Archive for the ‘Davide Castiglione’ Category

Sebastiano Patanè

30 ottobre 2015

se gli angeli

ora che il piano si è dilatato come un’onda
-parlo dello spazio tra noi- che ne sarà delle parole appese
nate morte e d’arroganza separate dalla lingua
dall’immaturo battito cosciente solo di memorie e vuoti da riempire
non importa di cosa come se tutti i volti avessero la stessa bocca

c’è gente là fuori che necessariamente vuol dare un senso a tutto

se gli angeli smettessero di volare il cielo ci cadrebbe addosso
e nemmeno centomila seni/cariatidi reggerebbero la corsa
forse un sorriso che spazzi via le cartacce dal balcone oppure
l’ascoltarsi senza condizioni finché dura questo camminarsi dentro

per continuare… qui

 

Davide Castiglione

25 luglio 2015

.

.

In certi dialetti

Ci mancava anche la pioggia,
non per nostalgia
– per un contesto credibile. L’ho lasciata
presentarsi come temporale
estivo e da poco
(«è che io… è meglio finirla qui»)
fa a metà il suo dovere, la sua furia sottile
riempie i cedimenti
dell’asfalto. I suoi lineamenti
no: distesi, stranamente
distesi, e cambiandomi
quanto mi doveva
(«vattene, sei uno stronzo/sono abituata a star male»)
ha risposto mettendosi in piedi
la voce («non sono sorpresa,
sai? non si cambia»).

Mi è stato semplice affliggermi
e sollevarmi,
affliggersi-sollevarsi
è un gioco da adulti. Ho pensato
agli appunti, soprattutto
al remoto prossimo
in certi dialetti:
oggi piovve.

altro qui

Pier Maria Galli

9 luglio 2015
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[litoranee] (10)
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le rose burrascose
a vento
cessato
ci fanno causa sopra i muri spogli:

(raffigurare è un movimento totale)

– da scriverci che l’inverno
è una passione
fredda

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[litoranee] (8)
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‎‎‎‎‎‎‎‎ questo mai toccarci
nel luogo che si spoglia,
magrissimo dire di giardini
sino alle foglie per la foglia,
e nulla c’è che insiste più
di quel vento che solo
scriviamo

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altro qui  

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Davide Castiglione

13 ottobre 2012

La poesia di Davide Castiglione

Il primo brano del poeta è tratto da “Per ogni frazione” ed afferma: “È tardi“, qui c’è un’urgenza umana che diventa simultaneamente irruenza poetica. “Un’infinità di vicoli mentre giriamo a vuoto“: è la condizione su questa terra, cercare e non trovare.
La ragazza, che accascia la fronte nel gesto di sconforto, diventa, implicitamente, emblema dell’anima umana e della fraternità compassionevole del poeta, che sorride esteriormente come quasi sempre quasi tutti facciamo mentre soffre dentro di sè quella giovane vita inchiodata e silenziosa, senza rilievo.
Nella poesia In certi dialetti lui lascia lei. Piove. Egli dice: “«è che io… è meglio finirla qui»”.  Poche parole apparentemente aride, la ragazza gli risponde: “«vattene, sei uno stronzo/sono abituata a star male»)”.
Il linguaggio parlato comune armonizza perfettamente entrando in poesia.
La pioggia bagna tutto e disegna i lineamenti di lei.
Ed egli pensa al “remoto prossimo” in certi dialetti: “Oggi piovve“.
Oggi ci lasciammo, finì.
Tutto si trasforma immediatamente in passato storicamente morto e lavato via.
In Inediti la compassione del poeta è volta verso l’ape morente sul battiscopa mentre il suo posto era il fiore. Sarà pestata, si passerà l’aspirapolvere, una spugna bagnata di acqua, una lavata e via, tutta la fatica del miele per nulla, è arrivato l’inverno, la ruota della vita ha girato. Il parallelismo con la condizione umana è implicito e, proprio per questo, tanto più efficace. I poeti non spiegano le cose intuite, dicono soltanto i titoli del proprio pensiero, tocca all’intelligenza del lettore dedurre, capire, ossia ricevere quella parola e farla propria.
La ruota della vita ha girato così come il destino de La lattina è quello di ruotare finendo nel fosso, ma potresti anche ritrovarla nel pendio, ferita e ancora ferita, anche qui il parallelismo è implicito, ma chiarissimo: l’uomo come la lattina.
In Un ritorno è sempre la pioggia protagonista e, in primo piano sull’acqua pianto del cielo, quel “tergicristalli, a tergiversare“, che slitta dal semplice gioco di parole, tanto in uso oggi, per passare dal concreto all’interiore del dubbio umano: cosa scegliere, che fare, chi voglio davvero? E conclude con la “tenera presunzione” che la ragazza lo attenda da dietro la porta.
Poesia annebbiata, certo, che si arrotola su se stessa per sgrovigliarsi all’improvviso seguendo i movimenti di quel tergiversare giovanile.
L’ultima poesia presentata è corale: la folla che si accalca nei megastore fino dall’alba dei giorni festivi, cosa ci vanno a fare? Sono i poveri e i soli, anche se Davide, come sempre fa, non lo dice esplicitamente, ed in mezzo agli altri vecchi ce n’è uno che gli sorride, appena il tempo di intravedersi fra la folla e già il ragazzo è andato via ed è tardi per entrambi, “giustamente“.
Ma quanta coscienza di incomunicabilità in quel “giustamente” che separa il giovane dall’anziano, con in più una punta di amaro per il mancato avvicinamento di due uomini soli.
E per concludere riallaccerei “È tardi” di questa poesia allo stesso “È tardi” della prima.
Davide, che oggi è un giovane uomo, di sè direbbe: vissi.
Anzi: Vivemmo.

Domenica Luise

.
Da Per ogni frazione

*
È tardi un’infinità di vicoli
mentre giriamo a vuoto. Di là una ragazza
accascia la fronte, aspetta.
Non si consuma
la piccola doppia tragedia,

i suoi minuti infissi alla porta senza suono
il mio soffrirli in tutto il sorriso che vi mostro.

In certi dialetti

Ci mancava anche la pioggia,
non per nostalgia
– per un contesto credibile. L’ho lasciata
presentarsi come temporale
estivo e da poco
(«è che io… è meglio finirla qui»)
fa a metà il suo dovere, la sua furia sottile
riempie i cedimenti
dell’asfalto. I suoi lineamenti
no: distesi, stranamente
distesi, e cambiandomi
quanto mi doveva
(«vattene, sei uno stronzo/sono abituata a star male»)
ha risposto mettendosi in piedi
la voce («non sono sorpresa,
sai? non si cambia»).

Mi è stato semplice affliggermi
e sollevarmi,
affliggersi-sollevarsi
è un gioco da adulti. Ho pensato
agli appunti, soprattutto
al remoto prossimo
in certi dialetti:
oggi piovve.

Inediti
*

Sul battiscopa la sua dolce industria
le rimane aliena. Parlo di cose più grandi
di noi, di un’ape che si arrampica,
malamente – ti suono lontano, al telefono, e quella pena
in salita, che non potrà salvarsi
da ricami sull’esistenza e da merletti accaniti
si stacca; è un corpo
per terra; tòrto; terminale.
Capiterà di pestarlo; passare
l’aspirapolvere la spugna e via.
Avrò strisciato un ciao sempre più in minore
e chiuso, avrò passato l’aspirapolvere, e via,
mentre l’acino scheletrito ascende e va alle stelle
la fiducia alla tele, l’annuncio
che la stagione si apre in grande
e macché cadere lei dolcemente scendeva
dal pendio domestico, che l’inverno è anche questo.

La lattina

Sulla lattina – al solito vuota,
lasciata sul pendio – puoi dire che
ha la condanna di rotolare
sull’unica faccia
da conferma, reiterata;
che conosce al punto da far scuola
i trucchi per abolirsi
gli attriti. O puoi rischiare, buttandola
là, che il suo inseguirsi è un cercarsi, là
dove andrei con tutto me stesso salvo
di persona: nei fossi. O anche… ma intanto
la lattina – né astuta né audace:
la lattina – è alluminio non riciclato da
33 cl. A volerla colmarecosì in obliquo
potresti perfino ritrovarla sul pendio
ferita, riferita.

Un ritorno

Perché adesso la tristezza fa qualcosa
come arrivare, come successe
che è poco,pochi anni fa.
Acquitrini, casolari, autunno,
tutto il bell’inventario del malinconico…
c’entrano zero.
Come non guidando
pioggia porta a tergicristalli,
a tergiversare. Un elenco fanciullesco.
Ma se espropriarsi è appartenerti
l’ho prescritto male,
perché ne manca alla tenera presunzione – l’ho avuta –
di aspettarmi arrivare da dietro la tua porta.

Nei festivi
Nel week-end sono in tanti si accalcano dall’alba all’ingresso
dei megastore. Uno stretto
ai propri dintorni e affezionato al campo lungo
disapprova; si promuove cordone
di contenimento.Non lo dice ma direi che spera
in una particella di sé
nell’onda di ritorno. Quelli vibrano insieme, trasmettono
da loro a loro – da loro a lui ci passa la solita storia
del cerchio e della tangente ferita,
la sua distanza amplificata a duemila decibel dentro lei.

Nel fine settimana è l’aspettare di un vecchio da fermo
o da seduto, da preghiera.
Si rassegna fiduciosamente e sta sull’uscio
– monocromo, o della strabiliante lungimiranza.
Allora cavalletto
e volontà di renderlo dal vero:
come se l’intuizione possa supplire all’età
che manca. Finisco col ritrarmi invece,
sono via e lui già l’aveva capito
in un sorriso che appena e giustamente è tardi.

.

Nota bio-bibliografica

Davide Castiglione (Alessandria, 1985) si è laureato a Pavia in lingue e letterature straniere (inglese, spagnolo, ungherese) con una tesi su Sereni traduttore di Williams, e da settembre 2011 è dottorando all’università di Nottingham, con una tesi che applica la linguistica alla poesia contemporanea angloamericana. Suoi testi sono apparsi sulle riviste «L’Osservatorio Letterario» e «Capoverso», nonché sulle antologie Viaggiatori sotterranei. La nostra parte invisibile (Subway, 2008),Tredici cadenze, (Puntoacapo 2011) nonché sulla Antologia della poesia in Piemonte e Val D’Aosta (puntoacapo, in uscita a novembre 2012). La sua raccolta d’esordio, Per ogni frazione (Campanotto, 2010) è stata segnalata al premio Lorenzo Montano. Nel 2008 ha vinto ai concorsi «Subway» e «I poeti laureandi».È attivo anche sul versante critico, con recensioni e articoli su blog e riviste. I suoi interessi includono la traduzione letteraria, la poesia contemporanea, la stilistica e la semiotica.

Altri testi in rete (l’elenco completo delle pubblicazioni e degli interventi critici è nel sito personale www.castiglionedav.altervista.org):

http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/542-Davide-Castiglione-Per-ogni-frazione.html
http://miolive.wordpress.com/2011/03/24/manoscritto-davide-castiglione/
http://www.poesia2punto0.com/2011/11/01/particelle-per-ogni-frazione-davide-castiglione/
https://neobar.wordpress.com/2011/12/14/davide-castiglione-per-ogni-frazione/#more-7441