
DALL’OCCHIO ALL’ORECCHIO UN GRADINO E UN LABIRINTO

se riguardo dentro
quel foro sul muro
negli anni ti vedo
ancora chiara
aperta luminosa
sento i richiami
le eco le voci
annuso i profumi
le cere le essenze
sento l’acqua
che scorre e
il verde penetrarmi
fino alle radici
scordate
*
i miei due lati
sono la faccia di queste pareti
dove la voce rimbalza
e solo per una eco si riconosce
non ha alcuna memoria
non ha traccia o impronta
è una città svuotata
una corsia devastata
cadono a pezzi i corpi delle cose
ci sono drappeggi a ricoprire statue
nascono dagli sguardi inquieti
dalle nude cosce di una lussuria senza più eros
spogliata da ogni emozione
langue la mente e tutte le sue sfere
fanno più sordo un rumore di ottone
un basso che sfocia
da un intestino crasso
un intimo odore di corpo
aperto un topazio salmastro
e più lontano sotto i fili di altri fantasmi
una lunga scia è la vena del cielo che sogna
e stende la sua linfa sopra uno specchio chiaro
l’alba o l’albatros sfibrato dal suo volo
inceppato il suo occhio è una radice di pianto
una città senza più nome una pianura
senza chiasso nella mia bocca
persa dentro
il tuo cupo orecchio
*
per un grano di terra
un esercizio di stelle
tutto il giorno allargato
per un nubifragio di onde
luce un precipizio di semi
segni di un celeste pellegrino
infinito chiuso occhio del cosmo
caduto dentro il chiostro
nel terremoto di un tralcio
in un crocchio di spine
difendono il raccolto
un sol giorno
atomo e nucleo
rivoluzione della spiga
contro il germe della fame
e ogni bocca ogni corpo
ogni donna ogni uomo
ogni singolare pianeta
seminato da quel giallo
è una linfa senza resa
una spiga di pane esplosa
*
dentro le carte
i m m a t e r i a l i
che imbrattiamo
le poesie navigano
da milioni di anni
l’intero universo
il tempo è
solo una tra le tante
intricate tessiture
riversate
tra riva e rima
senza seguire una riga
in una scena d’inchiostri
fluidi e linfe che si mescolano
china resta la vita
la più segreta e immortale
tra tutte
la parole mai scritta per esteso
*
bassa
ho camminato nella foschia
ero
un numero infinito di onde
sporche di sabbia case ingombre
stavano distese
come corpi spogli di donne
a perdita d’occhio l’aria
non più chiara
come una bugia si era lentamente
trasformata in roccia e nera
una gabbia chiudeva il litorale dentro una vasca
l’estate era un pesce rosso dentro una boccia d’acqua gelata
orrore ovunque
la terra era un fuoco di ceppaie
persino il mare brulicava di fiamme
tutto e dovunque solo morte fumo polvere
di ruggine un rumore di ruote metalliche
un sordo correre di carri che rompono l’asfalto
e dal catrame qualcosa simile al germoglio schiude il suo occhio
nasce tenero un verde che l’aria ripulisce
e una furia d’insetti è la mia testa
una furia di suoni dentro il mio letto
io sono il fantasma nella parte posteriore della stanza
sono la furia dentro la tua testa
nel tuo petto esplodo milioni di sillabe
tutte in una volta
sono il coro dentro la memoria
sono
la sventura che senza fine ti cancella e poi
ti rinasce ancora
e ancora
ancora una volta
*
IL GRANDE GIOCO DELL’OMBRA E DELLO SCARTO
imparare a sillabare la creazione del mondo
rivoltare il limite da superare con un folle volo
e un gesto d’amore
non più ignorare l’altro
vivere disobbedendo a ogni crimine
rifiutare i pedaggi d’inciviltà
accanto al nero di ogni sofferenza accendere
il bianco di una resistenza attiva affetta di bene
mettere un colore accanto al cuore
con arte disegnare una porta
e attraverso quella avventurarsi
dentro una vita che è sogno e bisogno
magia e mistero
attonito momento e urgenza di presenza
all’insegna di un coraggio fatto di gesti concreti
essere vicini gratuitamente portare un risveglio
come il sole che mai annichilisce nel suo ardere
costante scavando ognuno fianco a fianco
ognuno nel fianco di se stesso per arrivare
fino all’altro.
*
La metafora è un procedimento intellettuale
mediante il quale riusciamo a cogliere ciò che si trova
oltre la nostra capacità concettuale.
J.Ortega y Gasset
una
sola
oscura provincia
un’ombra sul muro
la vita
mi attraversa
in un brivido
notturno un corso
di spoglie
miei nati
antenati
di ogni futuro
in un giorno
senza giudizio
solo
un sogno
*
nelle profondità di questa quiete
verde un racconto di foglie cede
in terra tutte le mie ombre
e gli aghi degli abeti
non ancora imbiancati accendono
i soli di tutti i miraggi in mille gocce
la linea ricurva del mondo accoglie
perso il mio tramonto là
in fondo anche la mia solitudine aspetta
in una nuova piccola sorgente un quadrante d’acqua ci scioglie
dalla bocca l’ultima inutile parola l’ultimo segno della mano incauta
che ha rubato ciò che l’amore illuminava
nel suo centro vuote corrono
le nuvole e il freddo del mio gelo le rincorre
per bloccarle nel grigio delle rocce
tra ferrate e vie maestre tra vicoli e strade dismesse
in me dove non sento
il profumo degli orti la frutta cantare nei broli
e i fiori dirigere
i cori delle aiuole le fiammate di rosso nelle bacche accese
di dicembre le lucerne le bianche perle del vischio
sotto cui deporre i baci
tutto dorme o sembra moribondo o morto
c’è quaggiù solo un concerto sordo di metalli
che sempre più atterrito rende l’ uomo di oggi
e per attrito sfregia il volto del mondo
il chiaro di luna esposto nell’alta bacheca della notte
non rima sul ramo degli innamorati
intenti a tiranneggiarsi con le solite vuote battute
mentre altri poco lontano da loro
già cadono sotto il lancio delle bombe
e i più dormono ritenendosi lontani
di tutto quel frastuono ignari non comprendono
le lacrime con cui si svegliano ogni giorno
perché c’è un filo che lega stretto e sicuro
ogni nostro abecedario
la merce più innocente con lo stolto l’avido e lo schiavo
sapiente la morte la sua scienza non disperde
ma agli uccelli che del fluido suo scorrere si nutrono
sostiene ali e corpo e terso rende lo sguardo
ascolto attento ascolto
il più lontano dei luoghi canta
la sua brezza è il suo nome
chiama i nostri passi nella sua oscurità
salmi e notturni disegna in codici e canti
il mio corpo ascolta tutto il fluire di amore
miniato in me ha luce e fiore acqua e nuvola
viola e primavera neve
e scura montagna bordo di questa piccola tazza
dove il vento depone i suoi semi
dove succoso è il grappolo della vita
e i fiori del cortile sono nubifragi di tempo
dall’alto muro di questo inconsueto cosmo
che al mattino mi sveglia e apre in me la porta del mio labirinto
mentre tutto resta segreto e nascosto ed io verso me stesso
ancora da un sorriso illuminato corro e corro
lontano dal tempo giù a più non posso
dentro un filo d’erba nel prato fino a sentirmi saziato
di luce di alberi di tenebre a fiumi
dell’intimo chiarore di una stella issata ad un bagliore
nell’ultimo singhiozzo dell’acqua con cui ho bevuto la mia vita
e adesso è caduta nel chiuso rigore di un verso da
ancora non so dove
NEL VANO DELLE P A R O L E
per strade lunghe e un lungo silenzio
faccio ritorno a casa
dove non sto dove non vivo e non ho più
cose con lo spazio dentro
né abiti nell’armadio del ricordo il viaggio
la passione tutto arriva e lignifica
una corteccia folgorata la mia scorza
come una buccia la vita staccatasi dalla mia pianta
e persino le parole che mi scheggiano da dentro l’osso
altro non sono che il mio vuoto corpo
espostosi al vento
F.F.
*
L’uomo si lascia alle spalle la sua infanzia, la fanciullezza, la maturità, la vita e le sue opere, ma questo non è morire, è vivere.
Maria Lai
due tempi e un solo occhio
si è barricato in un mistero
lo spazio scordato si è fatto
percezione
prossima una continua istantanea
un’immagine imma(r)ginata
fatti pochi passi verso una finestra
ancora cola il tempo
liquida una carta da parati
tappezza questa alta stanza magazzino di esperienza
e tutto azzurro il prima mescola il suo pigmento in questo vano adesso
esco
mi precipito
in tutto quanto vado visionando
ed è stato
un tempo preciso
è già stato
dentro il mio occhio
nelle mani nei piedi nel respiro nel cuore ha battuto
quel giorno quell’incontro quel niente é ora
e ancora ribatte il mio metallo
lungo sonoro un monologo
s e r b a t o i o di tutte
tutte le voci mai inquinate
che sono polvere
di questi arredi che ora vengo a cercare
in coriandoli di luce
spezzata dal mio specchio
in un cassetto dentro un comò socchiuso
cianfrusaglie emergono alla rinfusa in un cielo cianotico
lontana la casa lontano il tempo della quiete affiora
fioriscono erbe profumate e ho fame come di bestia randagia
che per anni nei secoli da se stessa si è allontanata
e nella parola ha fatto uno slargo minuscolo
un pertugio di sole dentro la sua tana
ho sete sempre più sete
cerco depositi d’amore come acqua
come un animale anch’io tra le radici bevo
e chiara vedo la fine tra quelle muffe
la sottile scrittura della morte
un filo di terra appena
mi scrive tra le labbra scende diretto
all’alveo del respiro e ghiaccia il battito
spegne il cuore
la testa piega
cedendo un poco per volta un istante perfetto
anni secoli memorie oltre le mie storie minute
solo un alito
l’ultimo
quel filo di solitudine fattosi più sottile e stretto
intorno al polso e al collo fa saltare un nervo e
posso finalmente morire
sparire dalla cella da quell’abito
celato a me stessa
non dire
non dire più nulla per sfuggire
ancora una volta andare
distante distante distante tante e tante
tante volte più lontano
nella lacrima che non mostro
il vuoto di tutto quanto (è) aspetto
in terra il segno di uno scavo aperto
il corpo dentro più dentro fin dove non lo vedi
e
altro si fa
una gradazione di bruno macinato dagli insetti
un rettangolo dentro cui svanisce tutto
per questo hai scritto?
ho cominciato a scrivere
per non perdere i luoghi
dentro di me così fragili
e distanti
le scarpate delle strade i fossi e gli argini
come montagne invalicabili quando il tempo frana
quando i giorni si ammucchiano
infoltendo i loro rami di alt(r)i segni
una mobile scrittura un’intricata foresta
i mesi gli anni
che mi scendevano il corpo
in continui naufragi e perdite
dei miei primi attimi
l’amicizia con la terra
che in gola mi metteva nidi
e ora senza più uova e
voli alti sopra le corti di sole
è solo crepe sulle facciate di case straniere
quasi una forca la memoria divaricando la forcella
innesca la sua fionda penetra la sua piccola granata
affonda dentro l’angusto territorio della mia vecchiaia
dalle spalle dei miei anni trae i pesi dei luoghi le cimature degli alberi
le siepi gli orti incolti un sentiero interrotto
sui cui più volte mi è crollato addosso il tempo
e la vita si è allargata in un cupo lago
recintato da pietraie aguzze
ruderi i ricordi in un continuo restauro di strutture inutili
perché non serve un tetto una lamiera basta
per passare la notte se la vita è un temporale e nemmeno la luna
ti accoglie e niente niente riaffiora da quell’antro che è l’androne di casa
perché dove abiti ora tutto è stipato
un ripostiglio senza aria senza luce
un luogo senza sentieri da percorrere
dove non sei affatto contento di esserci
e i ricordi di ieri ti mangiano e i ricordi di oggi si frantumano in un niente
così che a te non resta altro
che un vuoto deposito di polvere
(…)
Nata a Padova nel 1954, laureata in architettura presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, si occupa di progettazione architettonica, arredamento, grafica e design, ama tutti i generi di espressione d’arte. Già docente presso il Liceo Artistico e Istituto d’Arte Pietro Selvatico di Padova, ora insegna al Liceo Artistico A. Modigliani nella stessa città, dopo un lungo periodo di insegnamento presso il Liceo Artistico di Rovigo in cui ha stretto amicizia con Marco Munaro iniziando una collaborazione con lui in più progetti ( La Bella Scola, Herbert, La memoria e i suoi giorni). Ha svolto ruolo di coredattrice all’interno del gruppo di VDBD, il blog, ed è presente con suoi articoli nella rivista on line dello stesso gruppo. Ha partecipato ad alcuni concorsi vincendone (Rabelais 2006 e 2007) e/o posizionandosi nella rosa dei primi dieci (Premio Teramo per un racconto 1998), Concorso Internazione di Poesia-Prata Sannita- L’iguana 2014 dedicato ad Anna Maria Ortese, ha ricevuto il primo premio per la raccolta Nel lusso e nell’incuria Edizioni Terra d’Ulivi 2014, nel 2015 ha ricevuto il primo premio al Concorso Internazionale Alda Merini-Brunate per la raccolta Voci oltre e altre cose storte– Edizioni Terra d’ulivi 2015. Per i tipi de Il Ponte del Sale ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie dal titolo Migratorie non sono le vie degli uccelli. (2009) e ha partecipato alla Lettura dei primi nove canti del Purgatorio, proponendo un attraversamento del canto VIII, nella raccolta Ombre come cosa salda (2009). Con LietoColle Editore ha pubblicato MAREMARMO (2014- Menzione d’onore Premio Città di Sassari) e appare nelle raccolte Luce e notte (2008), L’ustione della poesia (2010);con Terra d’Ulivi -Elio Scarciglia Editore, Voci oltre e altre cose storte (2015)- Primo classificato- poesia edita- Premio Internazionale Alda Merini-Brunate 2015, Nel lusso e nell’incuria (2014- Primo classificato – poesia edita. Concorso Internazionale L’iguana-Omaggio ad Anna Maria Ortese) e Dimmi se (2013- secondo posto Premio Bellizzi- Salerno). Suoi testi appaiono in CFR Ed. nelle raccolte Cuore di Preda (2012) , Il ricatto del pane (2013), Cronache da Rapa Nui (2013), Keffiyeh-Intelligenze per la pace (2014) ; con Lucaniart: “Scrittori & Scrittura” Viaggio dentro i paesaggi interiori di 26 scrittori italiani (2012); con Edizioni L’Arca Felice Le trincee del grembo (collana Scritture clandestine a cura di Maria Pina Ciancio e Teresa Anna Biccai per Associazione Lucaniart) (2014) ; con Rayuela Edizioni “Sotto il cielo di Lampedusa” (2014).
Si sono occupati della sua poesia: Sebastiano Aglieco, Luigia Sorrentino, Marco Scalabrino, Maria Pina Ciancio, Anna Maria Curci, Anna Maria Farabbi, Abele Longo, Francesco Marotta, Fabio Simonelli (recensione nella rivista Poesia-Crocetti Editore-Settembre 2009-N.241), Davide Castiglione, Milena Nicolini, Ugo Entità, Enzo Campi,Giulio Gasperini, Adriana Ferrarini.
Numerosi suoi testi sono presenti in rete in molti siti che si occupano di letteratura e d’arte.
E’ capo redattore ed editor del litblog Cartesensibili (https://cartesensibili.wordpress.com).
Il suo blog personale è http://fernirosso.wordpress.com/
Dirige la collana Parole di cristallo per Terra d’ulivi.