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Gabriele Marchetti

14 luglio 2014

fotografia

 

Questi inediti sono rimasti esclusi da ”Urla nell’acqua” per vari motivi. Il primo, e più importante, è stato il loro ”essere fuori tema” con il resto della raccolta. ”Urla nell’acqua” era il racconto, fatto attraverso illuminazioni improvvise, attimi incancellabili dalla memoria, impressioni svariate, di un’infanzia; non la mia in particolare, anche se ne era la base, ma quella di un qualunque bambino cresciuto come me a stretto contatto con la natura e i suoi momenti. Veniva tracciato, in quelle poesie, una sorta di cammino che portava alla scoperta della morte, che faceva da spartiacque con l’adolescenza (o almeno, si trattava della prima perdita dell’innocenza originaria nel bambino). I testi inediti avevano un sapore diverso, o così mi sembrava già mentre li scrivevo. Più maturi, anche strutturalmente, piegavano tutti verso una metrica e una divisione strofica molto più regolare, più ”adulta” appunto. Quindi la loro presenza nella raccolta avrebbe confuso il percorso. Ho preferito riunirli qui, per ora. Ciò che rimane identico, da ”Urla” a questi inediti, è la costruzione per immagini delle poesie. Le intromissioni esterne, e in esse conto anche le mie, le volevo limitate al minimo; il passo successivo sarebbe una poesia talmente impersonale da risultare quasi senza autore. Qui la presenza di un protagonista, chiamiamolo così, è ancora viva. Ma ciò che ne esce (o dovrebbe) è l’immagine pura, che basta a sé stessa per avere un senso, una qualche bellezza che la giustifichi. La scelta della metrica mi viene forse dalle letture che dagli anni del liceo non ho mai più interrotto. Non so quanto sia utile, o diffusa, o accettata, oggi; forse perché certe letture ci sono state inculcate a forza dalla scuola, invece che farcele ammirare per la loro perizia, molti dei poeti contemporanei hanno puntato tutto su un’anarchia della versificazione giustificandola con l’idea della loro legittima libertà espressiva. Io trovo la sfida a far combaciare la volatilità dell’immagine con una struttura rigida nella quale convogliarla, senza legarla troppo stretta, molto più allettante. E’ la strada che voglio continuare a seguire.

 

 

Inediti

 

 

Pomeriggio

Le tue mani, affondate dentro l’acqua

verde, somigliano a rami spezzati

da una fredda corrente.

 

Intirizzisce l’aria, fa più forte

il verso gorgogliante della riva,

continua litania.

 

Amare per davvero è non amare

che se stessi, la propria solitudine

al centro della vita.

 

Lo stormo chioccolante dei fringuelli

attraversa il braccio di lago, scuro

nel cielo paglierino.

 

E mentre ti alzi, silenziosa noia

deve sembrarti il lungo pomeriggio

nel sole che va e viene.

 

 

 

Emma

Scura, la falce d’ombra

è scesa sopra il bosco.

Il disco pallido del sole spezza

il colore del fogliame, lo tenta

coi resti della brezza.

Dove il fiume rallenta,

tra le radici nere

dell’ontano, Emma siede da sola

a contare e ricontare le sere.

 

Il ramo che si schianta,

incidendo il silenzio,

ha una nota più triste nella voce.

Spaventati dalla calma interrotta

e dal grido nell’acqua,

gli uccelli si rimbrottano

e scappano al riparo

nel groviglio viola delle fronde,

nel buio delle foglie tutte d’oro.

 

La luna che cancella

ogni altra luce scivola

via, sbrindellata dal temporale.

Emma conosce il dolore, una traccia

nell’erba blu al mattino,

la notte che l’abbraccia –

le briciole dorate

svanendo la guidano più lontano

fino ai cancelli bianchi dell’estate.

 

 

Visione

Nell’attimo che la luce raggruppa

lontano dalle rive, le acque ferme

riflettono per caso vecchie estati

in cui spezzavo un’esistenza inerme.

 

Amavo Dio perché era i giorni azzurri

di giugno, i compleanni rumorosi

nel cerchio dei ciliegi, e le nottate

quando le stelle erano occhi curiosi.

 

Il silenzio lungo del pomeriggio

di agosto, mentre smorza l’acquazzone

tra lo stormo immobile delle foglie

l’afrore del cocente solleone.

 

Ma vivere è fin troppo. E ricordare

nella cappa d’ombra che la contorna

non serena, o comunque mai del tutto,

la rapida visione che si storna.

 

 

L’attimo

I rami incrociano sulle radure,

uccelli neri segnano l’autunno

con le loro impossibili figure.

 

Aspetto l’attimo che questa vita

si smagrisce nel silenzio distante

che la fa quasi sembrare infinita.

 

 

La ragazza nell’acqua

Oltre l’erba che ingiallisce da tanto,

i bambini hanno inciso un segno

tra le scapole magre del castagno

e lì ciascuno scrive il nome –

mentre scioglie i suoi capelli verdi

la ragazza nell’acqua.

 

I pomeriggi incerti nella luce

che rimbomba dal cielo, alta sul fiume,

mette paura il temporale:

e i nomi cancellati dalla pioggia,

la sensazione, se scende la sera,

che ogni cosa poi muore –

 

il blu remoto dell’infanzia,

il silenzio in cui finisce la festa.

 

Quante volte, sotto le stelle immobili,

siamo tornati a cercare le impronte

dell’estate precedente, profonde

nel fango che copre i sentieri –

come ferita che non si richiude,

la ragazza nell’acqua.

 

 

Sassi

Sotto i sassi che uccidono la luce,

il mio fiume nasconde le trote –

eppure brilla per un attimo, feroce,

l’oro scuro delle pupille vuote.

 

 

Il sapore dell’autunno

Ha il sapore dell’autunno in bocca

l’acqua veloce che rallenta, stracca,

e ricopia una luna nata rossa –

 

ogni notte, nel silenzio che passa,

le vigne mandano odore di morte

che piano ti mangia da parte a parte.

 

 

 

Gabriele Marchetti, nato a Lecco il 2 luglio 1979, residente a Valgreghentino (LECCO), piccolo paese tra il lago e la Brianza. Diplomato all’istituto magistrale ”G. Bertacchi” di Lecco, laureato in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano con una tesi di Filologia Romanza sulla letteratura arturiana spagnola, discussa con Alfonso D’Agostino. Ha pubblicato ”Urla nell’acqua” (OTMA, 2013), raccolta di poesie; ”Il vento e il mare” (Corebook, 2013), romanzo.