’invito clandestino.
Per te l’autunno, spettacolo a colori
che ti scopre le spalle, il seno, il collo,
vorticando gli azzurri nella grazia interdetta,
anche se taci il fulgore, ritorna fuori campo.
*
“Il segno”
Segno ancora sul calendario con matita a colori
una data precisa per non dimenticare
la stagione che ripete inganno,
e ripiego smarrito in cerca di quel volto
che l’attimo dissolve.
Non cancella l’eccezionale insistenza
la tempesta dei gesti che incidemmo,
il riflesso di una piacevole ombra
che scivola con insistenza.
La speranza che leggevo nell’occhio smarrito
è clessidra interminabile lungo smagliature,
urla sillabe insensate e mi costringe
alle tempie, ossessione indiscreta.
Qui tutto è fermo nell’attesa:
un azzardo del buio che mi circonda
oltre le rughe sempre incise per gli occhi,
ed il volto di donna che ricorre a memoria
fulmina il baratto nel gioco che precipita.
La tua ora recita combustioni
nella finzione di una danza,
e rotola nei vuoti per giocare un agguato
al ritorno improvviso del nulla.
Il passo lascia un segno ancora vivo
anche se il copione è coppa fuori tempo
esatta fuga che scioglie il fulgore di una follia.
*
“Silenzi”
Rimane solo il silenzio nella penombra,
riconosce i profili ancora incerti,
nelle attese continue di un sussurro
per ritornare ai profumi della tua carne.
Ascolto l’inganno che la sera propone
nell’assurdo trucco della mano sospesa
al vuoto della stanza, in questa vecchia casa
dove tutto è memoria.
Il tuo nome, il tuo nome Elena ricorre
per le mie vene in ultima illusione:
s’innesta la febbre alla polvere,
il capo chino ripete ritorni nel tempo
per sorprendere vertigini nel pensiero che oscilla.
Una disperata finzione mi sorprende
e chiudo gli occhi per sognare il tuo labbro.
*
“Vertigini”
Sospesa nel fulgore della luce
una scala riporta le illusioni
del cielo, un cielo argento,
che sospende il chiarore dell’alba
nelle incoerenze di nuvole impazzite.
Il volo dei gabbiani riconduce
al perdono di visioni imperfette,
quando nel raggio lungo del colore
tu ripeti solitudini per confondere promesse.
Il passo incerto nelle tue braccia raccoglie
il tempo dell’abbaglio e non nasconde
l’arco che piega le tue gemme sciolte,
ed è un sospetto il nero del tuo profilo
così folle all’attesa, nel gioco attento al richiamo.
Contenere l’immenso respiro
è la promessa del fulgore.
Il ricordo ha l’incanto del sogno,
il profumo del baleno che rincorre,
che varca i mari del naufragio,
che inghiotte le illusioni,
e la memoria inciampa nel miraggio.
Vorrei che la penombra diradasse il mio dubbio
nel nuovo inganno della seduzione,
rabbia e fantasia delle occasioni mancate.
Riappaiono le tentazioni smarrite
nel laccio di quei gesti ad altri ignoti
e ripeto l’intreccio dei silenzi
del tuo svanire.
*
“Azzardo”
Inquieto mi distacco in un certo naufragio
confuso nel passato ricco di armonie.
Frenetico il giorno tuo, tra le memorie
depositate su foto maltrattate:
riempivi il profumo dell’onda
schiudendo spazi frenetici al termine del giorno.
La veste in angolo ha smarrito il sorriso,
effimera intacca cristalli senza neppure sfiorare
il tocco di falangi,
col tepore di una luce evanescente
chiudo l’azzardo.
Forse volevi dirmi ancora che mi ami,
ma il tuo labbro è rimasto serrato nell’istante
in cui tutto è svanito.
Brucia ancora l’incanto dei tuoi occhi,
il segreto sospiro della tua tentazione,
l’ampolla del tuo lungo raggio,
ora che le sembianze sono assenza
scomposta in fotogrammi incontrollati.
Vorrei fermare il raggio della luna
per pulsare memorie nel vuoto dell’attesa
e offrirti almeno soltanto qualche verso.
*
“Troppo breve”
Troppo brevi le nostre estati, dei tuoi primi sorrisi,
in attesa di rincorrere, illusi, le vertigini della luna,
fragili per gli anni della gioventù e ignari
dei confini inafferrabili.
Meraviglia ancora nel gesto, inquieta
nelle voluttuose carezze alla scoperta
del brivido inconfessabile.
Umido il cielo offriva il giro dell’amore
svelando lontananze e saccheggi,
ed ora minaccioso mi spezza il cumulo dei giorni
nell’attimo stesso della mia solitudine.
Chi sa, se tu potessi tornare, un sussurro
per ripetermi amore leggero e clandestino
mi convincerebbe che non sei mai morta.
Sotto l’eterno dubbio di vocali ormai inutili
ravvivo le tue guance sorridenti,
in un baleno che il pensiero sconcerta
per rincorrere quelle tue delicate carezze,
in parabole di atomi in frammento
di questa foto che mi lusinga a sorprese.
Sfioro il respiro nella memoria e aspetto
una benda strappata alla passione.
*
“Sere”
In queste sere modellate dalla luna
affiora il disegno di una sfida al tormento,
il rifiuto delle illusioni che inseguimmo
per quel gioco che chiamammo amore
e che ci avvinse nel delicato respiro.
In queste sere le pieghe dei miei versi
hanno ritrovamenti inaspettati, qualcosa
che tanto tempo prima era nel palmo ed ora insecchisce:
carezze del pensiero nell’errore che sfiora l’irrealtà.
In queste sere, quando la stanchezza contorce,
i fantasmi hanno sensazioni nella forma del distacco
perché l’incanto non ha più rimembranze.
Non gioco più con il tuo piede nudo
che tentennava al minimo sospetto,
tra le coltri ed il lume, contro le ore
che affannavano a chiazze di segreti.
Una pietra focaia muta ogni cosa
intenta all’astragalo che gemma di rimpianti,
senza tempo, per farmi allontanare dall’insonnia.
L’abbaglio è musica smarrita che suggerisce il pericolo
nel turbare incantamenti e riportare occasioni.
Simile a un sospiro il sorriso è gemito del buio.