EX MADRE di Francesca Del Moro, edizioni Arcipelago itaca 2022
Recensione di Luigi Paraboschi
C’è una poesia nel libro con la quale vorrei iniziare questo scritto per condividere con chi legge quanto sia greve il peso che chi perde un figlio è costretto a portarsi appresso, e si trova alla pagina 17:
Ho stretto l’urna contro il ventre,
pesava pressappoco come allora.
Un figlio lo contieni sempre
Tentiamo di sentire anche noi cosa prova una donna in gravidanza, facciamoci raccontare cosa significhi quel lo contieni, quanto e come siano grevi e grandi le speranze riguardo al futuro di chi sta nascendo, quali siano le ansie che percorrono le madri in attesa, e domandiamoci quanto sia straziante per l’autrice di questi versi il dover dare inizio a un eterno cammino di sofferenza il cui termine – colei che ha stretto le sue ceneri dentro un’urna – non riesce a immaginare.
Dentro quell’urna è raccolta la somma della breve vita di un giovane, e cerchiamo di immaginare quanto sia stato lacerante scrivere i versi a pagina 32:
e con terrore penso
che lui ha cancellato
le sue braccia, il petto,
il viso, il sorriso
che tutto illuminava
e i suoi occhi di miele.
Lui ha cancellato tutto di sé, si è annientato, ha voluto scomparire portandosi via il segreto che lo ha condotto alla decisione estrema, e troviamo questi versi doloranti a pagina 49:
È troppo grande
l’amore a volte,
l’amore è insopportabile.
Quante volte sia in gioventù sia più in là negli anni abbiamo scoperto, o meglio pensato, che la sofferenza per un amore perso sia insopportabile, ma questa descritta lacera le carni di chi ha portato avanti una gravidanza il cui frutto si è annientato in un istante, e di ciò leggiamo a pagina 31:
Mi sono picchiata,
ho percosso le tempie
coi palmi delle mani,
premuto i pugni
sugli zigomi, sbattuto
la fronte alla parete.
Dal cuore straziato nasce la rabbia, il grido disperato di colei che non sa né può capire le ragioni di un atto folle e urla la sua disperazione a pagina 39:
Se potesse sapere
che non lo perdono.
Ma il cammino della comune quotidianità ci impone le regole alle quali dobbiamo sottostare, anche se con il dolore dentro come leggiamo a pagina 35:
e io avrò imparato
a portare con disinvoltura
il mio sguardo opaco
e il terrore dentro.
Di fronte alla constatazione che l’evidenza non può essere cambiata (pag. 94),
E ritorna la voce:
mio figlio è morto
morto
la parola che nessuno
osò dire quel giorno
morto
signora, suo figlio
non ha avuto un malore
morto
lo so, come lo ha fatto?
morto
è come un rintocco
morto
morto
morto.
sorge l’interrogativo su quanto non si è fatto per evitare che ciò avvenisse, nascono le domande sul chi e sul perché, e la madre si autoaccusa (pag. 18),
E non ho visto la nera, lunga
notte in cui si incamminava.
arrivando, a pagina 38, anche al punto di desiderare di cancellare la propria esistenza, augurandosi in tal modo un incontro impossibile:
Se fossi certa
di ritrovarlo al di là
di questo ruvido grigio
dove esercito l’occhio
a cadere nel precipizio
tra i passi consueti
sceglierei un piano alto
e gli correrei incontro
con la stessa felicità
con cui lo riabbracciavo
alla fine di ogni giorno.
Attorno a chi si vede costretto a subire una tragedia di questa portata si crea spontaneamente una sorta di cordone protettivo e di aiuto che amici e familiari cercano di erigere, scagionando la madre da ogni ipotetica colpa o dimenticanza. Leggiamo a pagina 92 questi versi:
Non è colpa tua,
si affrettano a dire
la polizia, i medici,
gli amici, i familiari,
rispondono alla domanda
che non fai, la generosa
negazione cade,
solo l’accusa rimane,
solo l’accusa
feroce a risuonare
Ma la madre è costretta a constatare che, malgrado la generosità di cuore, la bontà e l’amore dei presenti che dicono e insistono a pagina 21:
non è colpa vostra, mi raccomando,
ricordate, non è colpa vostra
non è possibile ignorare che la devastazione interiore finisce con il coinvolgere ognuno dei più cari (pag. 45):
E ho pensato a mia madre
che piangeva in questura
col fascicolo in mano
e a quel giorno che ha detto:
non sono più nonna.
L’amarezza della scoperta dell’ineluttabilità continua della vita (pag. 20) che prosegue il suo corso, talvolta nostro malgrado,
Il fiotto di sangue che scende
improvvisamente
davanti al figlio morto
mi ricorda che tecnicamente
potrei ancora dare alla luce
un altro infelice.
si misura in certe occasioni con lo scherno che pare uscire dalle risposte dovute alle domande attorno al censimento (pag. 106):
Numero di figli: zero.
L’innocente ferocia
di un banale questionario.
L’amore mio immenso.
Zero.
Non soltanto la burocrazia quotidiana è indifferente ai nostri dolori ma anche la natura lo è, niente di noi le appartiene, la vita si svolge sotto l’occhio immutabile di un sole che accompagna i nostri gesti e i movimenti, come leggiamo a pagina 19:
Il sole di luglio irridente
splendeva sull’ultimo tratto di strada.
…
L’aria era innaturalmente ferma
come il corpo di mio figlio nella casa.
e ancora a pagina 22:
A picco come il sole
precipita il suo sorriso
su me che mi ripiego
seduta su un gradino.
La vita continua a svolgersi anche dentro la voragine che si è aperta in chi soffre. Si legge a pagina 37:
Il buco del 5 luglio
ha inghiottito tutto
in un giorno infinito
di luna piena
e sole a picco.
e a pagina 69:
Sopra di noi, la luna
ha quasi ricomposto
il suo occhio sgranato
di quel giorno.
Ma il pensiero distrugge ogni consolazione, e la donna riflette sconsolata a pagina 27:
… e ho pensato
che le sue mani non ci sono più
e non terranno più la forchetta,
non potranno più toccare, stringere,
non potranno accarezzare.
È una tragedia nella quale si fatica a intravvedere una pausa, c’è la realtà con la sua disumanità e la constatazione che l’uomo di fronte alla fine è soggetto alla corruzione fisica, quasi alla mercificazione commerciale come leggiamo a pagina 26:
È stato messo a scaffale
un barattolo col suo nome
e il logo delle pompe funebri.
Sulle prime sembrava
una merce qualunque.
Non c’è consolazione possibile, non c’è speranza oltre la morte (pag. 43):
Alto nel cielo nero
di fianco al portone,
ogni mattina
un occhio di stella
solitario mi sorveglia.
Ora sarebbe facile
cedere alla debolezza
di immaginare su di me
uno sguardo pentito,
una dolcezza d’angelo.
e il cielo è chiuso sopra il dolore (pag. 52):
Con il viso contorto
rivolto verso il cielo
a un dio che mi colpisce
più forte ogni secondo.
Ma il fluire del tempo è inevitabile, si deve tornare alle occupazioni quotidiane e in parte ci si allontana un po’ dal tormento del pensiero (pag. 56):
Con una lacrima sul naso
camminando soppeso
le ragioni per morire.
Poi entro, premo un tasto,
mi accendo
come qualsiasi congegno,
combacio con la sedia,
mi inserisco come un cavo,
faccio clic e sto meglio,
funziono fino a sera.
*
Occorre rimettere un poco di ordine dentro il proprio vivere andando alla ricerca del vissuto di colui che non c’è più, quasi allo scopo di volerlo riportare in vita (pag. 67):
Recuperare i ricordi buoni,
raccogliere tutte le foto
– alcune metterle in cornice –
portare i fiori al cimitero,
fare le cose che facevo prima,
aspettare di morire.
e si cerca un poco di consolazione nel tornare al cimitero, nel lucidare il marmo della tomba, nell’accarezzare una fotografia (pag. 68):
Non c’è un’ombra di polvere ma io
continuo a lucidare il marmo,
passo e ripasso con il dito il panno
in ogni numero, ogni lettera d’oro
del tuo nome, col pretesto
di pulirti il viso lo accarezzo
…
mi illudo che ti arrivi amore,
ancora.
La macchina che ci portiamo dietro, il nostro corpo, non può essere soffocata dal dolore. I meccanismi di difesa che possediamo si possono rimettere in moto anche contro la nostra volontà di sopravvivenza, e riemerge in parte la fisicità dei sensi a pagina 51:
Adesso, dicono, non si può fare altro:
solo tenere la macchina in funzione.
La macchina ha fatto una cosa strana,
dato il suo stato: ha provato una passione.
Anche il medico è rimasto sconcertato,
la vita come al solito ne ha riso
e ha riaffondato il colpo dove sa.
Il dolore non scompare, è soltanto assopito. In tal modo ci si può anche illudere che l’emozione del desiderio fisico possa venirci incontro per lenire la sofferenza, ma ben presto tutto torna sotto la luce della memoria. Si legge a pagina 111:
Il fondo rosso
di Porto nel bicchiere,
ripenso al sangue
tra le labbra di mio figlio
edema polmonare massivo
si leggeva sul referto
edema polmonare massivo
ripeto nella mente
mentre saliamo in camera
per fare l’amore
mi sforzo di non piangere.
È stato un viaggio assai doloroso non solo per lei che lo ha vissuto e lo vive tuttora, ma anche per chi ha letto tutti i testi di questo lavoro. Non è solo questo l’aspetto sul quale vorrei attirare un po’ di attenzione. C’è anche da mettere in evidenza la capacità di Francesca di analizzare il dolore, anche quello altrui, come ha sempre fatto in altri lavori precedenti. In questo caso lei si è messa a nudo di fronte al lettore, quasi invocando un abbraccio di condivisione.
Luigi Paraboschi