Persi nel cerchio dell’essere
Queste sette poesie costituiscono l’attacco di una raccolta (al momento in cerca di editore) che si intitola Persi nel cerchio dell’essere. Il titolo platonico-parmenideo, o neo-platonico (in verità polemicamente anti-tutto-ciò) manifesta comunque un atteggiamento filosofico di fondo, che sente il mondo come fatto di cose e di parole più o meno con il medesimo peso, ma niente altro. Niente idee iperuranee, niente Dio, nemmeno un io su cui appoggiarsi con confidenza. Solo un senso di basilare sospensione nel vuoto; e in questo vuoto c’è il rapporto con le cose, con le parole (come dire con gli altri e con il mondo), ma senza certezze. Le parole e le cose ci arrivano e ci colpiscono, e tra queste c’è naturalmente anche l’io, una cosa (o una parola) tra le altre, solo vagamente più familiare.
Siamo persi nel cerchio dell’essere, perché l’idea di essere ci infonde una certezza fondamentale, ma ci fa perdere poi il rapporto con tutto quello che non è riducibile a idea. Queste poesie sono l’inizio di un viaggio nella consapevolezza di questa dispersione, tra rivelarsi dell’illusione e drammatica pregnanza del mondo che ci pervade. Lo conosciamo, non lo conosciamo, il mondo… ha senso parlare di conoscenza se cerchiamo di sfuggire l’illusione dell’io? Chi conosce?
O sarà forse che quello di cui ci troviamo alla ricerca è una sorta di accordo, in senso musicale, una sorta di andamento che si trovi in sintonia con un qualche andamento del mondo, delle cose o delle parole. Così si giustifica l’omaggio William Blake con cui si apre la raccolta, con il riferimento a una poesia che parla della creazione e della poesia, dove le parole sono cose, paurosi correlativi oggettivi persino nell’ordine in cui sono state messe. Ed è la medesima cosa che si cerca di fare nelle poesie che seguono (e in quella stessa, naturalmente).
Feroce
le foreste della notte ci hanno travolti del tutto
bruciando brillando siamo quelli che vanno nel mondo
senza gravi simmetrie e senza lance di lacrime
senza torcere le viscere di nessun cuore violento
di nessun cuore violato quando il tuo cuore ha iniziato
a battere quale torbida mano quale terribile
piede quale mia illusione di passione perfezione
di morte di imperscrutabile splendore quale altra
vicissitudine estrema può richiamarci al modello
arcaico astruso, feroce
Capire il messaggio
se cerchiamo di capire il messaggio, eccoci di colpo
persi eccoci nuovamente figure lontane, sintomi,
allusioni a un’impressione di verità, se cerchiamo
di comprendere il messaggio, afferrando la chiave, eccoci
improvvisamente persi, istantaneamente figure
lontane, lontane, fragili, lontane figure fragili
di incomprensibilità, quando cerchiamo di capire
e non ci siamo, non siamo vivi non restiamo veri
non viviamo, non restiamo nemmeno cerchiamo più
quando ricerchiamo, eccoci di colpo persi, fragili
e lontani e dimenticati
Riconoscere il dettaglio
nella voce della voce che ti parla con insistenza
riconoscere il dettaglio insinuante intraprendente
rintracciare sfumature di un’identità controversa
nella voce del peccato nel peccato del peccato
nel dettaglio di una voce di un’identità sfumata
nel disagio del dettaglio nell’angoscia della voce
che non è mai veramente stata voce ma memoria
memoria atroce memoria del peccato e del peccato
della mia voce insinuante e delatoria sorprendente
controversa identità nel parlare e nel morire
sfumatura identità nel peccato e nel morire
delatoria intraprendente che ti parla sino alla fine
Rime
io sono ben consapevole della mia identità
scarsa ondeggiante irrisolta andante debole sconvolta
ogni volta che cercando il nocciolo rassicurante
si sonda in profondità afferrando solo altro, tante
voci fàtiche molteplici consequenzialità
automatiche e abbondante viltà quando si reprime
il sospetto che persino nell’anima non dissolta
non risieda nessun io, ma imperversino le rime
Versando
stiamo versando dell’acqua, siamo dentro una versione
tralasciata delle cose, teniamo la brocca in mano,
stiamo versando dell’acqua in un catino bianco, siamo
versati pure noi dentro la versione abbandonata
lasciata dimenticata dispossessata del mondo,
siamo perduti nei versi, riversati come acqua
bianca in un catino, pure noi abbandonati spersi
perduti tra righe ignote, rime che suonano strano,
una versione scordata della canzone del mondo,
disarmonie inconsistenti, gorgoglio dell’acqua bianca
nel catino bianco, al culmine dei versi
Ma come?
ma come? ma come siamo deterministicamente
così assiduamente in moto? così eternamente pronti
al fare al sognare al vincere all’illusione di valere
più del mondo che ci mette pedissequamente in moto,
pedestremente dinamici dinamitici come
scintille infuse al tritolo, motorini interminabili,
stantuffi, pulegge, vortici, entusiasmi di perpetua
pirotecnica esistenza, scaturigini pensanti
ma come? e come restiamo così privati di colpo
del tempo, del senso, della soluzione che consola
Di un angelo
è l’immagine di un angelo non quello che si precipita
giù dai cieli con le ali da drago bensì l’altro
sterminatore dell’Eden luminoso con la spada
che ci sta davanti entrando nel buio della navata
duecentesca buio anch’esso e tutto di legno scuro
quasi eroso dalle acque di un diluvio improbabile
ma ugualmente spaventoso ad ambiguamente accoglierci
nella sua alterità arcana con la sua tromba di legno
scuro dentro il suo profondo essere immagine a sua volta
del numinoso di mezzo quasi che il caldo di giugno
là fuori potesse fare davvero appello alla materia
secca e vera quella calda che a toccarla ci brucia
quasi come la sua mistica lama