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Emilia Barbato

25 novembre 2018

 

Tutto si svolge all’interno di un cuore che sanguina preventivamente sul distacco e la compassione. Si scandiscono ore presenti e passate col metronomo di un tepore umano onnicomprensivo, non solo un tu/io ma un ordine dove non esiste gerarchia fatta di personale, piuttosto un avvolgente sguardo d’abbraccio al pullulare di voci. Note scandite nella polifonia che investe ogni substrato umano, animale, vegetale, perfino l’inanimato emette il proprio gemito o la propria ode. Emilia Barbato sa farsi interprete del variegato mondo delle “piccole cose”, di minimi e grandi sommovimenti, dei sentimenti assoluti che per lei disarmano ogni sicura, schiudono lo scrigno, offrono il dono prezioso di una fine rielaborazione degli eventi. Il setaccio poetico qui diviene pentagramma sul quale luci e ombre si rincorrono, come le speranze e le paure chiamano o si smorzano, come piccole gemme intermittenti che proiettano il loro segnale in codice, restituito dall’autrice in preziosi grammi di tangibile significato esistenziale.

Il rigo tra i rami del sambuco di Emilia Barbato (ed. Pietre Vive settembre 2018, illustrazioni Nadiya Yamnych.) è lo “spazio” dove l’autrice convoglia e cristallizza i fermoimmagine che per comune determinatore hanno il dolore provato per la malattia della madre, ennesima vittima di una nota situazione di degrado e sprezzo ambientale, quello della “Terra dei Fuochi”. Divisa tra senso d’impotenza e tenace ricerca di un qualcosa che apra alla salvezza, il suo sguardo si volge all’esterno, si posa d’intorno, quasi a trovare un appiglio, un sostegno che sappia squarciare il buio e restituirle l’integrità parcellizzata anche di un solo atomo di bellezza, di bene incorruttibile. Le coordinate per non perdersi si sovrappongono, si “appoggiano”, a quelle preesistenti che il paesaggio urbano sa offrire, nelle sue strutture fisiche e socialitarie, nei microcosmi naturali che in esso vivono e sopravvivono. Emilia Barbato osserva e si mette all’ascolto, disponibile al suggerirsi di ogni più piccola evoluzione, metamorfosi vitale, ne capta le frequenze e le traduce, nel sommesso linguaggio della poesia.

(Doris Emilia Bragagnini)

 

***

 

“Dicono che il sambuco nasconda in sé l’energia primordiale di una trinità mistica che ingloba alcune delle forze vitali della natura: la verginità, nel candore dei fiori, la maternità, nello splendore verde delle foglie, la morte, nella tinta cupa delle bacche. Questa forza archetipica e, nel contempo, naturale e ambivalente, anima l’ultima produzione di Emilia Barbato, ‘Il rigo tra i rami del sambuco’.” (dalla postfazione di Ivan Fedeli)

 

 

Il rigo tra i rami del sambuco, ed. Pietre Vive, settembre 2018

 

 

Ti scrivo in giorni di apparente luce
– penso di scriverti ma non lo faccio
il buio entra in forma di punteruoli
che aprono in silenzio –
Con la maniera affannata dei pomeriggi
inseguo raggi, i favori del cielo,
il corpo di una sconosciuta che mi precede
e ondeggia sulla strada come un metronomo,
fuori tutto si direbbe procedere
con l’entusiasmo dell’estate
ma dentro sono ferma, stretta
a una nuova chiarezza,
mi chiedo quando questo sasso
che mi distacca abbia formato
una tale consistenza e quante
cose in questo modo io manchi.

 

*

 

Il sambuco stormisce
con una voce dimenticata
di campagna un oscillare
di foglie lieve per l’oscura
la rigogliosa e la vergine,
qualcuno strilla parole remote
di una bellezza senza fiducia.
La terra brucia
e genera e si accuccia,
un piccolo animale che scava
che ti somiglia,
una tazza che si sbreccia.

 

*

 

Se solo sapessi creare una parola, se riuscissi
a racchiudervi l’integrità degli sguardi, la fragilità
dell’andatura sbilenca, a darle un suono ampio
– come il varco che ti curva le gambe –
se fossi capace di sfumare il pudore
e il bisogno di sottrarsi alla curiosità,
potrei scrivere con amore, fiera,
della curva liscia del tuo cranio.

 

*

 

Con levigata perizia radunare le prove minori,
i piccoli pezzi, i nostri intenti per valutare
l’autenticità della cosa che si rompe, sopportarne
il riconoscimento e giurare la parola vero è impossibile,
troppe motivazioni storiche nascoste e una certa
regolarità nei fallimenti, vero quindi non è
un aggettivo conforme alla realtà ma la somma
massima di sventatezza che la parola contiene.

 

*

 

Emilia Barbato è nata a Napoli nel 1971 e risiede a Milano. I suoi testi sono apparsi in diverse antologie e sull’Aperiodico ad Apparizione Aleatoria delle Edizioni del Foglio Clandestino. Geografie di un Orlo (CSA Editrice, 2011) è la sua prima raccolta. Seguono Memoriali Bianchi (Edizioni Smasher, 2014) e Capogatto (Puntoacapo Editrice, 2016), I classificato sezione Libri Editi IX edizione del Concorso Nazionale di Poesia Chiaramonte Gulfi – Città dei musei. Il rigo tra i rami del sambuco, ed. Pietre Vive, settembre 2018