CARO DIARIO
fffffff…foglie esiliate da kappa, da theta, da tau;
c’è una sola consonante che sta girando le vie di questa
sera mentre la folla diminuisce ritornando persona.
metty caso che, girato lo spigolo di una mera ipotesi,
il pensiero diventi l’incontro dell’altro pensiero.
fffffff…si potrebbe fare una frase fatta di effe,
stasera. le strade si sono allargate in una sana solitudine
e si possono riempire di qualcosa d’altro. in alto,
sulle case gialle, le persiane, e i panni svincolati dalle
pinze, dispiegano le ali migrando su mondi appena nati.
fffffff…”caro diario oggi inizio a scriverti. se avverti
la pressione di una penna è la mia voglia di viverti
intensamente, di scalare le pareti timorose per
raggiungere l’eremo assoluto di quello saremo io e te.
il vento stacca mille foglie, ma ne basta una per sognare”.
D’OSSO DI TARTARUGA
il suo ventaglio di parole prensili immerse
nel bicchiere con l’orsetto lavatore; gli immensi
pomeriggi girando le tazzine tenute dalle orecchie
stilizzate, e i luoghi posticci raccontati e riportati
sul presente teatrino all’ora del caffè.
ventaglio di seta e d’osso di tartaruga con i colori
vanitosi del pavone e dal fulcro dorato.
bagaglio di cose messe alla rinfusa correndo sotto
terra con il rombo delle chiglie ferrose sopra tutto.
strati di lutto come le cipolle “…e non le dico
il disastro risalendo all’aperto, le fiamme sui tetti,
i morti sepolti dai muri crollati. il fumo disegnava
la Morte, come le nuvole le bestie mansuete. e poi
il podestà a testa in giù, e la fuga indecente del re”.
tutti i pomeriggi la tartaruga ci portava con sé.
SINCRONIE
il 18, per arrivare in corso Sebastopoli,
lo prendevamo in via xx settembre,
e Maratona iniziava a colmarsi
di sciarpe e di bandiere. per ultimo,
a uscire, era l’undiciclone di Paolino
Pulici nel boato sincrono di coriandoli
e tamburi.
non ho mai più visto un prato così verde
meraviglia, e la fossa dei leoni era la diastole
e la sistole del gregge dei pari inscritto
in un ovale.
per arrivare sul corso d’opera dei nostri
diciott’anni abbiamo intrapreso la via dei xx
contrapposti sulle discronie involutive.
delle sincronie estasianti c’erano le notti
lampeggianti delle lucciole, c’era il virare
simultaneo delle rondini e dei pesci azzurri,
c’era il passo cadenzato dei compagni.
ma, la sincronia del prato verde brillante con
il cielo notturno di San Giovanni, non l’ho
mai più vista. chissà dov’è caduta la bacchetta
di Von Karajan, e il tram chiamato desiderio
chissà quale numero ha. ah, dimenticavo
una cosa, tra le sincronie c’era anche, e ci
sarà sempre, la mano nella mano.
IL FALCO E LA LEPRE
sento, disse, dissolversi la tela in superfice del reale.
vedo il falco che artiglia il barlume rosso della lepre.
tocco qualcosa di buio, e mi ritraggo nell’astrazione.
il bestiario assomiglia all’affanno del predestinato
a un milione di cose troppo difficili;
la coscienza è la metropolitana degli angeli di marmo,
e se non comprendi quella è la porta.
vattene.
dopo lo schiaffo il bambino è volato sul letto perché
la volpe ha detto male della madre del falco.
un padre può uccidere i suoi figli?
un padre può fare quello che vuole o che dio gli impone
nei pressi di un rovo
certe sere tira i sassi contro le persiane chiuse perchè
siamo scesi in un sotto vuoto spinto al di là del mondo,
nel sacco del mendicante con il pane duro. se tira i sassi
è una casa senza campanello.
il bambino è planato sul morbido senza rompersi niente.
il falco era lo schiaffo e la lepre era la guancia rossa,
e poi vattene ha rotto un piatto e ha sbattuto la porta.
UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN
di miseria e di stenti, in un punto dell’american dream
che la fortuna non segue. il gioco per imbrogliare la fame
è la spedizione al polo nord razionando ogni giorno i viveri.
il padre è un buon padre se non fosse del bere e del poco
lavoro, e la madre è più forte e rabbercia le entrate. Sissy
è la zia senza freni che solleva il morale e lo salta di netto.
Francie magrolina, emaciata, e il padre, cameriere cantante,
si accusa d’inetto. Neeley, un anno meno di Francie, metterà
i calzoni lunghi al funerale di Johnny, e di Johnny, Katie,
aspetta il suo terzo. lo chiamano l’albero del Paradiso perché
è l’unica pianta che germogli sul cemento e cresca
rigoglioso nei quartieri popolari. due centesimi di legna
a scaldare la casa razionando il calore poche ore la sera.
Francie e Neeley vincono un albero di Natale grande come
una quercia, e Katie rabbercia, rabbercia, rabbercia. prende
mille volte il nodo alla gola. è una storia che riscrive
l’epica in un salvadanaio coltivato togliendosi ogni giorno
una briciola di pane, un grado di calore, un grammo di riso.
LE SBARRE DELLA LUCE
la fortuna è un puntino di neve sciolto nel calore
del tuo sangue, e il credere alle cose è fatto del tenero
fiabesco nell’aspro risvegliarsi della voce soffocata.
nella città del sole c’è una casa con la corda della
Campanella da tirare, e la mappa del tesoro indica
il percorso da seguire per raggiungere la croce.
“tieni, prima di passare le sbarre, impara a memoria
questa carta. ci sono le indicazioni per arrivare a quello
che cerchi. ci sono gli esperimenti del cane di Pavlov
e delle oche di Lorentz; le api di Mandeville e la
guerra dei topi e delle rane di Leopardi. il materiale
lo trovi strada facendo, e sottraendo il peso delle mani
il tuo destino resterà a mezz’aria a galleggiare, un po’
grigio e un po’ celeste”. sono rimasto alla finestra fino a
tardi a veder passare le ombre dalle sbarre della luce.