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William Ernest Henley

7 Maggio 2015

 

 poesie inedite di William Ernest Henley
(poeta vittoriano mai tradotto in Italia).
Tradotte da Emilio Capaccio

 

Discharged

Carry me out
Into the wind and the sunshine,
Into the beautiful world.

O, the wonder, the spell of the streets!
The stature and strength of the horses,
The rustle and echo of footfalls,
The flat roar and rattle of wheels!
A swift tram floats huge on us…
It’s a dream?
The smell of the mud in my nostrils
Blows brave – like a breath of the sea!

As of old,
Ambulant, undulant drapery,
Vaguely and strangely provocative,
Fluttersd and beckons. O, yonder –
Is it? – the gleam of a stocking!
Sudden, a spire
Wedged in the mist! O, the houses,
The long lines of lofty, grey houses,
Cross-hatched with shadow and light!
These are the streets …
Each is an avenue leading
Whither I will!

Free …!
Dizzy, hysterical, faint,
I sit, and the carriage rolls on with me
Into the wonderful world.
Dimesso

Portami fuori
nel vento e nella luce del sole,
nel bel mondo.

O, le mirabilia, l’incanto delle strade!
La statura e la vigoria dei cavalli,
il fruscio e l’eco dei passi,
lo scroscio piano e battente delle ruote!
Un celere tranvai flotta enorme su di noi …
è un sogno?
L’odore di fango scuote intrepido
le mie narici — come un alito di mare!

Come di vecchio,
ambulante, ondulante drappeggio,
vagamente e stranamente provocante,
sfarfalla e fa cenni. O laggiù —
Cos’è? Lo scintillio di una calza!

D’improvviso una guglia
incastonata nella nebbia! O, le case!
Una lunga linea di alte, grigie case,
tramate al crocevia con ombra e luce!
Ci sono le strade …
ognuna un viale che conduce
dove voglio!

Libero …!
confuso, isterico, debilitato,
siedo, e la carrozza sotto di me rolla
nel meraviglioso mondo.
Nocturn

At the barren heart of midnight,
when the shadow shuts and opens
as the loud flames pulse and flutter,
I can hear a cistern leaking.

Dripping, dropping, in a rhythm,
rough, unequal, half-melodious,
like the measures aped from nature
in the infancy of music;

Like the buzzing of an insect,
still, irrational, persistent …
I must listen, listen, listen
in a passion of attention;

till it taps upon my heartstrings,
and my very life goes dripping,
dropping, dripping, drip-drip-dropping,
in the drip-drop of the cistern.
Notturno

Dal cuore sterile di mezzanotte,
quando l’ombra si chiude e si schiude
come alte fiamme che pulsano e sfarfallano,
io posso sentire una cisterna che goccia.

Gocciolando, sgocciolando, in un ritmo
grezzo, diseguale, mezzo-melodioso,
come le misure imitate dalla natura
nell’infanzia di musica;

come il fruscio di un insetto,
ancora irrazionale, persistente …
Io devo ascoltare, ascoltare, ascoltare,
in una passione di attenzione;

finché si scuotono le corde del mio cuore,
e la mia vera vita va gocciolando,
gocciolando, sgocciolando, goccia a goccia, gocciolando
nel goccia dopo goccia della cisterna.

Anterotics

Laughs the happy April morn
thro’ my grimy, little window,
and a shaft of sunshine pushes
thro’ the shadows in the square.

Dogs are tracing thro’ the grass,
crows are cawing round the chimneys,
in and out among the washing
goes the West at hide-and-seek.

Loud and cheerful clangs the bell.
Here the nurses troop to breakfast.
Handsome, ugly, all are women …
O, the Spring – the Spring – the Spring!
Antierotico

Ride il mattino del felice Aprile
attraverso la mia piccola, nera finestra
e un dardo di luce disperde
le ombre nella piazza.

I cani si rincorrono nell’erba,
i corvi gracchiano intorno ai camini,
dietro e avanti il bucato
l’Ovest giocherella a nascondino.

Forte e allegra tintinna la campana.
Ecco le balie s’adunano a colazione.
Belle, brutte, tutte son donne …
O, Primavera – Primavera – Primavera!

 

 

Le poesie sono tratte dalla raccolta:

In Hospital [1903]
di William Ernest Henley [1849-1903]

Traduzione di Emilio Capaccio

(*) Le poesie tradotte sono inedite in Italia.

William Ernest Henley nacque il 23 agosto del 1849 a Gloucester, nella contea di Gloucestershire, a sud ovest dell’Inghilterra. Era il maggiore dei sei figli di William Henley, libraio e cartolaio, e Mary Morgan, discendente del poeta e critico letterario Joseph Warton (1722-1800). Il padre morì in povertà nel 1868, lasciando la moglie e i giovani figli sommersi dai debiti.
Nel 1861, appena dodicenne, gli fu diagnosticato il morbo di Pott, una grave forma di tubercolosi ossea che gli causò l’amputazione della parte inferiore della gamba sinistra, all’età di venticinque anni.
Dal 1861 al 1867, Henley frequentò la Crypt Grammar School di Gloucester dove grazie al suo maestro, il poeta Thomas Edward Brown (1830-1897), apprese ad amare la letteratura e la poesia, leggendo testi che Brown gli prestava, esercitando una notevole influenza sulla personalità del giovane Henley.
Nel 1867, superò brillantemente l’esame di ammissione all’università di Oxford, ma a causa delle scarse risorse finanziarie e della sua cagionevole salute dovette abbandonare l’idea di continuare gli studi e si trasferì a Londra per lavorare come freelance.
Nel 1873 anche la gamba destra fu colpita dalla tubercolosi ossea con la seria minaccia di amputazione, ma Henley rifiutò di ricorrere nuovamente all’amputazione e si affidò alla terapia sperimentale antisettica del dottor Joseph Lister (1827-1912), mediante utilizzo di acido fenico, acconsentendo di ricoverarsi presso il Royal Infirmary di Edimburgo, in Scozia, dove rimase per ben due anni, fino al 1875. La terapia del dottor Lister ebbe buon esito e gli permise di vivere fino alla fine dei suoi giorni, mantenendo intatta l’altra gamba.
In questo periodo iniziò a scrivere le sue prime poesie, alcune delle quali apparvero sul Cornhill Magazine, diretto dal critico letterario Leslie Stephen (1832-1904) che successivamente saranno riunite nella raccolta intitolata: In Hospital, pubblicata nel 1903.
Nel gennaio del 1875, in occasione di una visita al Royal Infirmery, Leslie Stephen, accompagnato dal giovane scozzese Robert Louis Stevenson (1850-1894), fece conoscere quest’ultimo a Henley.
Sarà l’inizio di una lunga amicizia tra i due che durerà anche quando Stevenson decise di imbarcarsi per l’America, nel 1887.
Si narra che Stevenson si sia ispirato alla figura di Henley, a causa della caratteristica fisica di avere una gamba amputata fino sotto il ginocchio, per ideare il personaggio del pirata Long John Silver nel romanzo L’Isola del Tesoro, pubblicato nel 1883.
Durante questo lungo periodo di ospedalizzazione, Henley conobbe Anna Boyle, sorella più giovane di un degente del Royal Infirmery, che sposerà nel 1878 e dalla cui unione nascerà Margaret Emma, la loro unica figlia, deceduta all’età di sei anni per una meningite cerebrale.
A questo periodo risale anche la sua poesia più celebre: Invictus , dedicata a Robert Thomas Hamilton-Bruce (1846-1899), un commerciante di farina originario di Edimburgo e mecenate letterario, e menzionata nell’omonimo film del 2009, diretto da Clint Eastwood, ambientato in Sudafrica dopo l’abolizione dell’apartheid e l’insediamento di Nelson Mandela, il quale era solito leggere i versi della poesia per darsi coraggio e non abbandonare la speranza nei momenti più bui della prigionia.

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[1] Originariamente la poesia, inclusa nella sezione Echoes of Life and Death, della raccolta A Book of Verse, del 1888, si intitolava semplicemente To R.T.H.B. Dopo la morte di Henley, Arthur Quiller-Couch, un editore de: The Oxford Book of English Verse (una voluminosa antologia della poesia inglese) le diede il titolo: Invictus, quando incluse la stessa nella citata antologia.

Henley scrisse molte raccolte poetiche tra le quali: A Book of Verses (1888), The Song of the Sword and Other Verses (1892), Verses and Songs in Time of War (1900), Hawthorn and Lavender (1901).
La sua poesia attinge in larga misura dalla sua esperienza nei vari ospedali, presso i quali fu costretto a rinchiudersi per curarsi dalla malattia nel corso della sua vita, e si caratterizza per una esuberanza del linguaggio e per un rigido realismo che non furono accolti con favore da molti critici dell’epoca, ma resta una poesia viva e visiva, apparentemente distaccata delle tematiche vittoriane, scandita molto spesso da un ritmo dettato dal monologo interiore che riporta all’habitat di una dimensione estremamente intima, mettendo in luce quelle forze vitali, quelle pulsioni dell’uomo, che devono tendere costantemente verso un riscatto da un destino cupo e avverso, dalla sofferenza e dalla continua malattia.
Henley fu anche un valido editore che seppe riunire intorno a se nomi eccellenti della letteratura dell’epoca, come: Thomas Hardy, Joseph Conrad, Rudyard Kipling, oltre che Stevenson.
Morì l’11 luglio del 1903, all’età di cinquantatré anni, nella sua casa di Woking, nell’ovest della contea del Surrey, in seguito a una caduta da un vagone ferroviario procuratasi l’anno precedente, che risvegliò la sua tubercolosi latente.
Fu seppellito nel sagrato di Cockayne Hatley, un piccolo villaggio nel Bedfordshire accanto alla tomba di sua figlia.

E.C.

Emilio Capaccio

28 ottobre 2014

 

 

 

 
Mancanza

A volte, a momenti, nel luogo dove cade la mancanza,
sento la voce delle cose che non sono accadute,
più viva della voce delle cose reali.
E l’attesa che spendo
senza vedere chi si compiono
è una vitale inesistenza
a cui tendo l’aspirazione e vivo,
come fosse il mio corpo sostanza e desiderio
di tutto quello che mi manca.
E il tangibile delle cose
che filano il succedere del caso,
come spina dorsale posticcia ed elementare,
mi pesa addosso
in uno spazio di strade e aria.
Sento la vita appropriarsi
d’insopportabile gravità evanescente,
ogni giorno passare
con minore appariscenza,
indefinendomi
nella noia delle cose che ho avuto.
E tutto quello che ho sognato,
tutto quello che non ho amato,
in un boato profondo m’innomina
con un biasimo incessante
d’illibata vita perduta.

 

Silentium

In questo assiduo tacitare sono cresciuto
e ho sorriso tanto, dopotutto! …
ho sorriso di un sorriso solitario.
Sono cresciuto e ti dico:
non attendo il Tuo parlare,
non sia mai Tu debba dirmi
che non sei come t’immaginai.
Vado a rischio
anche in questa estrema illusione,
più avventato ora che i tempi stanno passando,
perché per ardere la fiamma
sull’ultimo cero
deve necessariamente credere
che non può esistere il vento

 

Chiedete di quest’albero …

Chiedete di quest’albero che serena il giardino.
Inimico del vento.
Filosofo della calma.
Al rossastro, all’argento, all’azzurrato rame
s’anima un cenacolo d’uccelli letterati
che dibattono e canzonano
l’apologo della stagione.
E sotto l’ombrello ramato,
alle cime più erte,
alle foglie più chiassose,
alle campane dei frutti che si colorano a ciocche,
sogna e si svuota il mio occhio,
e dimentico le cose,
e dimentico il mio nome,
sedato dalla canzone,
sospirante e cieco nel bromuro di primavera!

 

Nel passare

Ora sogno, la notte.
(Solo la notte!).
Certi sogni che si sforzano di finire,
svogliatamente!
Esistono un istante fuori dal tempo senza chiedermi niente.
Ora capisco il difetto della logica,
la parzialità dello sguardo,
il valore dell’inconcludenza.
E’ necessario che nulla sia compiuto.
(Il mio passo incompiuto!)
Questo è il mio amore,
il mio dispiego,
come una presenza di cosa inesistente.
Nel passare,
di qui e altrove,
un irrefrenabile,
onnicapiente non essere stato!
Tendere a un punto d’assorbimento, finitamente! …
Senza frangersi sulla materia dell’orizzonte!

 

La fuliggine

Quando sento che qualcosa di tragico mi attende,
di più semplice,
di più categorico della stessa vita,
che, come un angelo reticente,
non potrò riferire;
quando considero che me ne andrò in fretta,
senza una parola,
con un gesto trasognato di foglia,
in nebulose di tempi ammassati
dal peso inconsistente
e tutto il mio essere andrà perduto,
mi unisco a volte
con affetto,
con tristezza
(nelle fredde campagne di un qualche inverno
in cui mi trovo a camminare)
al volo onirico e solitario della fuliggine
che un tempo fu scintilla.

 

Morirò di domenica

Morirò di domenica.
Ho da lavorare gli altri giorni
e alla sera devo annaffiare i miei gerani.
Se è necessario
che io debba scendere il fosso
sarà di domenica
sarà un pomeriggio di sole.
Anche il sole morirà.
Così dicono!
Anche lui di domenica.
Anche lui ha da accudire le sue piante
e le sue disgrazie fuori dal balcone,
ma la sua morte
non volgerà tanto rapida come la mia.
Sarà sulla bocca di tutti.
Ne parleranno allo radio e nei saloni dei barbieri.
Ne parleranno i rotocalchi.
Diventerà dapprima cieco,
gradatamente,
ammalandosi di una qualche inettitudine.
Poi accosterà le tende
su una notte che strapiomba di primo mattino.
Più nessuno dovrà mettersi in testa occhiali scuri
come cerchietti per i capelli
e non dovremo più spostare indietro
le lancette degli orologi.
Quante cose non dovremmo più fare
senza l’impiccio del sole!
Anche la Morte morirà
e non tornerà più a prenderci.
Così dicono!
E la storia persino quella morirà.
E allora che cosa partoriremo?
L’Amore, l’Altruismo
e tutto ciò che adesso non abbiamo!
E avremo una settimana più corta di un giorno
e piena di cose da fare
e altri fiori da sfogliare,
senza più dover lasciare i piatti sporchi nell’acquaio
o il latte aperto in frigo, la domenica.
Non ci saranno domeniche.
Così dicono!

 

Chi mi aspetta

Vado con volto inapparente.
La casa è lontana.
E’ dove si nasconde il treno del ritorno.
Mi mobilita il tempo.
Mi dirigo come un fantasma.
A tratti, ad ogni istante,
appaio in posti più vicini,
prossimo al risveglio.
La casa è sommersa,
dove l’azzurro dell’arrivo cola altre tinture
e manda cartoline agli uccelli.
All’uscita della stazione una bimba
mi aspetta tutte le sere,
su un manifesto sgualcito che dice:
– Scomparsa il sei dicembre –
Mi sorride biancamente.
Pensa: «Che stupidi! continuano a cercarmi
ora che è facile incontrarmi
in ogni invocazione!»

 

 

Emilio Capaccio è nato a Salerno il 16 maggio del 1976. Si è laureato in Economia e Commercio all’Università degli Studi del Sannio nella città di Benevento. Vive a Milano, dove lavora nel settore della sanità.

Ha pubblicato per la casa editrice Pagine un e-book nella collana antologica “I Poeti Contemporanei vol. 16” (settembre 2012) e alcune poesie nell’antologia poetica “Voci d’Autore” (gennaio 2013) e nell’antologia “Attimi” (ottobre 2013).

Per Aletti Editore è stata pubblicata la poesia Verrò a spiarti nell’antologia “Sotto l’Albero delle Mele vol. 2” (marzo 2013) e la poesia Il giorno nell’antologia “Parole in Fuga vol. 9” (giugno 2013).

Per Montedit è stata pubblicata la poesia Ragione d’esistenze dissimili, finalista del premio “I poeti dell’Adda 2012”, nell’antologia omonima (luglio 2013).

La poesia Propositi è risultata finalista al concorso “Il Federiciano 2013” e inserita nell’antologia omonima, copertina verde (novembre 2013).

A giugno 2014 è stata pubblicata (e liberamente scaricabile) nel sito www.larecherche.it l’antologia: Malinconico oscuro: traduzioni di 25 poeti sudamericani inediti, prefazione di Giorgio Mancinelli.

Il link dove si può scaricare:

http://www.ebook-larecherche.it/ebook.asp?Id=163

La poesia Morirò di Domenica è risultata finalista e premiata al concorso di poesia internazionale “Viaggio di Versi” III edizione, a cura della rivista letteraria “Poeti e Poesie” diretta da Elio Pecora (agosto 2014).