TEMPO DI RISERVA di Silvia Rosa, Giuliano Ladolfi editore 2018
Dalla prefazone di Gabriella Montanari:
“[…] In queste poesie di Silvia tornano frequentemente termini o espressioni che hanno a che fare con lo sperpero, lo spreco, la quotidianità scolorita, la banalità di giornate tutte uguali, la gabbia domestica, la noia, il niente, il vuoto, la nudità, il buio, il freddo, il silenzio, l’assenza, le ombre, le illusioni, le delusioni. I corvi giorni, neri come i pensieri. E non tornano solo d’inverno. Ne sappiamo qualcosa tutti, credo. Leggendo Silvia ho pensato ai diari-confessione di Sylvia Plath, in particolare alla sua campana di vetro. Quel guscio invisibile capace di proteggerla dal mondo esterno e al tempo stesso soffocarla. E ho pensato a lei che cerca di scalfirlo con la poesia, unico, liberatorio antidoto all’asfissia.
[…] Tutto il calendario di Silvia, per quanto suddiviso in quattro momenti, è un’unica lunga stagione, quella che le condensa tutte e le osserva avvicendarsi senza sosta. È la stagione dell’analisi, della somma parziale, dello sguardo rivolto a quello che è già stato. E non torna. Al pari dell’infanzia, la vera protagonista di questa raccolta e, a mio avviso, uno dei pilastri della poetica di Silvia Rosa. Del resto, quello dell’infanzia, è un tempo non tempo. Immobile, quasi eterno, scrive lei. Irripetibile ma sempreverde nella memoria, traccia incancellabile, concime per l’età adulta.
[…] Silvia, Cappuccetto rosso, noi tutti, in quanto esseri umani, siamo deboli e possiamo sbagliare. Perdiamo l’ingenuità e l’innocenza infantili quando incontriamo i pericoli nascosti dentro e fuori noi stessi.
Riceviamo in cambio la saggezza di chi ha superato delle prove fondamentali. E anche vivere è una prova, forse la più necessaria e ardua. Percepire la giovinezza alle nostre
spalle. Non poter più scegliere la vita che avremmo voluto. E allora i corvi giorni di Silvia. Ma senza lamenti, senza autocommiserazione. La sua è una non rinuncia. E il lieto fine, se non dall’amore, verrà dalla poesia e dal suo potere taumaturgico.
[…]” (Gabriella Montanari).
*
Testi tratti da “Tempo di riserva” (Giuliano Ladolfi editore, 2018)
CHE SPERPERO QUESTA QUOTIDIANITÀ
Che sperpero questa quotidianità
svuotata di tenerezze, nudo
sasso che ci rimbalza contro, sguardo
d’orizzonte addomesticato asciutto
e io che costruivo
geometrie golose di parole
per rendere meno scialbo
il battito meccanico
della lingua contro i denti,
al modo dei bambini
provavo il gioco ripetuto
‒ serio ‒ di stringersi
ancora e sempre come se
non ci fosse un seguito)
che sperpero la morte bianca muta
da un giorno all’altro identico di piccole
lucciole di felicità intermittenti, schiacciate
al buio di un tempo così distratto che
persino la banalità del niente
avrebbe forse un sapore meno gretto.
*
QUELLA VOLTA
Quella volta che il sole
è caduto per terra
con uno sparo di voce
dentro la sua stessa luce
colpito forte, sembravano
lucciole le schegge
che mi cascavano tra i capelli
legati in un nodo,
sembrava la fine di un mondo
ma poi la vita riprende ‒ così dicono ‒
solo meno luminosa e
un poco più fredda, scomoda,
la voce torna ai suoi silenzi
collusi con le ombre, torna
a non dire a dire a metà
a farsi lieve vento tra le nuvole
che da quella volta mi seguono
premurose, in fila
non ho capito se in un corteo funebre
o per darmi l’illusione di essere ancora
una sposa ancora la stessa di prima
‒ in attesa sempre ‒ ancora viva.
*
INVERNO VOLPE
La volpe ha il pelo elettrico
nocciola vivo, un ghigno
nella notte inverno con la coda teleferica
‒ non ha nido la menzogna(*) ‒
passa al vaglio la strada periferica
da nord a sud e ritorno, cerca la sua cena
mentre mi parli piano questa scena
si ripete dopo anni ancora identica,
insieme al sogno che mi cadevano
due denti e alle mani spuntavano
gli artigli e dappertutto avevo occhi aperti:
non ti fidi di nessuno, piccola gemella
che non mi somigli neanche un poco
questo è il tuo problema, dici tu, sei selvatica
o lo diceva qualcun altro, ma non importa
è sempre la stessa scena, la stessa corsa
lo stesso ottuso bisogno che preme a fari spenti
resta, ti prego, ancora un poco
voglio l’illusione della rosa che vale più di tutto
la caccia silenziosa, il pugnale tra le costole
la fitta di cometa sbattuta a testa in giù,
meritare lacrime e una coda nuova
luccicante da sfoggiare quando il giorno
arriva in fretta e chiede in cambio verità
quella carogna cacciata in una buca
per l’assalto della fame, per il dopo.
(*) Questo verso è di Fernando Pessoa
*
SILVIA
Tamara era un nome di spezie, ambra
il colore della pelle e il corpo sodo
che non ho avuto mai, così me lo immaginavo
portando a spasso tutti gli spigoli delle mie
vocali ‒ Silvia invece è un nome docile,
pensavo, di quelli che un uomo non si azzarderebbe
a sospirare di piacere, al limite silvestre
di un verde da piantina coltivata dietro una tenda
di cotone liso, chissà come sarebbe, mi dicevo
all’improvviso, avere il nome dell’amica immaginaria
che nei giochi dell’infanzia mi teneva compagnia,
‒ Ronca un volo di immaginazione
che tra le labbra di sicuro avrebbe un punto
di domanda ‒ ma che nome buffo, da dove viene?
Silvia compare poco nelle canzoni e di poesie
ce n’è ingombrante una, che lei alla fine muore giovane,
insomma, tutta un’attesa che sa di primavere e rose
e crinolina e danze di farfalle, anche loro poverine
destinate a scomparire presto.
Io volevo un nome esotico che mi facesse il seno bello
e l’andatura da valchiria, ma mi è capitato in sorte
d’essere due occhi troppi grandi e l’insistente vocazione
al sì con tanto d’eco verso il cielo, due pini sulla via
dello stupore dove mi arrampico con questa mia paura
di cadere intera sull’ultima lettera aperta
come una bocca d’aria piena, prima dello schianto.
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Silvia (Giovanna) Rosa nasce nel 1976 a Torino, dove vive e insegna. Laureata in Scienze dell’Educazione, ha frequentato il Corso di Storytelling della Scuola Holden di Torino. È redattrice del blog “Argo – poesia del nostro tempo”, cura la rubrica “L’asterisco e la Margherita” per NiedernGasse, ed è tra le ideatrici di “Medicamenta- lingua di donna e altre scritture”, che propone una serie di letture, eventi e laboratori rivolti a donne italiane e straniere, lavorando con le loro narrazioni e le loro storie di vita. Si è occupata del progetto di traduzione poetica e interviste di alcuni autori argentini, dal titolo Italia Argentina ida y vuelta: incontri poetici, pubblicato nel 2017 in e-book, a cura di Versante Ripido e La Recherche. Suoi testi poetici e in prosa sono presenti in diversi volumi antologici e sono apparsi in riviste, siti e blog letterari. Tra le sue pubblicazioni: le raccolte poetiche Tempo di riserva (Giuliano Ladolfi editore, 2018), Genealogia imperfetta (La Vita Felice, 2014), SoloMinuscolaScrittura (La vita Felice, 2012), Di sole voci (LietoColle, 2010 -II ediz. 2012); il saggio di storia contemporanea Italiane d’Argentina. Storia e memorie di un secolo d’emigrazione al femminile (1860-1960) (Ananke Edizioni, 2013); il libro di racconti Del suo essere un corpo (Montedit Edizioni, 2010).
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*QUELLA VOLTA testo di Silvia Rosa, photo di Romina Dughero.