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Nunzia Binetti

26 febbraio 2019

 

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Il tempo del male

raccolta poetica di

Nunzia Binetti

Edizioni Terra d’ulivi 2019

 

Non si presta mai troppa attenzione quando si inizia un libro- specie se di poesie – a ciò che va sotto la definizione di esergo, ma ho appreso nel tempo che se ci si sofferma su di esso, e si riflette sul suo significato, sforzandosi di capire cosa si nasconde dietro o dentro questo biglietto di presentazione che  molti autori pongono in apertura ai loro lavori, si ottiene quasi sempre la chiave interpretativa di ogni opera.

L’esergo che Binetti ha scelto per il suo lavoro è una citazione del poeta Camillo Sbarbaro, tanto amato dal ben più famoso Eugenio Montale,

Perduto ha la voce
la sirena del mondo, il mondo è un grande deserto.
Nel deserto
io guardo con asciutti occhi me stesso

Esaminiamo assieme queste righe il cui contenuto non ha bisogno di molte interpretazioni; esse ci dicono che:

a) il mondo non affascina più il poeta

b )il mondo è solamente un luogo completamente deserto

c) in questo deserto l’autore si osserva con occhi senza lacrime, e senza autocompiacersi.

Anche la nostra autrice scrive quasi all’inizio della sua raccolta:

Terse l’ albe che mai vedremo./Il femore regge la frattura/e incorporea e ribelle, quanto un’ idea estrema/non ama la moltitudine ma il ritiro nell’eremo/

e aggiunge in un’altra appena successiva:

Le Cose. Il vero mistero del mondo./ Esistono. Anch’esse sono. Vivono.

Per poi concludere :

Quella apparente indifferenza delle cose/è l’insuccesso dell’attore sulla scena./Ma vita non è solo respiro./bocca che parla, molecola di carbonio/che lega.

Le cose  esistono e sembrano indifferenti al mondo e di fronte a “questa (presunta, aggiungo io) indifferenza “non resta all’uomo che il ritiro dal mondo, però questo atteggiamento non può prescindere da un’altra componente del nostro essere umani, e cioè

Lasciarsi andare senza punteggiatura o regola. Non serve il rigo .Unico punto è l’anima;/

Lo sbandamento interiore sembra contrassegnato dal desiderio di “lasciarsi andare”, avendo come unico riferimento “l’anima“, lo ritroviamo in molte poesie della raccolta, ad esempio è espresso bene in questi versi

…Non so chi sono,/forse un fumetto muto,/un gioco scarsamente interattivo/e non concluso.

L’insoddisfazione di sé, la sensazione di essere “un fumetto muto“ e di far parte di “un gioco non concluso” inducono l’autrice alla  invocazione velleitaria di fuga in avanti, ed infatti in altra essa scrive “ essere liberi di non morire/ di non andare dove si chiama“…e poco sotto aggiunge “l’epigonismo non si addice mai al creato./ Meglio l’Angelo Ribelle che intralcia e poi rovescia. Leggere fra le sue ali l’odore di qualcosa di diverso“.

Un’anima dolorante che sembra talvolta invocare qualcuno scomparso, come il padre, al quale si sente estremamente debitrice quando scrive, esaminando il proprio sembiante

Nel viso una bellezza dura/eppure era bellezza, /enigma dolce che non si sa spiegare. /Nel suo DNA c’era cemento. /  Il calco a darle forma /  fu mio padre. //

e in un’altra aggiunge:

Scivolando in un avverbio temporale/dalla forma stretta di imbuto/ho gridato il tuo ritorno, padre,ma ero Orfeo; abbandonavo la mano al nulla presto./Preghiere antistanti/a richiamare chi mi ebbe sposa./I riti, il pianto./- Non c’è amore che valga, non c’è più amore,/saltati i vincoli nei legni e dietro lastre in travertino -/(dice la Storia)./Medito vetrificata, pallida, bel vestita,/padre, che mi insegnavi l’eleganza./Ho nudo il petto e spando disarmonie epocali./Vasi sanguigni, i miei, contano giorni/al greve ricongiungerci.

Più avanti incontreremo un’altra assenza, alla quale vorrei giungere con la delicatezza e la riservatezza che questo avvenimento merita, passando però prima attraverso l’esame di una condizione che mi sembra fondamentale nella poetica della Binetti, è cioè quella così chiara in questi versi:

Basterebbe un anemone/per colorare la solitudine/di inchiostro Blu China. Si parcellizza
l’ Essere/nello scontro con figuri/in questo tempo del male/e intorno si fa buio.// 

La solitudine è il veleno che corrode l’anima dell’autrice, la quale asserisce che per
“ macchiare le tele secche dei giorni/ trovare l’indaco, è solo questione di fortuna”  e questo veleno sottile la costringe a fare i conti con il tempo che logora tutti :

Non sei la Ragazza con l’orecchino di perla,/non sei neppure una ragazza/o l’albero felice./Il tuo corpo è in esilio,/con mano triste scrive versi che nessuno legge;/è in esilio,/in questa terra disadorna (cruda Colchide/non offre sentieri valicabili)./Il tuo olfatto è in esilio,/non declina odori maschi in giacca e cravatta./Il tuo piede è in esilio/lascia orme su pietre in basalto./Il tuo ventre è in esilio,/non lo vestono gigli./il tuo sguardo è in esilio./Sullo specchio s’appanna
e/rovina /Bellezza.//

Se il corpo è in esilio, se la sua poesia non è letta da alcuno, se il desiderio fisico è emarginato, non rimane che annullarsi come un fiocco di neve:

Cadere da fiocco di neve,/con lucida freddezza,/in modo irresponsabile/e poi subire il tonfo sull’asfalto,/ l’urto forte che brucia di calore/  e dà quell’unica risposta:/ sciogliersi./ E qui nevica bianco,/ nevica lento, nevica bene./ Qui nevica neve.//

 Ma la neve cui vorrebbe assomigliare non sa sciogliersi, anzi rimane nel bianco di un fiore quasi a tessere un dialogo con qualcuno a noi non noto, ma che di certo rappresenta quell’altra Assenza cui accennavo poc’anzi

Sto//nel chiuso di un tulipano bianco/prima che s’apra al mondo./Intima essenza,/al riparo dall’occhio indiscreto./Soltanto tu mi sai prossima a fiorire./Dicono che si fiorisca una sola volta,/non guardano il miracolo ch’accade /nelle primavere dei giardini./Nella carezza di Proserpina/rifiorirò./Lasciami nascosta,/come un amore clandestino,/nel tulipano tutto bianco. 

C’è un TU con il quale l’autrice sembra voler dialogare, un TU al quale si rivolgerà di concreto quando come Proserpina tornerà a rifiorire, un Tu che le impedisce di confondersi con i festeggiamenti invernali del Natale, e questa poesia che fa precedere con tre punti di sospensione il sostantivo finale “ vedova “ apre uno squarcio rapido sopra un panorama di fuga continua

Come accade a dicembre 

Fra piazze e marciapiedi una storia futura,/fatta di nulla./Intanto sono pronti/- come accade a dicembre -/altri muschi per Natale/e annunci che non sarai al cenone;/lì c’è troppa gente./Preferisci la docile luna alla cometa /(che rapisce la scena al Presepe)./Scolorisci – in difesa – per non farti cogliere,/guizzo nivale. E resto …/vedova.//

 Il pallore sul volto che si vorrebbe nascondere rimanda ai versi di quest’altra:

…ed Essere per Essere,/senza filosofia, senza politica,/dimenticando – ma per poco -/quanto sian soli i morti.//

 E forse come Proserpina costretta a trascorrere nell’Ade durante i sei mesi della stagione invernale, la nostra poetessa si porta nel cuore una

nostalgia che la corrode, un amore che  “è stato“ e la induce ad osservare sé stessa con uno sguardo stanco, senza speranza:

La casa pare un cunicolo spento,/vicolo chiuso;/non ha respiro./Un tempo l’attraversava mitezza./Più nulla le darai, più nulla,/se non l’immagine tua lieve oltre le rive,/prive di accesso./Sei stato amore, garofano bianco, dolore,/tutta la mia follia./Ed ora sono ammalata di te,/come mai prima.//

E’ una malattia che non ho timore di classificare al limite della disperazione, che fa perdere anche il significato della consuetudine ai gesti quotidiani:

Ci sono assenze che non sanno dire una parola;/sguardi distratti, vuoti di memoria,/chinare il capo sulla pentola in cucina/e non vedere il latte che si versa sui fornelli./Ci sono assenze… le traduci in solitudine;/un libro in mano, le gambe intrecciate sul divano,/le chiavi di casa che non trovi./E allora ti domandi – sto male, sto invecchiando?/o forse mi sto solo innamorando-/Disegna vuoti nell’aria con le dita/o fasci di rose rosa,/e mandami una canzone via web/perché mi manca./Ci sono assenze..//. 

E queste assenze stroncano ogni desiderio e lo trasformano in  inutile velleitarismo:

Sono incantamenti a portata di mano,/questa notte, tutte le stelle./Guarda, hanno uteri di fuoco/occhi di cielo/e lucciole o puttane, si offrono a mille./Scrutano beffarde, consumano./E poi a ferire a morte si versa sopra gli inguini/un fiume che è di luna./Ma amore o sesso/le sai sfere impossibili, inessenziali/e vivi il letto,/sola,/al margine di doghe, in netta insipidezza,/e il rischio di piaghe da decubito.//

Ho riscontrato durante la mie lettura versi di una donna che sa scrivere di poesia e che sa utilizzare le parole, le sa mettere in ordine assecondando il flusso dei ricordi e delle proprie memorie private folgorando in questo modo gli occhi e la mente di chi ama la poesia, come è chiaro da questi ultimi tre versi di una brevissima che riporto

Il cielo della mia notte ora è più chiaro/
né più temo l’assenza./
Ti sfilo dal cuore, come un ago.// 

Però non posso chiudere il mio discorso complessivo su questo lavoro senza tornare su quanto appare nell’esergo, ignorando quel verso di Sbarbaro che dice: “… il mondo è un grande deserto“, verso che mi costringe  a trovare gli agganci dentro i testi di Binetti, a coronamento di quanto lei ha aggiunto in una nota in calce al suo lavoro che dice:

…il percorso della scrittura è stato caratterizzato da una duplice tensione compulsiva: l’auspicio di un ordine totalmente nuovo nel mondo e la percezione della illusorietà di ogni aspirazione alla sua salvezza

e l’ho rintracciato in questi versi:

Terse l’albe che mai vedremo/. Il femore regge la frattura/ e incorporea e ribelle, quanto un’idea estrema / non ama la moltitudine ma il ritiro nell’eremo;/ lì regna il silenzio di pietose novizie./ Fuori dilaga e governa il carminio,/ senza fede fa mattanza di indifese cocciniglie./ Il bisturi c’è, non sana, solo scintilla//

Le nuove albe rappresentano un ordine sperato ma irrealizzabile, e non c’è altra speranza che “ il ritiro nell’eremo perché il carminio è senza fede “, e non si può trovare la salvezza utilizzando un bisturi che è solo apparenza.

La disillusione nei confronti del modo la troviamo ancora più avanti,in altri versi che dicono:

E’ perfezione ardita la solitudine,/ silenzio libero in un distendersi del tempo/ che quasi per miracolo s’allunga // Prestare gli occhi al sonno per la noia/ cedere al nulla./ Bianco ci acceca il nulla, come neve; splende, rasserena, e non ha odori o morbidezze/che della nostra stessa carne./ E’ egotica tendenza al non pensiero /autocontemplazione/ rigetto di teorie, ed Essere per Essere,/ senza filosofia, senza politica,/ dimenticando – ma per poco – quanto sian soli i morti //

 E’ una visione dell’esistenza senza speranza, ove su tutto sembra dominare la noia e la voglia di addormentarsi per ignorare la tendenza della contemporaneità a vivere senza significati, senza teorie filosofiche, ignorando che questo modo di  vivere ci avvicina sempre di più ad un mondo di morti.

  

luigi paraboschi

7 febbraio 2019