
Mutazioni di effimere gocce
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Un viaggio per acqua al tempo futuro: Marina Raccanelli sa riunire un atto di volontà, un impegno, con un’impresa che si prefigura, fin dai primi versi – tre perfetti endecasillabi – come densa di insidie nei suoi volti mutevoli. Con allitterazioni e assonanze abilmente distribuite, l’attacco delinea il programma mediante un’asserzione che non lascia adito a dubbi: “non c’è nulla di stabile in quel mondo”.
È un viaggio per acqua che conosce anse e soste, immagini e colori della poesia di Georg Trakl – penso alla “barca pavida” e alle “orride scogliere” di Lamento, alla “chiatta che scivola”, che “ondeggia luccicante” di Primavera dell’anima – eppure se ne distanzia con determinazione.
Così, dopo essersi lasciato indietro la città che “si allontana nel tramonto”, dopo aver oltrepassato “gondole funebre e palombari/ bare d’acque”, dopo aver seguito le immersioni di uccelli d’acqua a caccia di “prede vertiginose”, dopo aver ascoltato la promessa: “un giorno sarà l’acqua specchio e festa/diventeremo uccelli d’aria!”, l’io opera un cambio deciso al tempo presente.
Eccolo il punto di svolta: “e torno a navigare su lagune”. A prima vista si tratta di un ritorno, ma non è una resa, è una affermazione del sé, lontana da autocompiacimenti, ma pur sempre una affermazione, con una partitura musicale mutata: “lo sciaquio/sotto il fendere d’eliche veloci”, lo stridere della voce “nel salso” cede il passo al canto corale dei silenzi.
Scelta e soluzione è l’attestarsi dell’io in un ‘paese di nebbia’ – il pensiero corre alla lirica di Ingeborg Bachmann che porta questo nome . La virgola delimita gli ambiti e li definisce: “io, vivo dentro caligini”. Le due quartine conclusive, abbinate dall’anafora del comparativo di maggioranza, spiegano la scelta con predicati che rimandano immediatamente all’azione nello spazio: “saldare”, “penetra”, “divergono”, “dilagarsi”. L’avamposto individuato, l’appiglio, è “un balcone estremo”, il mutarsi “di effimere gocce” termina con l’azzardo della compiuta rarefazione: “davanti, non hai altro che aria/fino all’ultimo giro”.
Anna Maria Curci
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me ne andrò a filo d’acqua tra barene
barche all’affondo, marosi lucenti:
non c’è nulla di stabile in quel mondo
dove sbattono cenci d’ali
le case sono relitti, crollano le torri di guardia
e muraglie affiorate da spettri
mischiano il sale al rosso dei mattoni
rosso inquieto e l’acqua danzante
in gorgonesco ribollire
dell’argento e del nero, poi lo sciacquio
sotto il fendere d’eliche veloci –
la città si allontana nel tramonto
oltre gli alberi millenari, oltre gli intrecci
di foglie stellate, albe e tramonti
scorrono bruciando i contorni
gondole funebri e palombari
bare d’acqua nel taglio di questo
vivere obliquo su incagli –
venti scombussolati da nord
spazzano il sud, ci portano altrove
so che il cerchio lontano chiude
alberi e tombe, isole
uccelli d’acqua, non sentono il freddo
tra pali sbilenchi e ondate di vetro –
se la bora li esalta, nel salso
stride la voce, si spezza –
quando il vento risucchia il volo
in scarto d’ali, a prede
vertiginose, tra spruzzi
il becco precipita
cerchio d’acqua, pozzo verde
inclinato su fluidi crepuscolari
sprofondo e scendo ancora
mi rovescio nel punto zero –
liquido oscuro, in tangenza
di solitudine estrema
vesto un abito transitorio
un giorno, sarà l’acqua specchio e festa
diventeremo uccelli d’aria!
e torno a navigare su lagune
dove splende la nebbia nel mattino
volano aironi su corallo e fango
reti scure la sera si allungano
l’acqua si specchia in cielo
i silenzi cantano in coro
……………….
la stanchezza dei pali ha piedi verdi
succhiati in basso da teredini –
specchio azzurro macchiato di latte
mi guardi, ma non posso vedermi
ciuffi di memorie sparse
racchiusi in casse di risonanza
uccelli come punteggiatura, nebbie
fluttuanti su chimiche torri
tocco un’ipotesi al centro
del mio viaggiare svagato
l’acqua si mangia i pali, il tempo
sa chiudere gli interstizi –
le Dolomiti tutte coronano la laguna
di neve fresca
altrove
sprofondano i cieli oltre
velami di vapore fragile o cumuli sparsi
e guardi in alto e sfondi
mutazioni di effimere gocce
strati di apparenze in bilico
la tua freccia entra nell’occhio vuoto
d’indefinibile essenza
io, vivo dentro caligini
ma dovunque sono congiunti
l’alto e il basso, il principio e la fine
più facile saldare la propria buccia al pensiero
dove un sorriso penetra schiume slanciate
e i cerchi vibranti divergono
senza che l’acqua s’allontani dal sasso
più semplice dilagarsi dall’io pesante
appoggiati a un balcone estremo:
davanti, non hai altro che aria
fino all’ultimo giro
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Marina Raccanelli è nata a Fiume, ma vive a Venezia fin dall’infanzia.
Nel 2004, per la Oceano Edizioni, è uscita la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Variazioni in blu”; nel 2005, Firenze Libri ha stampato “Vento di stelle fredde“.
Si è classificata seconda nel Concorso internazionale di poesia “Montagna viva”, del 2004; ha ricevuto in seguito alcune segnalazioni in concorsi di poesia.
E’ presente in diverse antologie , fra cui “Acqua dolce”, pubblicata dalla Comunità Montana Valtellina in occasione del Concorso “Montagna viva”, “Il segreto delle fragole – poetico diario 2005 e 2007″ (Editrice LietoColle), “Il monte analogo”, nel 2009, “Navigando nelle Parole” vol.11 (edizioni Il Filo), alcune antologie ed E-book promosse dal sito Poetilandia, ed altre.
Marina Raccanelli partecipa al blog letterario collettivo “Via delle belle donne”; le sue poesie sono pubblicate anche in altri siti e blog.
Il suo blog personale si chiama “Poesie e altro“.
In collaborazione con Piero Orsoni e ispirata dalla sua creatività in campo fotografico, ha stampato nel 2009 “Immaginario”, un libro di immagini, appunto: fatte di luci, di colori e di parole.