Archive for the ‘rivisitazioni’ Category

Giorgio Galli

23 settembre 2022

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Editore: Il Canneto

dalla prefazione di Marco Ercolani

Titolo singolare, per un libro, LE MORTI FELICI.
L’ossimoro ci guida verso un enigma da cui sorge spontanea la domanda: come può una morte, la “fine” di una vita, essere chiamata “felice”? Il racconto più breve del volume ci suggerisce una spiegazione possibile:
«Morte di Icaro
“Dedalo dovete consolare, è lui che muore disperato. Io sono morto vicino al sole”».
La breve frase pronunciata da Icaro, una frase di gioia esaltante, contrasta con la tragedia conosciuta: il figlio di Dedalo, chiuso con il padre nel labirinto di Creta, si attacca le ali al corpo con la cera e vola via: quando il sole scioglierà, lui precipiterà in mare, morendo. Il breve racconto di Galli non omette la tragica fine ma la trasfigura e fa dire ad Icaro la sua felicità di essere “morto vicino al sole”: un enunciato gioioso, quasi eroico, che ricorda le ultime frasi vergate da Heinrich von Kleist alla sorella Ulrike prima del suicidio: «Immortalità, alla fine sei mia».
Questo rovesciamento prospettico traversa tutti i racconti del libro, che si divide in due sezioni: ISTANTI (L’orizzonte, Il nome, Radicati, Nella vita, Sparire) e STRADE. Proviamo a percorrere, rapsodicamente, le trame di alcuni racconti. Ghiat ad-Din, il poeta Omar Khayyām, chiede una brocca per bere, saggia la direzione dei venti, e si addormenta del sonno profondo dei Sette Sapienti. Turoldo, il cantore delle gesta di Orlando, si pente di essere stato così superbo da firmare con il proprio nome il suo poema. Ugo d’Orleans scrive versi con la sapienza dei teoremi di Euclide. Leonino e Perotino vengono citati come i primi musicisti medioevali di cui si ricordi il nome. Josquin Desprez non teme più la morte perché nella sua musica l’ha saputa modulare a più voci. John Dowland si confessa uomo gaio e vigoroso che ha scritto canzoni tristi per richiudere la malinconia in piccole fiale perfette e poter camminare poi allegro. Il pianista Rudolf Firkusny parla dell’appassionato amore del già anziano Janàcek, insonne e innamorato. Il direttore d’orchestra Antonio Guarnieri, di cui restano rarissime registrazioni, è descritto come un uomo in cui la volontà di perfezione e l’umiltà di sparire sono inseparabili. L’inflessibile Toscanini rivela la sua predilezione per il giovane Guido Cantelli, che morrà prima di lui, in un incidente aereo. Max Brod ci racconta che Kafka avrebbe voluto fossero bruciati i suoi racconti perché parlano di una infelicità che lui adesso, è lontano dal provare. Lo scrittore praghese Bohumil Hrabàl confessa: «[…] Me ne sto qui con la mia famiglia e i miei gatti, aspetto tranquillo la morte perché tanto sono finito e non ho niente da dire, certe notti mi addormento con la finestra aperta e allora sogno Egon o Vladimìr e poi più niente, sono sempre stato fuori dai giochi e me ne sto tranquillo ad aspettare la morte, qui Sull’argine dell’eternità».

… continua qui  https://giardinodeipoeti.wordpress.com/category/giorgio-galli/

Rivisitazioni

15 settembre 2022

Ogni tanto pubblicheremo un testo di poeti che hanno dato lustro a questo sito, con relativi link per leggere notizie e altre poesie qui e nei rispettivi blog.

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Cristina Annino

*

Il pittore omofobo ci racconta di Jack e di quel ritratto

“Mi guardò come fosse importante
vivere. C’è tanto di quel d’affare, Jack
(usando l’inglese). Gli uscivano onde dal
cranio, qua e là toccando con gli occhi
le cose. La stanza remò nel sole, per lui,
per un’algebra strana. Vita secondaria,
un quadro, puzzava! Lui lì da cafone
in posa, con quella mollezza che regge
una piuma in mare. Per capirci. Che vale
una piuma di gallo? Muoveva
le orecchie per via dell’otite, era sghembo,
il contrario di tutto. “Fammi Picasso,
coglione, non hai capito come si fa?”
Io non imito, Jack. Allora esplose
la spranga, non so, un lungo fascio
di strisce lente, a casaccio, come volasse
un catino d’acqua. Voleva sé come
Pablo, già sfatto, turchino viola, gli angoli
retti del naso, poi rosa niente sulle
pupille. Così. Non gli detti il visto. Alla
dogana, spinsi in là quello sguardo stracotto
di malaga puro. Era troppo, era un guaio, potevo
sparargli per strada, potevo farlo.”

*

  • altro di CRISTINA ANNINO qui