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Claudia Zironi

12 dicembre 2020

 

              

Not bad

recensione di
Luigi Paraboschi

Il nuovo libro di Claudia Zironi, uscito  con Arcipelago Itaca Edizioni, con prefazione di Francesco Tomada, è decisamente bello, ricco di sfumature,  tocchi di bravura, annotazioni psicologiche, riflessioni amare e chi, come me, ha seguito questa autrice fin dagli inizi si sente di dire che è il proseguimento dei tanti temi che Claudia Zironi ha affrontato nei lavori precedenti,  e ora  lo fa con un occhio ancora più dilatato su ciò che essa pensa di se stessa e della vita.

Dall’ opera precedente alla attuale, -“Quando si spegne il cielo“ del 2019- riprende qualcosa che inserisce in questa integrandola come prima sezione delle quattro che costituiscono quella in esame,

“…non ci sarà giudizio né rinascita, le pietre/ non ricorderanno una parola di Albanese né un solo verso di Dante/ di Montale, di De Angelis o di Arminio Franco, chi ha abitato/ la laguna e l’Amazzonia, chi ha comprato l’ultimo esemplare di Ferrari./ poi anche i vermi si estingueranno e tutto tornerà alla perfezione //

 

ovviamente, non si può pensare che un autore cambi d’improvviso la propria visione del mondo, infatti in questo nuovo lavoro scrive :

 

”…da domani non ci riconosceremo/ come umani: macchine, automi, calcolatori./ parleremo di sogni, forse, ma senza crederci/ davvero…/ solo resterà questo senso/ del condizionale passato, tempo andato…”

Il suo  è un occhio pieno di desiderio di libertà, di “…partire verso sud/ …partirò per l’isola/ su una barca silenziosa…”, un occhio non più bisognoso di alcun desiderio, tranne  poi smentirsi più avanti ove troviamo “di cosa hai bisogno – mi chiedevi…” e dopo alcune soluzioni o proposte di aiuto fa concludere il suo interlocutore con questa domanda : “o forse hai bisogno di un mio sguardo, di una carezza?”.

 

L’eterna insoddisfazione che contraddistingue tutti noi riempie il cuore dell’autrice di contraddizioni continue, al punto di scrivere  quasi rispondendo all’amica e consorella Silvia Secco, in questo modo:

libera nos a malo. libere/ siamo, libere, dalla carne/ e dall’anima. libere dai suoni/ dai canti e dalle voci…”

 

Questo bisogno di essere liberata dal male assume in molti lavori la dimensione di invocazione, a volte dolce a volte rabbiosa ma sempre avvolta dentro la tristezza e “le insicurezze dell’eterna adolescente“ che la spingono nella stessa poesia a questa invocazione ”mi si prenda e basta, senza incertezze/ dandomi temporaneo, incondizionato Amore.“ e in quel verbo “prenda“ si sente chiaramente un bisogno di fisicità che immagina espressa da un caldo amante con le parole “- amami, amica mia./ ferma il tempo, fammi duro/ tronco a cui avvinghiarti, cura/ l’insano desiderio dei tuoi baci, diventa sale/ e lingua e carne, appaga/ la tua voglia di bermi goccia a goccia”.

In altra ancora sentiamo affiorare la malinconia  e il bisogno di condivisione che si fanno  strada osservando  una serata di nebbia della bassa:

“ …resta solo/ una specie di malinconia, la voglia/ di un amore già incontrato, di baci/ caldi, di un letto sfatto, con una donna/ che tanto abbia pianto” e qui la consolazione, la comprensione, la condivisione sembra che possano essere solamente fornite da un animo femminile che “abbia pianto“, e mi viene da dire che sento riecheggiare in Zironi i suoni  di un certo animo di Pascoli altrettanto sensibile al tema degli affetti

Non si può non leggere nei versi di questa raccolta l’esigenza spasmodica di un aggancio di qualsiasi tipo o genere, la ricerca di un appiglio per tenersi a galla quando vediamo:

tienimi come riparo/ davanti a un cielo così immenso/ senza memoria e senza confini/… tienimi con te nella caduta/ conferita alla nascita…/ tienimi stretta/ tra la rabbia e la paura./ tienimi come il sorriso/ di un giorno migliore”

 

Queste invocazioni sembrano non toccare l’orecchio cui erano destinate, si scontrano con una sorta d’indifferenza, di incomprensione che generano a loro volta una macerazione interiore che incide l’anima dell’autrice.

Procedo per gradi nell’estrapolare qualche breve riflessione su quella che mi sembra un grande delusione amorosa, e trovo

mi hai insegnato l’impotenza, l’inutilità/ della parola, quanto sia vana la poesia./ la mistica del segno, un risonare di mondi/ inesistenti, dare il nome alla creazione/ e chiamare ad alta voce ogni pensiero/ non avvicinano al divino né all’amore.“,

Tutto l’amore mal indirizzato è spiegato:

per ogni lacrima che verso ti auguro/ dieci anni felici finché sarai più vecchio/ del mondo e felicemente solo/ racconterai alle api e ai monsoni/ la leggenda di chi, con il dolore, ti ha reso/ felice in eterno.“

L’amarezza di una storia andata male esce con dolore da questa

“il giorno della tua morte indosserò/ abiti consoni, una faccia contrita/ modi di circostanza/ spero che non piova/ per non rovinare la messa in piega/ che non ci sia fango e non faccia troppo/ freddo, che sia una giornata normale/ senza sole né gloria, adatta/ all’occasione. il giorno della tua morte/ qualcuno mi avviserà, senza sapere/ qualcun altro mi chiederà come mi sento/ ma credo che non risponderò, non dirò/ niente, tratterrò le lacrime e/ mi darò un contegno. il giorno/ della tua morte comprerò dei fiori/ e li metterò in un vaso, sopra la finestra/ racconterò a loro tutto quanto: tutto quello/ che non sei mai stato.”

 

Tuttavia non è cosi facile dimenticare “ciò che non sei mai stato“, e la tentazione di ricominciare talvolta è forte, infatti:

…sarebbe bello ricominciare/ immaginarci differenti, sorridere al pensiero/ di vederci, di nulla chiedere e insieme andare/ verso un quieto viale del parco a cercare/ le nate margherite.”

La lettura di questa raccolta, da me ordinata secondo una mia logica di pensiero che non ha seguito la presentazione seguita dell’autrice, si conclude con un gruppo di poesie che definirei “tragedia dell’apocalisse“ nelle quali sembra confluire tutto il condensato, la delusione, il disgusto, l’amarezza, per questo nostro mondo e modo di vivere che non lasciano alcuno spazio alla speranza, ove anche la cultura non è sufficiente:

so quel che c’è da sapere, ore e ore/ di parole, anni di inutili dati/ racconti miei importanti svaniti/ …che vorrei/ non avere mai sentito, che non posso/ cancellare, nemmeno se chiudo gli occhi/ nemmeno quando si spegne il cielo.”

Per celebrare la fine di un anno questi versi ci lasciano sentire ancora una volta quanto grande sia il bisogno di amore che scaturisce da questa raccolta:

”… la fine di un altro anno sulla terra/ dove cerchiamo giorno per giorno di lenire/ il terrore della primigenia creazione, di viverne/ altri trenta, inutili, da sconfitti./ e qualcosa ci lascia -/ la capacità di scrivere d’amore.“

 

La conclusione la lascio ad un poesia che dal titolo stesso racconta già tutto il significato e la filosofia di Zironi, infatti si intitola in inglese “hole in my soul“ e di buchi nell’anima di questa artista ne abbiamo trovati molti, ma non rassegniamoci ancora a perdere  la speranza che in un modo o nell’altro essi possano essere riempiti con l’amore che le è mancato:

 

perché in fondo come si definisce un buco?/ciò che non è pieno, un vuoto, un tronco cavo/un nido abbandonato, l’abisso, il pozzo, il gorgo/che tutto inghiotte, nero e dirompente nello spreco/illusorio e fallace, della vita, il viaggio senza destino/della luce, che parte e non si sa dove si frange/dove riposa come buio, con tutti i suoi colori/ai margini del tempo, la mancanza/di progetti e aspettative appigliati a un domani/che non ci appartiene, la resa della terra/e del muro e di ogni altra nobile materia/alla sua asportazione dal contesto, il silenzio/che ci chiude anzitempo nella tomba, il lutto/della memoria, la demenza, la follia, l’oggettiva/inefficacia della perseveranza, l’archiviazione/di ciò che avremmo potuto e non è stato, un passaggio/dal perimetro regolare o frastagliato, un foro.

 

Alcune poesie da Not bad

 

 

Dalla sezione I Quando si spegne il cielo

 

 

io ho una gemella siamese, ci hanno detto

che siamo indivisibili e dovremo

passare tutta la vita insieme. io

ho il fegato e un rene, bocca e stomaco

sono in comune, il cervello è equamente

ripartito: lei è quella che guarda le nuvole e ci vede

bambini alati e cavalli colorati, è quella

che scrive le poesie. sta invecchiando

più velocemente di me, lei è quella che

possiede il cuore. so che un giorno

se ne andrà per prima e a me resterà

qualche momento ancora per capire

come si muore.

 

 

Dalla sezione II Not bad

 

 

# happy days

 

scrivo dalla terra degli alberi

spogli e delle notti senza stelle

perché lì è la bellezza che cura

amorevole, materna. in silenzio

le piccole aracnidi nell’ambra

conservano ogni storia accaduta:

sfilano le sorelle, gli amici, i figli

tutti i padri perduti nei millenni

in una lenta processione di ombre.

scrivo dalla terra dei folli

da quella degli amori mancati

dove si soffre senza invecchiare e

si prega il dio dei ricordi

affidando le parole a una rete.

qualcuno in ascolto testimonierebbe

che non c’è fallo nella rinuncia.

nessuna luce, nessun movimento

una tiepida quiete nel cosmo.

 

 

Dalla sezione III Nuda carne

 

 

c’è un silenzio che sembra quando nevica

e ci si aspetta un miracolo dalla notte

fuori dalla finestra, si trattiene il respiro

scostando la tenda, si tace

davanti a tutto quel bianco.

c’è un silenzio che sembra

che le stagioni siano sospese

e la primavera fuori di qui

non stia per arrivare.

c’è un silenzio che sembra

che non siamo mai nate

come se fosse la prima notte del mondo

e fossero le stelle a tacere stupite

fuori dal tempo.

c’è un silenzio che sembra una tomba

come fossimo morte

e non mancassimo a chi amavamo.

c’è un silenzio che sembra

una condanna

da scontare come una quarantena

così inevitabilmente sole.

 

 

Dalla sezione IV Il ritorno degli uccelli

 

 

il nostro tempo ha le ali grandi

vola rasente acqua e le batte con calma

con cadenza precisa. l’acqua che sfiora

non è mai la stessa: benedice il mutamento

santifica il gioco. solo una volta nella nostra vita

interrompe il volo.

 

 

Claudia Zironi opera dal 2012 con l’associazione Versante Ripido della quale è uno dei fondatori e Presidente e collabora con altre realtà che promuovono poesia, arte e cultura. Fa parte della redazione della rivista Le Voci della Luna. È alla sesta pubblicazione poetica delle quali Eros e polis è stata riproposta in USA in traduzione di Emanuel Di Pasquale (Xenos Books, 2016). Del 2019 l’antologia a cura di Sonia Caporossi: Claudia Zironi – Diradare l’ombra – antologia di critica e testi – 2012-2019 (Marco Saya Edizioni). Appena uscito il suo libro di poesie: Not bad (Arcipelago Itaca, 2020).

 

 

Claudia Zironi

10 dicembre 2018

Lettura di Luigi Paraboschi

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Variazioni sul tema del tempo
poesie di Claudia Zironi

Credo di poter dire, senza timore di essere contraddetto dall’autrice, che il tema del tempo costituisca quasi una costante di tutte le sue raccolte, a cominciare da
Fantasmi, spettri, schermi, e avatar da cui stralcio :
A un certo punto il mondo ha rallentato
…non so bene quando è successo…
il mondo era invecchiato

Che Zironi pensasse che il tempo abbia rallentato e invecchiato il mondo, e il flusso degli anni abbia trasformato e si sia portato via i nostri migliori sentimenti, lo si poteva già intuire e dedurre dal finale di questa altra tratta da Eros e polis ove, forse parlando di sé stessa, preconizzava un destino di morte, di oblio e di sconfitta al quale però siamo inevitabilmente destinati tutti:

Sei nido della rondine /a settembre, destinato /all’abbandono. Servirai /da concime alla terra / dei nuovi ramoscelli /che culleranno uova

Ma in questa ultima raccolta lei affronta ancora e con maggiore impegno e attenzione quasi scientifica il tema temporale, costruendo all’interno di tutto il suo lavoro scansioni letterarie chiamate: Ucronie-Eterocromie-Eucronie-Discronie-Sincronie-Ur-cronie-Diacronie dentro ognuna delle quali inserisce testi a suffragio del tema principale che è
“il tempo“.

In tutti questi “paragrafi“ o “capitoli“ del discorso poetico sono inseriti testi che davvero spiegano il significato dell’intitolazione ad essi assegnata, e ritraggono ciò che sarebbe potuto succedere se un preciso avvenimento storico avesse assunto un andamento differente.

E’ una sorta di “sliding doors“ letterario nel quale Zironi immagina di viaggiare con la fantasia attraverso luoghi geograficamente precisi ( la Finlandia, Stoccolma, Santiago, Il Cile, la Fossa delle Marianne, Istanbul ) per proporci testi a volte leggermente angoscianti per quel senso di solitudine e di lontananza che mi hanno fatto riandare al romanzo “La strada“ di Mc Carthy, per la visione desolata di un mondo sopravvissuto ad un disastro ecologico o nucleare.

Poiché in un testo essa scrive: ”per scrivere di cose profonde/ ho scritto di curiosità geografiche “, non ci resta che seguirla nel divenire poesia di queste “cose profonde“ il cui sviluppo lascia il lettore a volte spiazzato, come in questa:

Avevo- forse ho-qualche parente a Padova/.Ci sarò stata due o tre volte in tutta la mia vita/ ricordo solo la chiesa, la piazza/ ma è uno di quei posti che diceva mia nonna/ suona familiare/ come se ci avessi perduto qualcosa/”

ma lo spiazzamento arriva da questo verso folgorante che chiude il testo “Guarda per me nel fiume“.

La spiegazione di questa volontà di disorientare il lettore mi è apparsa più chiara da questi versi di un’altra:

“Sei mai stato una gazza?/ disposta in fila con altre trenta su un cavo/ nel sottotetto, che guarda/ te che sospiri scacciando l’idea/ di un nuovo amore/. E sei mai stato il tuo letto?/ che accoglie l’insonnia, le mani, il calore/ come fosse il suo corpo/. Sei mai stato il treno che ascolta/ i tuoi nuovi pensieri cosi azzurri/ come fossero raccolti di fresco in un campo/ E sei mai stata l’aria che lei respira? Il pipistrello/ che le vola davanti alla finestra ? Sei mai stato la sua bocca, i suoi occhi/ il suo seno?/ da quando ti conosce//”

Ancora una volta, come nei precedenti lavori, affiora in Zironi uno sguardo sul mondo che pare volere celare una invocazione di aiuto, la volontà disperata di vincere l’inevitabile trascorrere del tempo e di volerlo piegare alle esigenze di un cuore sempre bisognoso d’amore e di contatti umani, malgrado quella che a un lettore frettoloso potrebbe quasi apparire aridità o quanto meno indifferenza.

Se non ci si sofferma sul disincanto racchiuso in questi versi, sul loro nichilismo:

“non è infinito l’universo/ è il nulla-meno qualche cosa, esiste/ per sottrazione al nero/ ma Tu/ sei come il tempo

se non ci si lascia influenzare dal contenuto di questi altri:

“E se un giorno svanissero/ i pensieri la luce non esistesse più/ la percezione/ dello spazio né quella del freddo, non ci fossero/ più nervi ad accogliere il dolore/ nessuna voglia nel ventre, un grande/ silenzio./ Il tempo/ fosse una macina per ossa/ Se un giorno restasse solo questa sensazione/ di non servire a niente//

e si va oltre la prima reazione di sconforto, tornando sui differenti testi di questa raccolta ci si può rendere conto che l’anima di questa artista possiede angoli di sensibilità eccezionali capaci di venire fuori con tutto il loro vigore,e la loro forza espressiva come si può dedurre dal finale di questo testo che segue, malgrado sembri essere stato dettato dallo scetticismo più globale:

“Misurazioni effettuate hanno dimostrato/ che l’ innamoramento sul pianeta Terra/ nell’uomo dura circa tre mesi, nella donna/ un anno, dopo sei anni c’è la sopportazione/ quando va bene,/ poi solo fastidio, la possibilità/ di incontrare l’uomo dei sogni è pari/ a quella di trovare il libro di Urizen/ su una bancarella, arrivata a cinquant’anni/ ogni donna libera dichiara guerra/ all’amore e alla coppia, ogni uomo/ di pari età corre appresso le ventenni…..“

se non fosse che il riscatto dalle parole precedenti e dallo sguardo disilluso che si apre su una realtà abbastanza diffusa viene fuori da questi versi della chiusa che dicono :

…”mi spieghi/ per quale statistico motivo/ mi hai sorriso ?“

Ma l’anima che cerca il sorriso che nasconde l’attrazione, è la stessa anima che la induce a trattenere i sogni nella tasca di un cappotto nel quale ha rintracciato un rettangolino di carta (forse un biglietto d’ingresso a qualche locale) e di conseguenza scrivere: “… quando ho letto ho ricordato/ un piccolo prezzo per un anticipo d’estate/ per il sogno di un’intera vita./ L’ ho rimesso tra i rifiuti/ nella tasca, e la fa ribadire l’ostinazione di voler riattivare un rapporto che sembra esaurito. “Ti cercherò tra le spighe e i papaveri/ imbiancati, nelle tane lasciate vuote/ delle pietre, nonostante il frastuono/ dei gabbiani ti cercherò tra i vescovi/ in conclave, tra le sabbie delle mie parole e/ tra le rose senza nome, tra tutti gli uomini/ mancati nel millesettecento, tra le madri/ che non hanno avuto figli. /Se c’è una possibilità di ritrovarci/ non la lascerò intentata, il giorno / della fine del mondo //

La speranza dell’incontro va al di là del fluire inevitabile del tempo e culmina nello splendore di questa ultima che riporto per intero:

“ci sono cose che capitano./ Accade di nascere comete/ o solo di nascere, come di morire/ cadendo in un fiume/. Capitano strambi incontri/ dove i silenzi non sono/ contemplati, accade di traversare/ il deserto e il mare./ Può capitare di imbattersi/ in un astronauta per strada/ e non saperlo. Può essere/ che quando si aprono le mani/ per sentire il vento freddo/ della notte qualcuno le stringa/ e si parli dell’amore//

Luigi Paraboschi 13.10.2018

Ursprunglichen Leben

5 luglio 2018

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 poesia e pittura in dialogo
Martina Dalla Stella, Silvia Secco e Claudia Zironi

 

Due donne, anzi tre sì, tre amiche che celebrano il fatto di essere tali con un libro che quando  lo si chiude non si sa  se ti abbia toccato più Claudia per la concretezza che le fa scrivere “ non basta dare il nome / alla rose, Silvia, esse/ devono avere consistenza/ e aspetto al cospetto/del pensiero, la rosa sta nel nome/ esistendo pensata quando/ nome e rosa insieme/ si sostanziano, quando/ anche la rosa a te pensa //, oppure Silvia che vuole sottolineare la sua fragilità qui : “  Occorre dire alla rosa che è rossa/Chiamare ROSA la rosa. L’intera/ rosa. E la rosa sfogliata, il petalo chiuso nel libro/ una memoria del tatto, l’odore/ scampato al gelo, lo stele reciso/ all’altezza del nodo. Non termina/ mai l’essere rosa l’ultimo lembo/ rimasto a sfioritura e non è rosa/ già il seme della rosa ? Vedi, cose/ così come questa mutano/ se ne muti una sola consonante,/ e una c fa comune il nome proprio./ Nella distrazione la rosa smette “// o anche la pittrice Martina che nei suoi quadri stende talvolta velature sottili come ragnatele, come quando ritrae gli “ alchechengi “, o sa rendere tutta la tensione dell’attesa quando dipinge una lunga fila di uccelli sopra un filo nel quadro “ aspettando per migrare “, ed aggiunge a titolo esplicativo di un sé timorosamente nascosto “ anch’io così “.

 

Tre donne giovani che dichiarano fin dall’inizio, dall’esergo del loro lavoro,- citando un verso del poeta Frost che dice- “ due strade divergevano in un bosco ed io-/ io presi la meno battuta/ e questo ha fatto tutta la differenza//  che sanno ove vogliono dirigersi e lo fanno bene questo viaggio poetico che ci parla del loro modo di porsi nel mondo in cui vivono e viviamo.

 

Parlano di sé, dei propri desideri, delle loro passioni, anche le più dolenti come fa Silvia in questa sua : “ Senti come vengo a chiedere. Come/ti chiamo : mani e nome. Che sai/ montare alta, marea e piena, allagare/. Guarda come mi riduci: fradicia e/ bellissima, come mai sono stata./ Toccami lì dov’è la ferita e lì/ entra/, slabbra e straziami che sai/ dei brividi in agguato sulle scale/ dei lividi che poi dovrò coprire/ quando te ne andrai e dovrò sorriderne./ Scavami e trova. Le dita di chi ama/ si sfiorano sul libri e sotto i tavoli/ e tu lo sai che sono scalza e nuda/ davanti a te come davanti al mare//, ma anche Claudia si metta a nudo in questa sofferente : “  L’acqua cade sempre su altra/ acqua, seppure in altra forma/ e non si chiede il tempo// Sarò prima di te ombra, quando/ starai seduto davanti a casa/in attesa del tramonto. Ti coprirò/ i piedi come capelli, le ginocchia/ come accucciandomi. Porterò/ una nuvola di pioggia dall’oriente/umida e calda di monsone, profumata/ di zenzero e vaniglia. Risalirò / le cosce tue/ alle venti e trenta della sera.// Saprà poi l’acqua come amarti.//.

 

Ma non è il loro soltanto un canto autocelebrativo, dentro il loro scrivere è anche forte l’attenzione al decadimento della nostra umanità, l’ esserci ridotti come pietre su cui, scrive Claudia “ si era evoluta una ben strana razza “ che “ non poteva volare “ ed era “ dall’intelligenza non ben orientata “ in un tempo in cui “ ciascuno si credeva migliore degli altri“, e conclude la Zironi “ il nostro silenzio li annientò. A nome di tutte le pietre/ ancora oggi ce ne dispiace “. Ma pure la Secco non nutre molta fiducia nel nostro futuro quando scrive : “ Le anziane madri -le mani sul ventre/ che ha custodito- hanno nozione/ del tempo. Ci cantano all’orecchio/ che ne avremo, da morte, per riposare/ la quiete concessa finalmente/ la coerenza dell’ultima parola/ fissata nell’eternità, quando saremo pietre/ purissimi diamanti, e non avremo pietà/ di nessuno. Allora, senza gli occhi, senza l’opinione/ saremo trasparenti esseri di perfezione./ Sceglieranno per noi i fiori delle spose. Poi/ dopo le cerimonie, ci dimenticheranno .//

 

E saremo dimenticati anche noi umani, pietre inutili e aride per colpa dell’indifferenza al male che contraddistingue questa nostra storia recente, piena di sofferenza urlata ma inascoltata, ricca soltanto del nostro silenzio colpevole nei confronti dei tanti che ci chiedono accoglienza.

Ecco cosa scrive Claudia : “ tutti in fila/come bambini/.Tutti in fila/ come a scuola/. Fate i bravi soldatini !/ Mettetevi i fila per la marcia/. Alla fermata/ ben educati/ tutti quanti formate la fila/. Tutti in fila sulla banchina/ uomini e sogni/ nei sacchi di plastica “,  e aggiunge Silvia sulla stessa pagina :
“ dove il mare arriva siamo in tredici/ fradici a guardare tredici paia/ di piedi nel fuoruscire dai sacchi/ sacchi di sogni e di sale/ sabbia nei tredici sacchi/ sabbia e sale e l’acqua in luogo dell’aria/ a riempire i polmoni. E i piedi/ tredici paia : / trattati somatici adatti alla platea / dei telegiornali. Tredici paia/ uguali in tutto e per tutto al mio paio/ da lontano da dove li guardiamo/ scordarsi dei passi, annerire./ Degli ultimi tredici passi/ chi ci verrà a dire ? E dei nomi ? / Tredici nomi gridati, pianti/ pensati, gridati nomi affidati/ a un dio in tutto e per tutto uguale/ al mio: come lui sordo, dove il mare/ giunge ed aggiunge al tredici al totale.//

 

Ci si allontana da questo libro con il piacere di aver fatto ancora una volta un incontro fortunato con queste due poetesse che in molte  altre occasioni hanno già dimostrato tutta la loro bravura, ma resta un poco di amaro in bocca per la sottile vena di tristezza che sta alla base di quasi tutti i  loro pezzi, ed anche gli oli di Marina Della Stella ci lanciano unghiate dolorose tutte condensate in un volto di madre  ritratto superbamente alla maniera della migliore pittura espressionista.

 

Non mi resta che aggiungere il mio apprezzamento per la veste tipografica del libro, originale per la sua dimensione orizzontale anziché verticale come comunemente si fanno i libri, per i colori che sembrano aderenti in modo perfetto ai quadri, e per il gusto nella scelta delle poesie messe in lista.

Luigi Paraboschi 26.6.2018

 

 

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Silvia Secco e Claudia Zironi condividono da anni la rappresentazione delle loro singolarità artistiche. Il recente progetto di poesia in dialogo, Ursprunglichen Leben, è scaturito da esperienze di recital comuni che si sono tenuti nel 2017 a Messina e a Ercolano e nel 2018 a Vicenza. Le poesie di Claudia e Silvia dialogano tra di loro in sequenze multivoce, ripetizioni, silenzi, toccando temi filosofici, civili e amorosi. I versi sono accompagnati e scanditi dalle esecuzioni musicali di giovani artisti. Durante il recital viene coinvolto anche il senso della vista, mediante la proiezione dei dipinti di Martina Dalla Stella, con la quale le poete da tempo collaborano, che si unisce al “dialogo” in modo assolutamente pregnante. Dal progetto del recital è nato un “libretto di sala”, questo vero e proprio piccolo libro d’arte, firmato Edizionifolli, che raccoglie i testi di Silvia e Claudia ed è illustrato a colori con i dipinti di Martina.

 

 

Claudia Zironi

1 ottobre 2016

Fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni
prefazione di Francesca Del Moro,
postfazione di Vladimir D’Amora
Il libro è edito nella collana “Poesia oggi”
di Marco Saya Edizioni, Milano, 2016
                           

Dalla prefazione di  Francesca Del Moro

“Nella foto di copertina, fotogramma del film Poltergeist di Tobe Hooper, una bambina è inginocchiata davanti a un apparecchio d’altri tempi, in una posizione che suggerisce fascinazione e al tempo stesso adorazione. Due sentimenti che attraversano tutto il libro, in cui al televisore, divenuto via via più grande e piatto, si affiancano i frutti di più recenti evoluzioni tecnologiche: computer, Tutti strumenti funzionali a mantenerci in contatto con il nostro essere virtuale, micro-innesti bionici che,infilati nella nostra mente, alimentano un mondo popolato da fantasmi e spettri.”
                                   

i fantasmi si riempiono di frutti le mani
sorella, respirano come i vivi, soffrono
camminandoci accanto dal confine
di quella dimensione della mente. muoiono
in mare e nei campi, sono come lampi
bagliori velocissimi attraverso la stanza
neri. poi gli schermi si spengono
e i latrati nella notte. ora dormi.

 

                                      

FANTASMI: LA POESIA
E se la poesia si reggesse sull’equivoco di vite sospese?
Che solo da un certo bilico di confini potesse venire il sublime come errore.
Se fosse più vicina alla morte di un nido abbandonato nel fango di ottobre o di una spuma d’onda; un’incomprensione della convenzionale accettazione di un transito, istintività deviata di propagazione, difetto di visuale come un occhio dal nervo malato che sfochi i primi piani, un orecchio sensibile solo agli acufeni tanto da confondere nel cervello la percezione del reale.
Se i poeti per ciò si riconoscessero senza potersi accoppiare, incapaci di lasciarsi in eredità, muli sterili assediati di visioni, separati: se fosse un difetto dell’amore, come un gene zoppo, una mancanza partorita, quest’arte?
Se fosse sintomo di un fantasma nella mente?

                                          

FANTASMI: L’AMANTE
Amore mio se tu esistessi vedremmo lontano ognuno con i propri occhi, ci risuonerebbe dentro il mare, a te quieto, a me in tempesta, non avremmo bisogno di conoscerci per stare vicini, non sogneremmo mondi di plastica per fingerci vivi, non moriremmo in una caverna, faremmo viaggi lontani in posti diversi, scriveremmo solo di luce e di acqua, non avremmo bisogno di propagazione, saremmo api e stelle marine, sarebbe il tempo ad aspettarci, non saremmo nulla se non soli, se tu esistessi amore.

                                                 

padri nostri che state in terra
non vi perdoneremo il seme
non avremo compassione
che di noi stessi, per gli specchi
che a vostra immagine
avete generato. dalla terra
apprenderemo un abbraccio
quando dei vermi sapremo
la regola dell’esistenza.
dateci oggi un gesto insano
a chi è terra nel silenzio
mentre tutto ride, intorno.

                              

con la mano nella tua mano
contavamo le formiche
risalire un tronco morto
in un tempo lunghissimo
che non abbiamo avuto

                                                
                                    

Con Fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni, suo terzo lavoro nel giro di poco più di quattro anni, Claudia Zironi compie un ulteriore passo in avantinella costruzione di una poetica personale quanto autentica.
L’idea di poesia che presenta nelle sedici sezioni in cui è diviso il libro, mostra infatti una complessità e una stratificazione del pensiero in piena continuità con i titoli che lo hanno preceduto, ma anche una spinta in avanti per quanto riguarda caratura e maturità del dettato.
Se in Fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni risiede ancora la messa in scena, sempre aperta, schietta, priva di infingimenti, di un desiderio che è sì erotico, ma anche di relazione alta, di congiungimento attraverso il pensiero della persona amata eppure fantasmatica, ecco appunto presentarsi con maggior forza e compiutezza rispetto a Eros e polis una riflessione sulla perdita totale di fisicità per quanto riguarda l’esistenza umana. Un venir meno che è e resta tragico patrimonio dei nostri tempi, quindi non ancora sperimentato appieno in tutta la sua potenza, quindi ancora da pensare, da ragionare.
Zironi guarda al distacco che si crea fra corpo e corpo, fra il bisogno di contatto e il nascondersi dietro quelli che Francesca Del Moro nella sua prefazione stigmatizza come “i frutti di più recenti evoluzioni tecnologiche: computer, tablet e smartphone”. Ma in questo distacco intravede l’elemento del desiderio che ancora muove l’uomo, cioè il voler appartenere alla materia, non all’effimero. Perciò l’autrice afferma di trattare “lo schermo, questo simbolo della nostra epoca, che pilota e annienta la fantasia, che si sostituisce alla volontà e ai valori, che sta mutando molto più profondamente di quanto ci si renda conto i nostri comportamenti sociali e artistici e sentimentali, come oggetto nella sua funzione specifica, ma anche come prisma che filtra e deforma la realtà: amore, eros, rapporto umano”.
Libro ricco di rimandi e citazioni, Fantasmi, spettri, schermi, avatar e altri sogni non si ferma solo a questo specifico: nel suo essere estremamente composito quanto pluristratificato nelle indicazioni di senso, nello sviluppo dei temi, ha l’ambizione di abbracciare un campo vastissimo di tematiche (“L’amore e la morte, la carne e il linguaggio, l’osservazione della fenomenologia fisica e il suo compenetrarsi con la metafisica, i tributi alla filosofia, all’astronomia e alla fisica, la negazione della verità e della storia, echeggiano contro le pareti della caverna platonica in cerca di un punto di rottura che le mandi in frantumi” conferma l’autrice) come ad abbracciare il mondo, che sempre più sembra voler sfuggire a un giusto desiderio di matericità, di fisicità.

Claudia Zironi

6 novembre 2015

                                               Il paradosso di Copernico

Scriverò del paradosso di Copernico
di essere qui eppure altrove
Immobili e già andate
le mie bambine
le mie ragazze
e l’amante fidanzata sposa
La figlia poi madre poi figlia ancora, differente

Andate in una rivoluzione di cellule.
Inesorabile nel conto degli anni
ricambiò il corpo e la mente.
Confonde i ricordi della pelle
come quelli delle labbra
e dell’udire

Ogni senso ogni pensiero appartenuto ad altra
Di esso un’orbita nella materia
solco che rapido si rimargina
E si ostinano a chiamarmi
con il nome della nascita
Ciò che è scritto già non mi appartiene

altro qui

Claudia Zironi

26 Maggio 2014

image(1)

                                               

Il tempo dell’esistenza  ( Marco Saya edizioni) 

Compito del critico vero e proprio, quando si accosta ad un testo – specie di poesia – è quello di saper scoprire e valorizzare gli aspetti lirici ed i riferimenti cosi detti “ alti “ che egli ha creduto di riscontrare nella sua lettura, io invece credo che il compito del semplice lettore di poesia – quale io mi ostino a dichiararmi da sempre – sia quello di capire, e di mettere un po’ a nudo l’autore letto.

Per trovare una chiave interpretativa a questa opera- prima di Claudia Zironi ho scelto come guida la poesia a pagina 35 dal titolo “ intimismo “ nella quale la prima parola è “concrezione “ che il vocabolario Devoto- Oli registra come :
1. incrostazione o aggregamento di minerali,
2. accrescimento per aggiunta o giustapposizione di altri elementi .
E’ una parola che sembra ibrida perché sta tra “ concretezza “, sfiora “ concezione “ e può approdare ad “ azione “ e mescolando questi tre termini si può generare una sintesi che, accostata all’aggettivo che nel testo la segue, cioè “ acuminata “ ci presenta l’ aspetto ( stavo per scrivere “ un aspetto “ ma non è il solo ) determinante della persona Claudia Zironi.

L’autrice appare come persona che si analizza, si interroga, si pone domande che “ pungolano “, “ strisciano nell’utero “ ( ah, quanto interrogarsi deve stare dietro ogni sua pulsione erotica e non !) “ristagnano contro dighe/ di grovigli metafisici”, ma poi “ la lacerazione della coscienza/ conduce all’inevitabile/ a scegliere.
E il finale che, per qualsiasi altro poeta avrebbe potuto rappresentare un punto di approdo definitivo nascosto dietro/dentro quel verbo “scegliere “ che sembra sommare e risolvere in sé ogni dubbio o problema esistenziale, viene invece liquidato amaramente dalla Zironi con il dissolvimento di ogni incertezza dentro la constatazione che la scelta deve essere compiuta da un “ lui “ completamente esterno e forse estraneo a quei dubbi, tra un tipo di mutandine ed un reggiseno di moda.

E qui forse sarebbe facile liquidare la poetica della Zironi dentro un contenitore genericamente catalogabile con l’etichetta “ esistenziale “, ma una lettura attenta e scrupolosa ci porta a mettere in evidenza che di fronte alla domanda di felicità che è racchiusa dentro testi come “ sorride l’agave “ pag. 47, di fronte al riflettere sul proprio destino, e al rimpianto per gli errori commessi come ben espresso ne “ il fico “, la risposta che l’autrice sa trovare è espressa in “ voglia di solitudine “, a pag. 34 ove, accanto alla fiamma di un braciere ella evidenzia il bisogno di fuga da “ un’umanità chiassosa “ .

E’ un canto che tende all’isolamento quello di questa autrice, un canto nel quale l’uomo vorrebbe essere visto semplicemente come un prodotto della casualità di in dio distratto, ma il condizionale da me usato è d’obbligo e non cancella tutti gli interrogativi che affiorano dalla sua poetica.

Lo scrive molto bene in “ fame di emozioni “ a pag. 39 in cui ella vuole “ esplorare/ la vera fine della rinascita “ che “ si consumerà in un lampo/ nel nulla “ e, prosegue ancora in “ lo scorrere dei nostri giorni “ a pag. 42, affermando che “ non c’è progetto di vita “/ solo, ci si arrende all’attesa/ dell’ingovernabile “ e più avanti “ ci si offre all’arrivo/ dell’inaccettabile “ per concludere con “ ci si riempi la bocca di sale/ quando si aprono le finestre/ sulle vite da trascorrere./ Le serriamo in fretta/ e proseguiamo “.

La conclusione di questo credo laico dell’autrice la troviamo nella poesia “ dico la mia “ a pag. 26 ove scrive “ se si muore/ meglio evitare di sbandierare/ convinzioni, paure, serenità. Arte per pochi la buona educazione/ nella morte. Poi tutti si finisce là “ e conclude “ Serbati in un grembo eterno/ per tutta l’inesistenza terrena “.

E a questo punto della mia lettura-interpretazione non ho potuto che andare a rileggermi i versi che il grande Giorgio Caproni, che non figura tra gli autori alla quale la Zironi afferma di sentirsi debitrice ma che io mi sento di accostarle come intimo sentimento di assurdità a-fideistica, scriveva ne “ il congedo del viaggiatore cerimonioso “ raccolta del 1964


Ed anche a lei, sacerdote
congedo, che m’ha chiesto s’io
( scherzava !) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.
Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.
Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, sono certo : io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.

Scendo. Buon proseguimento

e infine non posso dimenticare anche il bellissimo verso finale de “ Verrà la morte “ di pavesiana memoria

scenderemo nel gorgo muti

Luigi Paraboschi

                            

                               

                                          

Sette poesie da “Il tempo dell’esistenza”

   

Sono ormai talmente abituata al tempo che riesco a vederne lo scorrere in avanti

                                                                                                                                                             

                                                                                                                    

 

Il paradosso di Copernico

Scriverò del paradosso di Copernico
di essere qui eppure altrove
Immobili e già andate
le mie bambine
le mie ragazze
e l’amante fidanzata sposa
La figlia poi madre poi figlia ancora, differente

Andate in una rivoluzione di cellule.
Inesorabile nel conto degli anni
ricambiò il corpo e la mente.
Confonde i ricordi della pelle
come quelli delle labbra
e dell’udire

Ogni senso ogni pensiero appartenuto ad altra
Di esso un’orbita nella materia
solco che rapido si rimargina
E si ostinano a chiamarmi
con il nome della nascita
Ciò che è scritto già non mi appartiene

                                     

                                               

Frammenti di Lisbona

Lisbona addormentata sul mare
E’ uno di quei solchi di cui si scrisse
che si apre e si rimargina al passare del tram
fra le pareti scrostate dell’Alfama

Permane il grande cielo nella memoria
a tramandare il ricordo, e il numero ventotto
Infinito rovesciato dietro al bipede
ad arrancare al posto suo per la salita
Ché il castello era troppo in alto
per il profumo di vino che ci portavamo appresso
fin dal Rossio, fin dal tramonto

La medesima memoria immagina.

Un gruppo di spagnoli
in Belem si fotografa ridendo
addosso a un Cristo in croce
dall’espressione dilaniata, certo
per l’ammasso di tale compianto

Da qualche parte esiste.

Meno soggetta a degrado molecolare
del citato solco di memoria, l’immagine
sopravvivrà a testimonianza
del sacrificio di un povero Cristo
per gli uomini, per gli spagnoli in particolare

Sim coentros, por favor!

Non avevamo fatto a tempo
e masticavamo aspro
Um caipirinha… Il barman cantilenava
la provenienza dal Mato Grosso
a mettere l’oceano fra sè e la Spagna

Al cameriere invece
detratto dall’ingaggio
non restava che il mugugno

                                         

                                                        

Alla ricerca di un ricordo

Ferma nella tempesta di sabbia
Su questa duna immobile
La mano alzata stringo
Senza trattenere alcunché
Polvere impalpabile
inaridisce la pelle

Ecco fra due dita un solo granulo!
Minuscola erosione
di qualcosa che è stato

Cade e si perde
nel deserto dell’anima

                                      

                                               

Demenza

Frugo fra i bauli
Soffio sulla polvere

Sento sfuggire la mente
e i ricordi si confondono
La realtà della mia vita
ora svanisce

Vedo un ragno che si nutre
poi lento si nasconde
Resta la ragnatela bucata

Mosche nere penzolano
contratte nello spasmo

Apprezzabile variante estetica,
il mio capo reciso penzola fra loro

                                               

                                                             

Carcerata che sogna la libertà

Lascio scorrere la vita
fissando il soffitto
Si riversa dal bugliolo
dei liquidi corporei
come non avesse fine

Ma quando l’ultima goccia
macchierà l’ardesia
Le sbarre: arti dolenti
andranno in pezzi
E mi sarà resa la libertà

   

Ho bisogno di silenzio, smettila di battere…

                                                          

Il mio inverno

Nel tuo sguardo
si rispecchia il mio inverno

Mi adagio quieta sotto la neve
in attesa che il riflesso si spenga
nei miei occhi, per sempre

                                                         

                                                        

Dell’amore e della materia cosmica

Ansimante
corro dietro la rovina
con dedizione

Guardo nuvole che si accalcano in cielo a coprire ciò che invece vorrei vedere, in un piano segreto che include il mio sterminio
Se tanto ho sofferto e tanto amo e tanto ho lottato e tanto combatto con una cinghia tra i denti ogni giorno
in questo piccolo cosmo casualmente generato dalla defecazione di un dio distratto
Un sistema solare come atomo di qualsiasi materia: si intravede la possibilità che una materia non sia meno nobile di altra

Amante mio
non mi potrai salvare
dalla cenere

E la cenere si disperderà nel vento finalmente,
in area preposta,
con i rovelli le dietrologie le diete i grimaldelli
arrugginiti che non aprono.
Da anni più niente

Impolvererò la tua pelle
per un attimo ancora

Per certo, non ti vorrei sopravvivere
materia inerte

                                               

                                             

Claudia Zironi e’ nata a Bologna, dove vive, il 26 marzo 1964. E’ laureata all’Universita’ di Bologna in Storia Orientale, ha conseguito un Master in gestione d’impresa. Da anni si occupa di Trade Marketing in un’azienda. E’ mamma orgogliosa e felice di Matilde.
Ha sempre avuto la passione per lo studio delle lingue e per la composizione poetica ma solo di recente ha optato per il confronto e la diffusione.
Ha pubblicato un libro di poesie “Il tempo dell’esistenza” con Marco Saya Edizioni nel novembre 2012.
Sue poesie sono apparse su riviste (Illustrati e Le Voci della Luna), siti Internet (Caponnetto Poesiaperta, La Recherche, Dedalus di Mugnaini, Thraka-magazine, L’Estroverso, WSF, Laviadellebelledonne) e antologie fra le quali: Il ricatto del pane, CFR ed. 2012; 100 Thousand poets for change, Albeggi ed. 2013; Cronache da Rapa Nui, CFR Ed. 2013; Sotto il cielo di Lampedusa, Rayuela Ed. 2014.
Si è classificata quarta al concorso Renato Giorgi 2013 per la silloge inedita.
Fa parte del Gruppo 77 condotto da Alessandro Dall’Olio.
E’ fondatrice, attiva nella direzione e nella redazione, della fanzine on-line rivolta ai lettori Versante Ripido, per la diffusione della buona poesia http://www.versanteripido.it

Siti di riferimento

http://penultimoorizzonte.wordpress.com/category/autori/zironi-claudia/
http://versanteripido.wordpress.com/category/zironi-claudia/
http://gruppo77.wordpress.com/2013/09/06/claudia-zironi/
https://www.facebook.com/pages/Claudia-Zironi-poesie/208410812654699?ref=hl