Dopo alcuni anni di silenzio, esce una nuova silloge di Maria Pina Ciancio. La plaquette poetica Tre fili d’attesa è stata stampata nel mese di settembre del 2022, in sessantacinque copie firmate e numerate su carte pregiate ed ecologiche Favini per conto dell’Associazione Culturale LucaniART e contiene in allegato una stampa illustrata su cartoncino dell’artista Stefania Lubatti. All’interno sono presenti i contributi di Anna Maria Curci e Abele Longo.
Nota di lettura di Maria Allo
I Tre fili di attesa, a cui allude il titolo della nuova raccolta di Maria Pina Ciancio, sono le attese e i legami non solamente tra le persone, ma i legami alla terra, a un paese, ai ricordi, alla storia. L’autrice lavora, nelle diverse forme del suo impegno, intorno a due nuclei: realismo e simbolismo. È infatti sempre presente la realtà connessa all’infanzia, alla solitudine, al mito dell’indistinto in fondo alla nostra coscienza, alla terra a cui si riconnettono i riti delle stagioniche permangono nella memoria come indelebile matrice esperienziale, ma la realtà è sempre vista in chiave simbolica, viene trascolorata in immagini metaforiche che connettono i dati del reale a trame più complesse. La ricerca di un’intimità con la natura spinge l’autrice ad addentrarsi nel paese natale, San Severino Lucano, luogo della purezza, che racchiude la verità e non impone delle scelte ma disegna le coordinate del tempo dell’attesa, come dice Anna Maria Curci nella nota introduttiva: “Abbiamo tre fili d’attesa / annodati al calendario del camino /: a bona sciorta / nu’ lavoro ca cunta // u capattiempo ca vene sempre chiù luntanu” (p.8). Ecco la buona sorte, un lavoro che vale, l’autunno che arriva sempre più tardi, nella cultura popolare e nel mondo arcaico e contadino emergono come depositari di un senso dell’esistenza ormai perduto nella condizione alienata della società. Scrivere, come dice Pavese, è spostarsi lungo un percorso continuo tra l’io e il mondo, resta sempre partire dalla realtà, dal dato storico-sociale, personale o collettivo, saranno poi il linguaggio, il ritmo, la qualità fantastica a operare la trasformazione grazie alla quale s’intrecciano altri nessi, analogie, similitudini, metafore. Alle parole scritte è affidato il compito dunque di ricompaginare la solitudine in una comunione: “Talvolta basta uscire per strada/ per riannodare gli orli/ sfilacciati di un pensiero” (p.6). A partire da questo,il cammino dell’autrice diviene sguardo all’invisibile di un Sud mitico “non fanno rumore i paesi d’inverno/ e il giorno e la notte passano zitti” ( p.8) o ”Le parole dette bene in paese/ sono peccati senza riparo/ un gatto randagio/ da scacciare a pedate per strada” (p.9) e cura delle cose e degli altri “ Qui i vecchi hanno la schiena stanca/ appoggiata al muro delle case/ e si raccontano storie condivise/ di veglie e sonni mai saziati”(p.9) con gli stessi occhi con cui ci si sofferma a considerare, pieni di stupore, il divino di boschi, alberi, rane e farfalle , paesi. Infine,questa ricerca di esperienza poetica soggettiva del mito dell’autrice, con mirabile capacità di sintesi, si traduce in un messaggio universale: “Siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno/ le guance rosse e gli occhi aperti al cielo” e la raccolta si configura come un’esplicita dichiarazione di poetica, dove Maria Pina Ciancio enuncia le connotazioni della parola della poesia: ”Ho un cielo d’inverno da inseguire/ risvegli e riverberi di resine/ memorie di partenze e di ritorni/ benigne solitudini. La chiusura travalica il fenomeno dell’atemporalità dell’atto poetico con un forte e preciso messaggio: ”Sulla via che ci incontra/ il vento sale e a te mi del riconduce” (p.11), ovvero la parola poetica continua a manifestarsi alla ricerca delle sue radici e al tentativo di rompere il cerchio della solitudine attraverso Tre fili d’attesa. Dietro la veste realistica, la ricerca di un linguaggio attento e calibratissimo, contraddistinto dal dialetto del paese natale dell’autrice, conferisce all’opera una voce inconfondibile, là dove “Timpa del Diavolo è meridiana senza tempo”, come dice Anna Maria Curci ed è chiaro dunque quanto la ricerca di un linguaggio, di uno stile sia funzionale al valore morale della comunicazione letteraria. (Maria Allo)
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“TRE FILI D’ATTESA” Maria Pina Ciancio, LucaniArt 2022
Con una stampa di Stefania Lubatti
Interventi di Anna Maria Curci e Abele Longo
Prefazione di Anna Maria Curci
Il tempo dell’attesa varia la percezione della sua durata muovendo fili che non sono immediatamente riconoscibili, dal momento che l’estensione di questi fa capo a mutevoli combinazioni di fattori.
Tre fili d’attesa di Maria Pina Ciancio ha consapevolezza di questa dinamica complessità e la accompagna a una collocazione nello spazio che rende tale particolare epifania dell’attendere vibrante di segni visivi e sonori.
Gli intervalli tra partenze e ritorni possono dilatarsi e condensarsi improvvisamente, ma ciò che conferisce a Tre fili d’attesa una voce inconfondibile è il loro incontrarsi nella lingua-madreterra del Pollino, là dove «Timpa del Diavolo è meridiana senza tempo».
Abbiamo tre fili d’attesa
annodati al calendario del camino
: a bona sciorta
nu’ lavoro ca cunta
u capattiempo ca vene sempre chiù luntano
La buona sorte, un lavoro che vale, l’autunno che arriva sempre più tardi, dunque, espressi in tre versi nel dialetto del paese natale di Maria Pina Ciancio, San Severino Lucano, disegnano le coordinate del tempo dell’attesa tra destino, fatica e alternarsi delle stagioni.
All’interno di queste coordinate, il balzo del cuore pensante si volge avanti e indietro. Quando il movimento è in avanti, esso è caratterizzato da un ricorso al tempo presente che esprime considerazioni di portata universale («siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno»), talvolta collegate a una forma del gerundivo che è invito operoso e, insieme, un canto allitterante ai tesori serbati dall’attesa: « Ho un cielo d’inverno da inseguire/ risvegli e riverberi di resine». Là dove il movimento è a ritroso, esso si volge al ricordo e alla rievocazione di vicende singolari ed esemplari, con l’uso ricorrente del passato remoto alternato all’imperfetto: «Sgravò a settembre nel letto/ dell’imbottita rossa/ dove zia Marietta alla buon’ora/ lievitava la pizzicata del pane nero/ Tre giorni covò la febbre/ al settimo Giacomino trapassò/ e anche il livato/ da sotto alla coperta/ in fretta rinsecchì».
Il ricorso all’espressione dialettale non è mai ornamento folkloristico, ma è strettamente collegato alla precisione del dire, tensione risolta efficacemente in un dettato poetico nitido, limpido, e alla nozione circa la necessità, quasi all’obbligatorietà della scelta linguistica, giacché il termine «livato», nel contesto appena menzionato, abbraccia ambiti di significato e richiama sonoramente memorie ben più di quanto possa farlo il corrispondente in italiano, “lievito”.
Le vicende di emigrazione e di aspettative, i «rivoli di storie», le «schermaglie di bambini», la «guerra d’inverno», le «notti difficili da dormire» sono intrecciate, storie condivise e restituite da una voce poetica che sa far tesoro di quel «tempo irreale» che ha il qui del paese tra partenze e ritorni, a «benigne solitudini» lungo un sentiero che sale, che si inerpica per incontrare.
Anna Maria Curci
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Talvolta basta uscire per strada
per riannodare gli orli
sfilacciati di un pensiero
Dopo la guerra dell’inverno
c’è chi parte e c’è chi resta
(…)
Gennaro e Vincenzino
sillabano il tempo
in anelli di fumo irregolare
e aspettano i ritorni
tra la ringhiera scorticata
e i gerani smarriti al grande cielo
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Ci sono notti difficili da dormire qui
per quel piccolo cane a tre zampe del vicino
che abbaia in cima alle scale
e rivendica ai passanti
l’equilibrio sbilanciato e senza nome
della strada
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Sgravò a settembre nel letto
dall’imbottita rossa
dove zia Marietta alla buon’ora
lievitava la pizzicata del pane nero
Tre giorni covò la febbre
al settimo Giacomino trapassò
e anche il livato
da sotto alla coperta
in fretta rinsecchì
*
C’è un tempo irreale qui
che comincia con la neve
e finisce a quaremma
con la strada che si asciuga
e i cani impazziti che rincorrono
il pallone di Antonella
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La vita così breve adesso
Il vento s’alza
e cerca l’uomo fermo sul muretto
quello che ingoiava stelle
in mezzo ai boschi
per suo figlio nato muto
con un cardo già appassito
in mezzo al petto
(poesie 2006-2007)