“Vita, vita che mi parlavi
in versi che ho dimenticato.”
Talora sono sillabe onomatopeiche pietrose dove il dolore umano si incarna nella persona del poeta: “Gracchia la macchia… e il verso mi crepa… greve di morte”, altre volte la forma si distende maggiormente: “ancora oggi stento ad alzarmi dal letto… nonostante uno scomodissimo sospetto: ch’io stia ancora dormendo, che sia una burla nuova”. Già. È la stanchezza umana che si chiede sempre la stessa cosa: ma perché esisto così, in mezzo a tutti gli altri?
E c’è, come in ogni uomo e poeta, il ricordo dell’infanzia: “Il succo fatto con le arance del nonno, i panini con la frittata della nonna, vado lontanolontano e le pere piccolepiccole e il cane Birillo che abbaiava alla mia bicicletta” fino alla domanda finale che tutti ci poniamo: “dove sono i bambini con cui ho giocato?”.
E le poesie per una ragazza: “Amore, ricordi? Un tempo noi quaggiù si brillava…vita, vita non mia, amore profondo che porto dal caos fino al senso…”: è l’innamoramento per una vita diversa dalla propria, che l’ha sostenuto, affascinato e potenziato come poeta: “vita, vita che mi parlavi in versi che ho dimenticato”.
E il dolore per l’amore perduto in Il tuo gelsomino:”Nessuna risposta, vita mia. Chissà con chi stai dormendo e cosa stai sognando”. E intanto egli accarezza i petali del gelsomino come se fossero la pelle di lei, gesto che tutti prima o poi compiamo quando amiamo: i petali del gelsomino o una fotografia oppure un oggetto che l’altro ha toccato.
da VERSO UN’ECOLOGIA DEL VERSO
*
La mia strofa monca
Gracchia la macchia che infetta
questa disordinata memoria imperfetta.
Cornacchia! E il verso mi crepa
davanti gli occhi
come il muretto a secco
quando il bue lo zoccola forte.
E frana la fine che l’uomo
gli aveva imposta:
la triste pensosa
confinata sorte.
Questa la mia strofa corta, monca,
greve di morte.
*
La mia strofa
Fa, dìsfa diesis di coltri,
condense nel sole oltre la linea
d’orizzonte, la siepe e ancora
e ancora oltre.
«Oltre il verso, l’accapo,
immersa in un suono diverso,
questa la forma in cui sono discesa
come goccia d’infinito
nella carne del poeta:
sfasciata»
*
da IL POTERE, I GIOCATTOLI
*
Ancora oggi stento ad alzarmi dal letto,
come quand’ero bambino,
voglio restare nel buco matto dei sogni,
non voglio cadere in un altro mattino.
Voglio e non voglio.
Il mio spirito si fa spaccapietre al primo rintocco
di sveglia, sconquassa la carne,
scuote le budella. Devo.
Devo svegliarmi nonostante me stesso,
nonostante il progresso, e le cose da fare,
l’evoluzionismo del regno animale,
il materialismo e lo smog, i rincari,
la foga degli sconti e degli straordinari.
Devo destarmi, alzarmi dal letto,
nonostante uno scomodissimo sospetto:
ch’io stia ancora dormendo, che sia
una burla nuova del sonno, che sia
Orfeo divertito a scavare solchi nella veglia.
Che sia vero questo mondo che mi si sgretola
davanti gli occhi?
*
La mia via Pal
*
Dov’è finita la mia vita? S’è disciolta, è scappata.
Rincorro il passato, vado lontanolontano, fra una canzone di Bersani
e il succo fatto con le arance del nonno,
e i panini colla frittata della nonna, e le pere piccolepiccole
e l’aiuola infiorata dove brillavano i soldatini,
all’ombra d’alte fronde,
fra le raudi-incantesimi di Toro Seduto.
E dov’è finito Birillo il cane, il compagno di tutta una vita,
la speranza di tutto quel mondo fatto di niente,
di spionaggio internazionale, combattuto con le spade in legno
e le fionde a difesa dei bastioni di canne,
degli alberi-castelli presi per vendetta
al richiamo dei venti originari
che squillano l’amore il viaggio e la rapina.
Dov’è Birillo, che abbaiava alla mia bicicletta?
Dov’è la campagna vergine?
La stupravamo con la nostra fantasia feroce,
dov’è la quercia-casabase, dove sono le radici di quei giorni?
Dove oggi grattano le falde
gli spurghi delle villette a schiera?
Dov’è Ruben, piccolo solitario amico,
dov’è la bimba bellissima che di tanto in tanto
mi appariva dolcissima creatura, dove sono
i Gemelli, compagni di giochi e di botte,
dov’è la fonte di tutte le mie fantasie,
il casotto dei miei giocattoli e la tenda dei pellerossa?
S’è asciugata la pozza stagnante, gigante
– dove cacciavamo, noi paladini di campagna, i nostri draghi pazzi,
e l’imprigionavamo nelle bocce in vetro, dietro l’etichetta delle rane –
precipitata come una manna di pioggia
sulle fondamenta d’uno scheletro di villa abbandonato,
la nostra Camelot marittima,
contrada Granelle, a Pozzallo.
Dove sono tutti i bambini
con cui ho giocato?
*
da LUCI, MECCANISMI E PLASTILINA
*
Meccanica del tempo e dello spazio
Lascia che sia
velocissimo adagio
questo gioco impalpabile
dello spirito.
Lascia correre,
non temere:
ogni paura è paura di morire.
Lascia morire
dolcemente.
Dove credi di andare?
Sei già arrivato.
Chi credi di essere?
Puoi nient’altro che te stesso…
Vuoi altro tempo?
Ma ne hai già tanto
quanto bisogna,
ti è stato cucito addosso,
stupendo, maledetto,
soglia dopo soglia…
Sono discesa all’inferno / da dove riguardo stupita / le mura di Gerico antica
(Alda Merini, La Terra Santa)
*
Nuvole
Attimi regolari,
visioni costanti, poi
cadono, evadono nell’ebbrezza
d’altri attimi
incoscienti, irreali,
lenti: vertigini sospese.
Stai lì sulla soglia
del nulla
e vorresti aggrapparti almeno
a un pezzo di cielo.
Sei lì senza il terreno
sotto le scarpe, senza
il senso, la distanza.
Giacere su una nuvola,
mentre evapora la vita
vicinissimamente in lontananza.
*
da IL MIO JIHAD
*
…i mastrini, diceva, del dare e dell’avere;/ e a me sembrava osceno, vergognoso,/ parlare di teoria dei soldi a scuola.
(Maurizio Cucchi, Il nano ragioniere dai capelli grigi…)
Ho visto le vostre congetture sfracellarsi,
i vostri mastodontici disegni sfracellarsi
contro la linea sottile del mistero,
come giocattoli giù dal quinto piano.
Ho visto i vostri avvocati cazzuti
fare molti passi indietro – dicevano,
s’erano sbagliati, non è vero
che la vita è un master in gestione aziendale.
Vedo i piccoli cieli fumosi
che sono i tetti dei piccoli sentieri
dove ognuno s’illude di trovare
la sua strada.
Ci hanno disegnato su misura
una scala mobile scontrosa,
uno schema emozionale,
una fabbrica di vita,
un progetto d’altura.
Ma la Via era già segnata,
la porta aperta,
e in pochi l’hanno capito,
e oggi
ci pagano a stento le bollette.
Ascolta tu pure: è il Verbo stesso che ti grida di tornare.
(S.Agostino, Confessioni)
*
La Parola
Non lasciare che l’amore per l’imprevisto
ti distolga dalla Ragione.
Sii come il bimbo che vaga per la campagna
nella speranza di scoprire
un nuovo colore di lucertola.
Conserva lo stupore del mistero,
ma la Parola,
ti prego,
non perderla.
*
da LE FIGLIE DEL FUOCO
*
Vita non mia, dolore/ che porto dalla notte/ e dal caos,/ ti risenti improvvisa nel profondo,/ ti torci nelle angustie, sotto il carico. (Mario Luzi, E il lupo)
Amore, ricordi?
Un tempo noi quaggiù si brillava.
Seguivamo un passo celeste, era lama
la linea del mio sguardo e tagliava
il tuo cielo di stelle lontane.
Vita, noi abbiamo attraversato
le nebbie dello sconforto,
e i terremoti dei turbamenti, e l’assalto
di mille folli sbilenchi
sentimenti.
Vita, vita non mia,
amore profondo che porto
dal caos, fino al senso,
fino a un barlume di ricostruzione
che avvampa i miei sogni.
Vita, vita al di qua dell’inchiostro,
che non sei di questo mondo
eppure sì, eppure lo attraversi.
Vita, che cosa esattamente
abbiamo attraversato?
Vita, vita che mi parlavi
in versi che ho dimenticato.
La Chioccetta per l’aia azzurra va col suo pigolio di stelle
(G.Pascoli)
*
Il tuo gelsomino
Quattordici chiamate perse,
nove essemmesse e nessuno
che fosse l’unico
desiderato.
«Come stai, amore mio?
Sono stanco, grigio, affaccendato…»
Nessuna risposta, vita mia.
Chissà con chi stai dormendo
e cosa stai sognando.
Il gelsomino notturno infiora ancora
la sera e i suoi intarsi di stelle,
gli astri più dolci e… i più lontani
e le mie mani
quando lo accarezzo,
fingendo
la tua pelle
*
*
Riccardo Raimondo, classe ’87. Poeta, narratore, critico. Studia Lettere Moderne. Accademico degli Incolti da dicembre 2011 (www.accainco.it). La sua prima raccolta di versi è Lo Sfasciacarrozze (A&B 2009). Il potere dei giocattoli (Sentieri Meridiani 2012, a cura di Daniele Maria Pegorari, prefazione di Sebastiano Aglieco, copertina di Elisa Anfuso) è la sua seconda raccolta. Collabora con diverse riviste e webzine nell’ambito della critica d’arte, letteraria e di costume.
Per maggiori info: www.riccardoraimondo.com