
Ha la grazia innata dei movimenti e la precisione esperta di termini e ritmi la poesia di Maria Gisella Catuogno. Tende con slancio autentico alla natura e ne conosce, tuttavia, la fragilità della “promessa vagheggiata” (Vigilia di primavera) e destinata a infrangersi, non senza aver prima danzato, incantando e incantandosi, al ritmo di un rondò.
In questo senso, Stelle frante è rivelazione di una poetica, suo manifestarsi nella catena impeccabile di immagini-suoni: “Non un filo d’erba/un grappolo di glicine/un sospiro di vento/un tremolio di mare/nell’alba appena desta/cambieranno di forma/intensità colori incanto.” Non è mero idillio questa ‘necessaria’ continuità, è, piuttosto, la musica, potente perché non teme di apparire semplice e sommessa (Il girasole), della “legge mite”, che regola, ovvero, più precisamente, “compone” i rapporti tra mondo e esseri umani, quella legge teorizzata da Stifter nella Premessa ai suoi racconti Pietre colorate e citata più volte da Heidegger.
La “legge mite” passa per una fase di rottura, di lacerazione, che nella lirica E già il cielo si infiamma di tramonto ha i tratti del contrasto cromatico, tra il bianco, autobiografico bagliore irresistibile del foglio da vergare “di segni e di parole/che modellino/ l’animo” e il rosso fiammante del cielo della sera, al tramonto delle illusioni di “bloccare il tempo/in un presente infinito”.
Che la nozione della “legge mite”, “dell’ordine universale” (Il girasole) non sia supina arrendevolezza, ma “intelligenza acuta/ e libera/ da ogni pregiudizio”, “calma paziente” che affianca la “curiosità”, la consapevole “accettazione delle sfide”, è chiarito dal ricordo insieme struggente e luminoso A Patrizia (ad memoriam): “Quel che più mi manca/è quello che sapevi/e che porgevi/senza salire in cattedra/come solo i veri maestri/sanno fare;/e quel passo franco/d’eterna ragazza/cittadina;/quel tuo vestito giallo/splendido sull’abbronzatura”.
La cifra di Stillano i giorni, nell’alternanza, dominata con agilità e sicurezza, di misure – al prevalente endecasillabo si intrecciano dodecasillabi e un settenario – e di ritmi diversi, è la “quieta grandezza”, è la melodiosa semplicità, è l’armonia con la quale Maria Gisella Caatuogno tesse, non priva di sublime ironia, classico e fiabesco, donando a chi legge, a chi ascolta, il ritratto veritiero, familiare e originalissimo, di un sé incantato a guardare “i petali dell’alba”, a riempire “d’acqua sorgiva” le brocche, ad aspettare “il sole,che sciolga questa brina”.
Anna Maria Curci
http://muttercourage.blog.espresso.repubblica.it
Stelle frante
Non mi nascondo la vanità del vivere
la sua fragilità di vetro di cristallo
la brevità di volo di farfalla
l’impronta lieve
appena sagomata
che resterà di noi
a chi toccherà
di vivere a sua volta
e penserà di nuovo
a quella vanità.
Non un filo d’erba
un grappolo di glicine
un sospiro di vento
un tremolio di mare
nell’alba appena desta
cambieranno di forma
intensità colori incanto.
E in ogni luogo
la bramosia di vita
colmerà di verde
i fossi a primavera
feconderà nei nidi
le uova degli uccelli
fiorirà i grembi
d’attesa e di speranza.
Perché la vita è questo
germogliare instancabile
e precario:
appena il tempo
di alzare gli occhi al cielo
e perdersi
nella luce
delle stelle frante.
***
Vigilia di primavera
Eppure l’aspettiamo, tutti gli anni
come l’approdo d’una promessa
vagheggiata nell’ombra fredda
delle stagioni morte;
come la gemma d’una speranza
di fede nella vita, tuttavia:
le piume d’un nido in attesa
sotto il tetto
il vento tiepido d’ Eostre
che rinasce
e semina di petali e di luce
le lande desolate dell’inverno
le uova fecondate degli uccelli
negli anfratti sicuri
d’una cavità d’albero
della concavità salata d’uno scoglio
le ripe che s’accendono di giallo
negli spettinati grappoli
dei fiori di ginestra
il mare già cosparso sui fondali
del baluginio biancastro
delle posidonie
il cielo più alto e meno vuoto
di voli e di schiamazzi
acrobata sospeso
tra verità e mistero.
***
E già il cielo s’infiamma di tramonto
Non si crederebbe l’attrazione
del foglio bianco a vergarlo
di segni e di parole
che modellino
l’animo –informe-
come creta il vasaio;
a bloccare il tempo
in un presente infinito
che non ci fiorisca di rughe
la fronte e il pensiero
per raccontare le storie del mondo
e di quanti l’hanno solcato
o sfiorato appena
e lui forse
nemmeno se n’è accorto:
della nostra alba di petali rosa
di un mattino fugace ubriaco di sole
e della lunga dolorosa sera.
Eri bambina un attimo fa
e già il cielo s’infiamma di tramonto.
***
Il girasole
Mi ha regalato mia figlia un girasole:
è assetato di luce, come me.
Ma a lui basta girare il capino
e offrire i petali alle carezze
dei raggi per star bene
sentirsi appagato
e al posto giusto
nell’ordine universale.
Non ha incertezze:
le corolle sono gialle e salde
il pistillo scuro e vellutato.
La notte si riposa
dopo aver bevuto
per tutto il giorno il sole
e forse sogna il fresco
l’ombra
il chiaroscuro.
***
A Patrizia (ad memoriam)
Quel che più mi manca
è il tuo sguardo lucido
sul mondo;
il tuo giudizio sicuro
su eventi o su persone
ispirato non da presunzione
ma da un’intelligenza
acuta
e libera
da ogni pregiudizio.
Quel che più mi manca
è la tua calma paziente
quel non lasciarti
condizionare
da nulla
se non dal tuo pensiero;
la tua curiosità
del mondo e della vita;
quella tua accettazione
delle sfide
d’ogni natura fossero:
le mani alla tastiera
o a sfogliare
come quasi sempre
libri
o a tagliare e cucire
come una sarta vera.
Quel che più mi manca
è quello che sapevi
e che porgevi
senza salire in cattedra
come solo i veri maestri
sanno fare;
e quel passo franco
d’eterna ragazza
cittadina;
quel tuo vestito giallo
splendido sull’abbronzatura.
Quel che più mi manca
è vederti in bici
o a spasso con i bimbi;
le chiacchiere e le risate
per strada o sulla spiaggia
per qualche ora
in vacanza
dai problemi;
e quel tuo ciglio asciutto:
una lezione
che non ho imparato
ancora
come invece
da sempre
sapevi bene tu.
***
Stillano i giorni
Stillano i giorni il loro avaro miele
e lo mescolano all’amaro quotidiano
per tentarmi alla vita, nonostante.
E i nodi dell’ansia che arrochiscono
la voce e la baldanza
profumano di nardo tuttavia.
Arpeggia lieve la mia malinconia
e le sue note si perdono nel vento
non fa più male, ormai, è solo compagnia.
Avvolgo alla mia rocca il filo del passato
[sguardi, sussurri e lame di parole
sorrisi, pianti e grumi di dolore
perle di gioia e grandine di rabbia]
e ne alimento il fuso del presente
pungendomi le dita, non di rado.
Non ho un principe azzurro al mio risveglio
né fatine gentili a trepidare
ma guardo incantata i petali dell’alba
riempio d’acqua sorgiva le mie brocche
aspetto il sole, che sciolga questa brina.
Maria Gisella Catuogno scrive di sé:
sono nata all’Isola d’Elba, dove vivo, mi sono laureata in Lettere all’Università di Firenze, sono sposata e ho tre figli. Insegno Italiano e Storia.
Ho pubblicato nel 2003 la mia prima raccolta di liriche, Parole per amore (Ed.Libroitaliano) cui sono seguiti altri testi in prosa ( Il mio Cavo tra immagini e memoria Nidiaci; Riviere Aletti; Vento nelle vele Aletti) e poesia ( Brezza di mare Ibiskos-Ulivieri; Fiori di campo Montedit) Ho partecipato a esperienze di scrittura collettiva (Il volo dello struffello, Liberodiscrivere; Malta Femmina Zona; Dedalus puntoacapo editrice)
Sono presente in molte antologie e ho ottenuto vari riconoscimenti.
Collaboro a testate giornalistiche e a periodici come Lo Scoglio dell’Isola d’Elba e L’Isola di Capri e a blog letterari quali Liberodiscrivere, Viadellebelledonne, Poetika,In purissimo azzurro, Flannery.