Questi inediti sono rimasti esclusi da ”Urla nell’acqua” per vari motivi. Il primo, e più importante, è stato il loro ”essere fuori tema” con il resto della raccolta. ”Urla nell’acqua” era il racconto, fatto attraverso illuminazioni improvvise, attimi incancellabili dalla memoria, impressioni svariate, di un’infanzia; non la mia in particolare, anche se ne era la base, ma quella di un qualunque bambino cresciuto come me a stretto contatto con la natura e i suoi momenti. Veniva tracciato, in quelle poesie, una sorta di cammino che portava alla scoperta della morte, che faceva da spartiacque con l’adolescenza (o almeno, si trattava della prima perdita dell’innocenza originaria nel bambino). I testi inediti avevano un sapore diverso, o così mi sembrava già mentre li scrivevo. Più maturi, anche strutturalmente, piegavano tutti verso una metrica e una divisione strofica molto più regolare, più ”adulta” appunto. Quindi la loro presenza nella raccolta avrebbe confuso il percorso. Ho preferito riunirli qui, per ora. Ciò che rimane identico, da ”Urla” a questi inediti, è la costruzione per immagini delle poesie. Le intromissioni esterne, e in esse conto anche le mie, le volevo limitate al minimo; il passo successivo sarebbe una poesia talmente impersonale da risultare quasi senza autore. Qui la presenza di un protagonista, chiamiamolo così, è ancora viva. Ma ciò che ne esce (o dovrebbe) è l’immagine pura, che basta a sé stessa per avere un senso, una qualche bellezza che la giustifichi. La scelta della metrica mi viene forse dalle letture che dagli anni del liceo non ho mai più interrotto. Non so quanto sia utile, o diffusa, o accettata, oggi; forse perché certe letture ci sono state inculcate a forza dalla scuola, invece che farcele ammirare per la loro perizia, molti dei poeti contemporanei hanno puntato tutto su un’anarchia della versificazione giustificandola con l’idea della loro legittima libertà espressiva. Io trovo la sfida a far combaciare la volatilità dell’immagine con una struttura rigida nella quale convogliarla, senza legarla troppo stretta, molto più allettante. E’ la strada che voglio continuare a seguire.
Inediti
Pomeriggio
Le tue mani, affondate dentro l’acqua
verde, somigliano a rami spezzati
da una fredda corrente.
Intirizzisce l’aria, fa più forte
il verso gorgogliante della riva,
continua litania.
Amare per davvero è non amare
che se stessi, la propria solitudine
al centro della vita.
Lo stormo chioccolante dei fringuelli
attraversa il braccio di lago, scuro
nel cielo paglierino.
E mentre ti alzi, silenziosa noia
deve sembrarti il lungo pomeriggio
nel sole che va e viene.
Emma
Scura, la falce d’ombra
è scesa sopra il bosco.
Il disco pallido del sole spezza
il colore del fogliame, lo tenta
coi resti della brezza.
Dove il fiume rallenta,
tra le radici nere
dell’ontano, Emma siede da sola
a contare e ricontare le sere.
Il ramo che si schianta,
incidendo il silenzio,
ha una nota più triste nella voce.
Spaventati dalla calma interrotta
e dal grido nell’acqua,
gli uccelli si rimbrottano
e scappano al riparo
nel groviglio viola delle fronde,
nel buio delle foglie tutte d’oro.
La luna che cancella
ogni altra luce scivola
via, sbrindellata dal temporale.
Emma conosce il dolore, una traccia
nell’erba blu al mattino,
la notte che l’abbraccia –
le briciole dorate
svanendo la guidano più lontano
fino ai cancelli bianchi dell’estate.
Visione
Nell’attimo che la luce raggruppa
lontano dalle rive, le acque ferme
riflettono per caso vecchie estati
in cui spezzavo un’esistenza inerme.
Amavo Dio perché era i giorni azzurri
di giugno, i compleanni rumorosi
nel cerchio dei ciliegi, e le nottate
quando le stelle erano occhi curiosi.
Il silenzio lungo del pomeriggio
di agosto, mentre smorza l’acquazzone
tra lo stormo immobile delle foglie
l’afrore del cocente solleone.
Ma vivere è fin troppo. E ricordare
nella cappa d’ombra che la contorna
non serena, o comunque mai del tutto,
la rapida visione che si storna.
L’attimo
I rami incrociano sulle radure,
uccelli neri segnano l’autunno
con le loro impossibili figure.
Aspetto l’attimo che questa vita
si smagrisce nel silenzio distante
che la fa quasi sembrare infinita.
La ragazza nell’acqua
Oltre l’erba che ingiallisce da tanto,
i bambini hanno inciso un segno
tra le scapole magre del castagno
e lì ciascuno scrive il nome –
mentre scioglie i suoi capelli verdi
la ragazza nell’acqua.
I pomeriggi incerti nella luce
che rimbomba dal cielo, alta sul fiume,
mette paura il temporale:
e i nomi cancellati dalla pioggia,
la sensazione, se scende la sera,
che ogni cosa poi muore –
il blu remoto dell’infanzia,
il silenzio in cui finisce la festa.
Quante volte, sotto le stelle immobili,
siamo tornati a cercare le impronte
dell’estate precedente, profonde
nel fango che copre i sentieri –
come ferita che non si richiude,
la ragazza nell’acqua.
Sassi
Sotto i sassi che uccidono la luce,
il mio fiume nasconde le trote –
eppure brilla per un attimo, feroce,
l’oro scuro delle pupille vuote.
Il sapore dell’autunno
Ha il sapore dell’autunno in bocca
l’acqua veloce che rallenta, stracca,
e ricopia una luna nata rossa –
ogni notte, nel silenzio che passa,
le vigne mandano odore di morte
che piano ti mangia da parte a parte.
Gabriele Marchetti, nato a Lecco il 2 luglio 1979, residente a Valgreghentino (LECCO), piccolo paese tra il lago e la Brianza. Diplomato all’istituto magistrale ”G. Bertacchi” di Lecco, laureato in Lettere Moderne all’Università Statale di Milano con una tesi di Filologia Romanza sulla letteratura arturiana spagnola, discussa con Alfonso D’Agostino. Ha pubblicato ”Urla nell’acqua” (OTMA, 2013), raccolta di poesie; ”Il vento e il mare” (Corebook, 2013), romanzo.