
La rappresentazione e l’acquisto della perdita: le “[litoranee]” di Pier Maria Galli
Chi associa sempre l’idea (e la percezione) del sentimento a un tipo di poesia fluida, generosa, colloquiale, dall’apparenza spontanea, potrebbe ricredersi leggendo a fondo queste [“litoranee”]: perché se c’è una cosa che qui colpisce è l’emergere di un sentimento personalmente declinato eppure basilare, appena dietro le ripide di uno stile ellittico ed elusivo.
Ma non siamo ancora pronti a entrare in questo nucleo tematico e sentimentale. Servono varie letture (ne consiglio almeno 3 o 4), e poi prima dobbiamo rendere conto dello stile di Pier Maria Galli, che ci lascia sospesi tra ammirazione e interrogazione. Perché, in ogni poeta che si rispetti, lo stile è parte integrante del contenuto, è il più corretto accesso alla sua interpretazione. Vediamolo dunque più da vicino.
In “[litoranee] 10”, tre brevi dichiarative si giustappongono senza nessi diretti; una costruzione che ricalca l’ablativo assoluto (“a vento / cessato”, con valore temporale) si interpone tra soggetto e verbo, a rendere sinuosa l’assertività dei versi; gli aggettivi, tutti posposti e a fine verso, pesanti e necessari, contribuiscono all’ineluttabilità di quanto si afferma e constata. In “[litoranee] 8” gli eventi suggeriti dai verbi sono raggelati nella funzione dei nomi e negati (“questo mai toccarci”, “magrissimo dire”, con splendida sinestesia visivo – uditiva); questo testo ha una carica più sensuale (“mai toccarci”, con privazione o aumento del desiderio, e “luogo che si spoglia”, ovvero che viene privato di qualcosa o che si offre del tutto), come se alla constatazione della lontananza seguisse un avvicinamento. In “[litoranee] 0” questa intimità si fa ancora più evidente con il diretto riferimento a un “tu” dotato di parola (“non smettere, / è l’unico viso che ho”), con il “legato” dei versi (che, grazie ad ambiguità sintattiche, hanno un senso compiuto da soli ma cambiano se legati ai successivi), e con il non-detto dello stile nominale, che registra con amorevole rispetto, senza invadere e modificare (“riprenderti. / un primo piano / poi due poi tre”). In “[per tenerti quotidianamente a memoria]”, la verticalità del linguaggio raggiunge il culmine, con slogamenti sintattici, parentetiche, sinestesie e altre ambiguità sintattiche (“solo” si può legare a “odore” ma anche all’infinitiva “per lasciarti fare la sera”); dall’intimità e sensualità delle poesie precedenti si passa a una vera e propria carica erotica (“viale segreto”, “fondo di un respiro”, “viso di rapina”: che prende anziché riprendere). Infine, “[litoranee] 4” ha la compostezza, la brevità e la luminosità (“luce”, “sole”) di un haiku.
Uno stile, in breve, frammentato, lontano dalle mimesi dell’affresco e della narrazione e più vicino, semmai, a una essenzialità per nulla appacificata; continuando la metafora artistica dell’affresco, direi che ci troviamo più che altro davanti a una serie di variazioni su un tema, opere monocrome percorse da un taglio poco vistoso ma profondo: la perdita dell’amore e della passione, perdita su cui ci si interroga per le sue implicazioni conoscitive e percettive; e questo senza mai scadere nel “teatro di sé”, nell’esposizione delle proprie sofferenze in cerca di commiserazione o facile consolazione. Ed è proprio il dover, in un certo senso, “forzare” questo stile (capirne i modi obliqui di nominazione per sottrazione e scomposizione) a garantire una lettura più attenta, indirizzata, più focalizzata; o ci fornisce, se preferiamo, l’angolo giusto dal quale trarre la nostra rappresentazione dei testi stessi.
Nell’accennare a “focalizzazione” e “rappresentazione”, non sto facendo altro che avvicinarmi al nucleo tematico di questa sequenza (compresi i testi qui non presenti e leggibili sul sito dell’autore), che s’interroga sull’atto della scrittura, atto che sempre comporta un distanziamento, una perdita, un filtro interposto; distanziamento sottolineato dallo stile appena descritto. E la scrittura è davvero il filo tematico (si veda come ricorrono, in posizione “forte”, le varie forme lessicali “scriverci”, “scriviamo”, “scriverti”, “c’è scritto”), declinato anche, analogicamente, in “pellicola”, “stremata” perché umana, perché prodotta dall’uomo.
Il ciclo stagionale (ma interiorizzato) è l’altro asse portante della narrazione (perché sì, malgrado tutto, una storia è possibile leggerla): dall’inverno del primo testo alla primavera del quarto (che a sua volta si scompone in “mattina”, “pomeriggio” e “sera”). Altri tasselli di coesione lessicale sono la ricomparsa del “vento” (dal primo al secondo testo), del “viso” (dal terzo al quarto), del “giardino” (spazio segreto e segregato, regressione, Eden perduto); chi leggerà le altre litoranee sul sito personale di Pier Maria Galli, realizzerà quanto queste “ossessioni lessicali” siano pervasive, andando a costruire un microcosmo lirico di perfezione minacciata, una miscela di pudore e straniamento difficili da trovare oggi.
Non ho ancora interpretato nulla, né è mio volere farlo nel senso tradizionale del termine; mi sento solo di suggerire delle possibili letture di parti che ho trovato più “ardue”: “le rose burrascose” che “ci fanno causa” possono essere interpretate come il rimorso (“ci fanno causa”) del sentimento che fu (“rose burrascose”: si noti anche il gioco tra queste e il vento “cessato”; a questo punto i “muri spogli” possono alludere analogicamente al foglio bianco); “sino alle foglie per la foglia” mi ha riportato in mente alcuni versi di Milo de Angelis (“insistere del verde / fino alla foglia”, da Tema dell’addio) e di Sereni (“la foglia che più resiste / voglia intermittente”, da Stella Variabile) e lo interpreto come autoreferenzialità (il dire “magro”, cioè inconsistente, e la struttura di “foglie per la foglia”, tautologica e circolare come il concetto di “arte per l’arte”); “scesa di sole” può essere interpretato come “scesa dal sole” (= fatta terrestre) o anche “diminuita di bagliore/di calore” (si veda “nel resto di tua luce” appena prima), per doppia sostituzione metonimica; si noti anche il riferimento al film di Bertolucci “Io ballo da sola”, a legarsi al riferimento alla pellicola due testi prima.
Influenze poetiche varie convivono, filtrate dall’obiettivo personale di Pier Maria: lirismo alto e antisentimentale, da Char a De Angelis; tendenza all’haiku (anche nell’insistenza stagionale) e imagismo misto a surrealismo; minimalismo e occasionale stile asintattico, come le avanguardie. Tutte tendenze, queste, che convergono in una poesia vibrante e coesa, dove una narrazione ellittica (la perdita dell’amore combinata con l’acquisizione della scrittura) si mescola all’indifferenza per la sequenzialità: questa – segnalata dalla numerazione che contrasta l’ordine di apparizione sulla pagina – ci invita a scombinare le carte, a riordinare i fotogrammi di questa pellicola in possibili altri modi. Ci invita, in altre parole, a ripercorrere il percorso artistico, a dargli la nostra impronta di lettori.
[litoranee] (10)
le rose burrascose
a vento
cessato
ci fanno causa sopra i muri spogli:
(raffigurare è un movimento totale)
– da scriverci che l’inverno
è una passione
fredda
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[litoranee] (8)
questo mai toccarci
nel luogo che si spoglia,
magrissimo dire di giardini
sino alle foglie per la foglia,
e nulla c’è che insiste più
di quel vento che solo
scriviamo
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[litoranee] (0)
scriverti è già una cosa
che ti assomiglia
ad uno sguardo
&
riprenderti.
un primo piano
poi due poi tre.
e ancora a perdifiato,
a pellicola stremata.
e tu che dici: non smettere,
è l’unico viso che ho
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[per tenerti quotidianamente a memoria]
c’è scritto giardino dove di mattina hai brine limpidissime, minime primavere tra l’erba. (pensavo). ma uno non può, a che gioco giocare, riprovare poi pomeriggi assolati e scioglierti nel viale segreto di un odore solo per lasciarti fare la sera sul fondo di un respiro, col tuo viso di rapina che si piega su di me
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[litoranee] (4)
nel resto di tua luce
balli da sola
scesa di sole
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Pier Maria Galli è nato nel 1962 e risiede a
Orta San Giulio (Novara).
Ha pubblicato su diverse riviste tra cui Fiera,
Il Segnale, Bloc Notes, Alla Bottega, ecc. e nell’antologia Discorso Diretto (Ed. Canova).
Le raccolte: Indizio (Ed. TAM TAM, 1987), Dilogia (Ed. del Leone, 1987), La parola, oltre
i segni (Ed. Forum/Quinta Generazione, 1988), L’istinto delle cose (Ed. Forum/Quinta
Generazione, 1989), Basso paesaggio (Quaderni di Poesia del Gruppo Fara, 1989), La trattoria modesta (in proprio, lulu.com), Di un tu e quasi noi (Ed. del Leone, 2005) , Ottanta piccoli studi da lavandino (Ed. I figli belli, 2005), Prima che sia autoritratto (Editrice Zona, 2008), Gli uomini belli ed altri cortometraggi (Clepsydra Edition, 2009).
Volumi disponibili:
– Ottanta piccoli studi da lavandino (Ed. I figli belli, 2005)

– Prima che sia autoritratto (Editrice Zona, 2008 )
altre notizie qui http://piermariagalli.wordpress.com/chi-e-cosa-su-carta/#comment-431