Riproposte
https://giardinodeipoeti.wordpress.com/2012/01/18/elia-belculfine/
I
Un epistolario di Melville
Ritrovato in una basilica benedettina.
Svolgevo i miei studi
sulla relazione fra
il tempo meccanico e lo spazio
Lessi di un seguito al suo Moby Dick – perduto –
Le conservo gelosamente, fino ad ora
non ne avevo fatto parola.
Una bozza-
La balena ______catturata__in fine.
“a me le ossa, a me
il grasso”
Non volli credervi. Bruciai tutti i miei testi raccolti in anni di sete errabonda. L’attesa è solo un attimo prima di essere felici, non
esiste altro motivo
che giustifichi un ristagno sotto i cieli verdi – e le parole sono gli specchi _traversati da Alice, confluiti in questo tropo insulso: il trattenersi,
l’essere nudi contro la didattica delle
fo_r_m_e.
*Non sono uomo ma posso umanizzarmi.
Non sono pazzo ma per cinque minuti al
giorno indosso le vesti di giullare
senza il permesso della contea, studi che mi
comprovino i sonagli.
Né le mie vene hanno il sangue blu degli schiavi
bambini. _________ Ma riportami i fulcri della grande luce.
II
Ho avuto molti amanti
Alcuni di loro dai capelli azzurri di Pierrot
Altri tentarono
Di vedere la mia bellezza, li maledissi per sempre, ma nelle notti
senza lume
evoco ogni amore irragionevole,
Attraverso i mari dell’indifferenza,
e mi inabisso
nel mio mietuto igneo che è il cibo dei poeti
E dei trovatori.
III
Osservo la sua danza, mia sorella la notte,
stelle guizzo d’acciughe fra le varie modulazioni della frequenza pensiero
Non sono mai uscito
Dal centro di igiene mentale.
Il piccolo chiostro
Su cui gli infermieri spalancano le finestre
Piene di impronte digitali
Tutte uguali.
IV
Né oggi né per quello che chiami domani,
io benderò la supernova rossa del mio respiro, lo stesso vale per il tuo. Ma lasciate che sia
come uno scricciolo fra
Gli arcolai del
rovo, lasciate che dall’alto
del mio albero io canti il mio
poema di gioia.
– Picchiettio di piedi scalzi. Crepitio di fanali –
E ancora
mi duole che _in questo
abito di seta io tanto cocciutamente sia
corsa dietro a cento
cappelli rubati dal vento,
a tale amore __daltonico. Fischiante.
Quale ingenua, e dici
vantarmene – l’ insidia incessante __delle
mie __povere __carte.
Quante stelle in una chela
di granchio!
ROBIN
1
Da dietro il suo triangolo
mistico, l’incerta voce arricciolante –
passa i piatti con la polenta,
batte con una candela accesa ruvidamente il rullante;
un nuovo dio è solo un motto.
La terra da pagare, la terra da fare supplica. Ogni volta quella pena
spigolosa negli occhi, come
uscisse da
uno specchio fino a sbucare nel salotto con il lampadario
di Murano e le poltroncine
rosse di velluto. Un centrotavola pieno di datteri
di cristallo a grappoli.
Diceva che sarebbe sempre stato
quello che sarebbe
potuto essere___________ il desiderio non durò che un attimo
Tanto a lungo trattenuti i fuochi cadranno e scrosceranno giù lungo la grondaia.
insopportabile piuma dell’avere
i segni di un lento umido accoppiamento
con la propria forza.
___________
2
La Venere di Warhol scese con un cesto di papaveri
nel grembo, in quel mattino
di neon accesi sopra le incerate a fiori, e un mangianastri fra le mani, l’Om del pesce
rosso e gli elefanti comprati con tre sacchi di arachidi
nella legnaia. Bip!
Scese dal muro in cartongesso.
Mi confessò . sono una spacciatrice_______________________
riscrivendo quel suono sopra le mie squame
poi allunga la mano in un
sacchetto pieno di
occhi di serpente; toh, dice questo è un regalo,
la prossima volta però me lo paghi.
Come credi possa permettermi un elefante?
______________________________________________________
In bilico fra equazione e disequazione, fra Saffo e Alceo
che per un ragazzo sono la stessa cosa.
________________________
3
________________________
Il Colosso di Rodi si sta polverizzando
giorno dopo giorno.
Gli scimpanzé hanno costruito cunicoli ovunque, dedali di rumore –
sarà difficile raggiungere il __Giordano
senza perdere qualche uomo.
Non siamo puri, non a questo giro di boa,
con il parabrezza ghiacciato
su cui raschiano i tergicristalli,
e i limoni nell’abitacolo, raccolti dalle mani
di qualche dea dell’amore.
Si va.
O Mari tranquilli, voglio una vela aperta come una finestra.
Ho bisogno che qualcuno mi battezzi
nel nome dell’uomo.
_________________________
_______________________________________________
_________________________
4
L’abate di Montecassino
per cinquemila euro
ti faceva entrare nella Fiat – Oh, Lili Marlene, conservo le uova
della tua ultima cova. L’abate scoperto e trasferito._________ davvero
umile e pio e savio ——–
Mezzo insanguinato, dovevi proprio sputarlo
qui il tuo salva-denti?
*
Mia moglie era a un funerale:
Un oscuro uccello becca il grasso tra
l’oro dei cadaveri
Noi siamo i barbari . parola di Dio
staccando il prete il crocefisso dal rosario
di perle di fiume.
Il crostaceo ha la corazza rosa e dura: un soldato giocattolo a cavallo
e incomincia a puzzare, <<gettalo nell’acqua appena bolle,
metti a candeggiare i piattini delle offerte____
Avremo ospiti a cena>>
Comico, davvero. Gente di mare di sponda
gente di sabbia
e di rabbia e di bibbia. Visitai un cimitero, strapiombo sul mare;
nella cappella c’era una panca che avrei
voluto rubare – O Francesca
O Laura,
O Beatrice
– Credo che ogni poeta ____________debba avere la faccia del
boxeur dopo l’incontro. D’esser solo e di solo poter dire.
Ero l’ultimo arrivato e mi toccò di mangiare
la polenta avanzata, fredda
dolente | nella serale __quiete. tamburo basco battuto
da una coda di lepre. Chi laverà___________
tutti i cucchiaini? Chi getterà queste ossa
di pterodattilo ai lupi?
La poesia di Elia è un ibrido di pensiero, eventi, sintesi fulminanti e piccoli particolari determinanti all’armonia totale nella quale tutto il suo essere fluisce. Egli ama la poesia come ama la sua donna e questa carnalità possente si percepisce benissimo: la notte “dolciastra” “scoppietta fra i denti”, sicché noi la assaporiamo e la sentiamo come un fuoco d’artificio che vive prepotentemente. I capelli della donna amata hanno i colori dell’olio nuovo, ecco, assumono corposità liquida giallo verdino: non si può davvero dire che qualcuno, prima di Elia, abbia usato tali aggettivi, metafore e mescolanze. Un modo poetico di porsi azzardatissimo, che nelle sue mani è semplice, ma soprattutto sovrabbondante, sicché una metafora ne genera altre e ancora altre, la sua poesia diventa infinita, non incomincia e non finisce: c’è ed è circolare.
“Come ogni donna tu ami con il sangue pieno”: l’innamorato trae una regola generale dal proprio caso particolare, se poi questa meraviglia sia vera o no è secondario, non gli interessa.
Volevo anche dire qualcosa anche sui suoi “a capo”. Per un poeta moderno, che si affida alla musicalità interiore piuttosto che alla metrica e rima esteriori, gli a capo sono fondamentali e mai casuali. Eppure quelli di Elia arrivano imprevisti, come se uno avesse parlato di seguito a lungo e alla fine, a caso, gli mancasse il respiro. Allora ecco lo spazio bianco, senza una regola, che lui non mette dopo il punto, ma riprendendo fiato quando non ne può più.
Per fiato intendo la sua pienezza poetica e la sua novità.
C’è una grande naturalezza espressiva, che viene da un pensiero poetico costante. Non si sente alcuna costruzione o sforzo creativo, che egli sorvola anche quando un pullulare di metafore emergenti l’una dall’altra dovrebbe creare una boscaglia, e invece qui c’è uno strano ordine disordinato, dove ogni parola si mescola senza unirsi del tutto, ma riemergendo in colori puri, prepotenti, caldi e intensamente umani.
Egli non teme di chiamare “amore” la sua donna, “venuta per resuscitare i morti”, e di esprimere anche il male della vita :”ed ogni cosa è aceto”. La sua poesia è da godere come una bevanda dai sapori confusi d’incanto non stridenti durante una giornata di caldo e di noia. Non è una poesia facile perché l’irrazionale e il razionale s’intersecano formando una strana linea di pensiero difficile da commentare, ma semplicissimo da assaporare. C’è anche un altro elemento che soltanto la grande poesia lascia: si rilegge e nuove sfumature rapiscono, sicché uno dice: ancora la miniera non è esplorata, il più e il meglio rimane nel fondo dell’iceberg.
.
Nemesi
Sto con la tua voce, adesso,
donna piena
di lemma.
Adesso è spazio, non è tempo, quello che non ho, neppure un granello ne ho piantato
in riva al mare. Ma una scusa vale l’altra.| E’ una notte dolciastra, attesa
da una vita, scoppietta fra i denti,
mentre pilucco preghiere
di cui non
ricordo la fine e mi rincresce di non avere
modo per invocare
una specie di pietà sensibile,
una rinuncia definitiva.
E’ mia nonna che me lo ha insegnato: tenere sempre in bocca qualcosa
mentre si prega, ma che sia piccolo, un tipo di isola
possibile.
Anche un chicco di riso può andar bene, quando mancano i simboli
e non resta che la stanza vuota, nemmeno il camposanto
di quell’estate a precipizio sul mare, e
i tuoi occhi scuri battuti dal vento
sopra una tolda ventosa,
pieni di relitti e di
aeroplani.
II
Sei coscienza,
sangue, e questo specchio lieve che mi unisce a ciò che è fuori.
E sei, e i tuoi occhi, ciò di cui
un uomo non ha paura, li ho conosciuti,
il sole era grato di
risplendere
fra i tuoi capelli quel giorno, almeno sembrava.
Hanno il colore dell’olio nuovo. La notte non è cieca qui, ti
vedo nei primi amori lavati con spazzola di ferro,
i primi, battezzati con la tempesta nel
cortile della
grande casa.
Tua madre raccoglieva la pioggia per le piante in una grossa tinozza azzur_
ra messa fra i gerani, e ti innamoravi di tutti questi
fantasmi, lo credo. Era il tuo sangue che
amava. Come ogni donna tu ami con
il sangue pieno.
E sperperi l’amore per il mondo.
Oggi sfioro
la tua luna. Tua perché tua
Tua perché hai pagato.
La sfioro con la piuma d’oca delle mie dita. No, non è una piuma!
è una cava di ardesia, perdio! ma la mente
è un albatro, questo è certo, e il corpo
si sfilaccia sempre più facilmente.
Pesa essere un figlio.
Ogni giorno, amore.
III
Credo
di non aver mai sperato così forte, prima.
Credo molte cose. Credere una cosa non significa necessariamente escluderne un’altra.
Ma è così che un uomo diventa uno che se
ne intende
di cassette di sicurezza, di davanzali e spifferi,
dei desideri, della polvere che può intasare i polmoni;
andando per eliminazione, fino a una
specie di salvezza.
Mi hanno allenato
a morire, nient’altro mi
riesce meglio, sai?
Scassinare e scrivere.
Nonostante tutti i discorsi sul vento e le rane e il fatto che a un ladro non si paga
la vecchiaia. Ci vorrebbe una domanda adesso, su questo
specchio d’acqua di neve sciolta
fra i pioppi,
un quiz a sorpresa come sui banchi
e non ho nulla da
chiedere. Nemmeno so il tuo nome e se sei una.
Ma sento crescere in me la parola,
proprio ieri invocavo
un caos irreparabile,
come deve sembrarti una lacrima usata per
gioire. Per essere felici soltanto
Perché impazzisco sempre più spesso negli ultimi tempi –
Un demonio lo si trova per ognuno ed ha una sola voce.
Non vuoi proprio dormire con me?
Scrivo ogni cosa aperta a pochissimi fiumi,
non compatto – io – e bestemmiando sul fondo del bicchiere
Perché è lì, nel convivio, che
è scritto il nome del
poeta.
IV
I tuoi occhi staranno senza eccezione
fra i teatri più animosi della luce, li vedo già coperti da lenti scure
Non si parlerà di
risurrezione senza scrivere in calce
la parola malleveria, senza associare il tuo respiro a
qualche grossa banca.
Vendono le nostre mani nel mercato
in piazza, amore.
E giro con la moneta del sole fra le dita
non è poi così calda, sai?
Ma fa ribollire il
sangue
Ed ogni cosa è aceto. Fresco contro l’arsura delle arroganze.
So che guardi costeggiando questo mezzo buio su poche
vecchie cose portate da amici
che non vedo da anni
so che guardi e stendi il velo della bellezza senza che firmi in cambio nes
sun assegno e il mio animo sobbalza quando ti siedi e
stranamente la sedia non diventa
un trono.
Ma ti accoglie come accoglierebbe chiunque.
Non ne so costruire
E’ di questo che mi vergogno, perché cerchi la sosta, ed io qualcosa
da non finire. Continuerò a contare le cose che non
sono accadute, cose andate in malora per via
di certe parole.
I balconi lasciati alle pietre, alle erbacce.
Ma il mio cuore è un’isola
incantevole, ogni infarto da poco lo ha fatto –
non ci sono tesori al mondo, amore.
L’anima è aria, desiderio.
E anche gli ultimi smetteranno
di parlare.
Novembre
Lo scenario – il tuo
sangue incrinato – la coppa di una grande divinità indiana – la tua
terra – la moltitudine nei bar sovraffollati, la sera prima della
grande festa – Vino, eternit
Rituali e tramonti: il
Titolo è della poesia
di Vittorio, e inforchi il tuo arcobaleno perché le
strade qui da fare a piedi
lasciano piccole
vesciche nella suola delle scarpe. Bmx. In fin dei conti
sei cresciuta guardando il meteo sul terzo
canale, guerre stellari,
come premio per il buon contegno. Sbuffando
per un riflusso della bile,
ingoiato l’ultimo
boccone.
II
Il testo. Risicato, preso da una locandina
della sagra del borgo medievale –
banda popolare, i
fagioli
bolliti in un trogolo di cotto.Sostenuto – primadonna – tu che piagnucoli, ma è gioia, nel vedere
che tuo nonno Vincenzo ha un posto davvero accogliente,
su al cimitero vecchio, nella
cappella di San Felice.
Perché chiedere un sorso d’acqua?
Su questo avrei da ridire,
amore mio.
Il mio, di nonno? Mi ciba da anni – resoconti
– anitre selvatiche –
marchiati a fiamma ossidrica nella mani di mia madre. Come
aprire un lunario rubato di sottecchi
al tempio
al centro del giardino, fresco: l’albero mzimu, un abete di 30’anni,
in cui
si incarnano gli spiriti dei miei gatti – ne ero certo, qualche
anno avanti – E’ da qui che dobbiamo ripartire.
Staccare il frutto prima
che sia maturo,
III
bagnarci la lingua nell’acqua di scolo dei Poeti, ora che il giorno lo
scagli nel fiume della fontana, sasso dopo sasso. Deve
venire la gioia, sollevando le cortine da
sopra agli occhi
confusi: quello che tu hai cercato,
quando la follia spuntava cocente nell’animo illogico:
un filo d’erba che spacca la zolla,
muto
e intralcia le normali faccende dei morti: punti, sanguinano
e cadono in polvere.
Lasciatemi dormire – la sala vuota,
qui, dietro la coulisse
del mondo –
non ufficiale. Generico.
Doppio.
IV
Con la sola luce dell’ora di pranzo. Levata in alto, aerea, la cantilena
dei forasiepe tra i castagni di quest’estate, camminavamo
tra gli alberi e i pali del telefono,
nudi come solo
gli innamorati possono essere,
ci sgolavamo giù per il fosso:
l’insostenibile bascula dei pensieri. – Una danzatrice
del ventre, occhi pieni
di insegne tutto esaurito, in qualche
trattoria, simbolica:
coreografia;
donna maestosa, dea del minuto e
dell’ora viva.
Zoppica, vestita di tulle rosso. Ha i tuoi stessi occhi feriti come
una colomba, il tuo fiato che si squaglia
nell’acquasantiera.
Sei venuta per recitare la parte dell’Imperatrice.
Selvatica. Sorpresa mentre
sollevi la mano
contro i tendini della luce gelata. Sei venuta.
per risuscitare
i morti.
Piccolitudini
#8
Luna calante
Si incendiano le orbite dei versi;
luna crescente.
#9
Le mani fredde.
Cosa bolle sul fuoco?_ Un
rollio di culle.
#10
Ora mi sveglio.
Trent’anni ho vissuto
Acqua chiara.
#11
Crepita il tempo;
ho scritto lettere piene d’amore.
La forma di antilope.
#12
Siamo in 2. La rosa
e la forbice. Un giardino
pensile.
#13
Spacco una mela. Non avevo mai avuto
così freddo. Scrivo a una
vecchia fidanzata.
Mi chiamo Elia Belculfinè. Sono nato a Caserta il 29 settembre di qualche anno fa. Scrivo poesie da prima di quella data (mi pare altissimo dirlo, ma non mi prendo molto sul serio, a dire il vero).
Abito a Caserta con la mia compagna.
Elia
il blog di Elia Belculfinè