Un paio di scarpette rosse

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Joyce Lussu

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’ eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

Joyce Salvadori Lussu nasce a Firenze l’8 maggio 1912, dove cresce a stretto contatto con i genitori: Guglielmo Salvadori e Giacinta Galletti, intellettuali antifascisti, entrambi provenienti da famiglie marchigiane con origini inglesi. Nel 1924, dodicenne, in seguito alle minacce e all’aggressione subite dal padre ad opera degli squadristi fiorentini, lascia l’Italia insieme alla famiglia. Tra il 1930 e il 1932 studia filosofia ad Heidelberg, in Germania, dove vede nascere, con allarmata e critica vigilanza, i primi sintomi del nazismo.  Nel corso degli anni, nonostante la vita clandestina, studierà Lettere alla Sorbona di Parigi e Filologia all’Università di Lisbona.

Nel 1932 rientra in Italia e si reca a Ponza a trovare il fratello Max, mandato al confino nell’isola con l’accusa di far parte del gruppo romano di “Giustizia e Libertà”.  Lei stessa, più tardi, aderirà al movimento. A Joyce viene affidato un documento con le indicazioni per una possibile fuga dall’isola, da consegnare a Emilio Lussu, del quale ha letto sui giornali e sentito parlare dai suoi genitori, che lo avevano conosciuto. Il primo incontro avviene a Ginevra nella primavera del 1933.

Dopo essere stata in diverse zone dell’Africa, tra il 1934 e il 1938, rientra clandestinamente in Europa, raggiungendo Marsiglia priva di documenti, iscritta come tutta la sua famiglia nelle liste nere del regime fascista.  Nel 1939 si lega a Emilio Lussu col quale vive a Parigi fino al giugno del 1940, quando la città viene occupata dalle truppe tedesche.

I due raggiungono successivamente Marsiglia dove danno vita ad un’organizzazione di espatrio clandestino, producendo documenti falsi e riuscendo a organizzare le partenze dalla Francia per centinaia di antifascisti di diverse nazionalità. Successivamente saranno in Portogallo e in Inghilterra, dove lei seguirà un corso di addestramento alla guerriglia in un campo militare, prima di far ritorno in Francia. In Fronti e Frontiere (1946) lei stessa racconterà, in forma autobiografica, le vicende di questo periodo. Rientrata in Italia nel luglio del 1943, dopo le dimissioni e l’arresto di Mussolini, Joyce partecipa alla Resistenza:  nel 1961 le verrà conferita con cerimonia solenne la medaglia d’argento al valor militare.

Nel 1944 si reca per la prima volta in Sardegna e ad Armungia. Il suo incontro con l’isola verrà descritto in L’olivastro e l’innesto (1982).

Nel dopoguerra è promotrice dell’Unione Donne Italiane e milita per qualche tempo nel PSI, prima di tornare ad occuparsi di attività culturali e politiche autonome. Tra il 1958 e il 1960  sposta il suo orizzonte di riferimento nella direzione della lotta contro l’imperialismo. Sono gli anni del sostegno ai movimenti di liberazione anticolonialistici grazie ai quali, attraverso numerosi viaggi, entra in contatto con popoli e culture differenti. Si dedica così ad un intenso lavoro di traduzione e di introduzione in Italia ed Europa di poeti delle avanguardie africane ed asiatiche.

La sua produzione letteraria riflette il suo spirito laico, antimilitarista e femminista, teso verso l’impegno per la libertà e la democrazia, l’emancipazione dei popoli, la riscoperta delle tradizioni e della storia locale. Tra le sue numerose opere si ricordano Tradurre poesia (1967), Storia del Fermano (1969), Le inglesi in Italia (1970), Padre padrone padreterno (1976), L’acqua del 2000 (1977).

Muore a Roma il 4 novembre 1998.

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10 Risposte to “Un paio di scarpette rosse”

  1. fattorina1 Says:

    E’ talmente suggestiva e vera che ho scritto anch’io qualcosa sulla sua aria di lieve infinito dolore.

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  2. Anonimo Says:

    Sconvolgente e struggente

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  3. zinetti Says:

    splendida, non la conoscevo. Terribilmente splendida. Curioso, ho appena scritto un testo sulla shoah e dentro scarpette rosse… i bambini. Non dovrebbero essere toccati dal male.

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  4. domenica luise Says:

    È una poesia scarna, terribilmente nuda come quei poveri corpi martoriati. Non è la morte la più grande tristezza, ma il come ci distruggiamo gli uni contro gli altri. Che non accada mai più.

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  5. mari Says:

    silenzio

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  6. Vincenzo Errico Says:

    Quanta vita che è passata e che passa… ma qualche traccia resta a dare coraggio.

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  7. AnimaTonda Says:

    L’eternità dei passi lasciati incompiuti _______________________________
    [oggi si può rimanere solo in silenzio]

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  8. baci Says:

    Grazie, Cristina, questo ricordo di una tale PERSONA era necessario.
    un abbraccio
    lucetta

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  9. Cettina Lascia Cirinnà Says:

    …in questi giorni, per un ricordo personale sulla “memoria per non dimenticare”, ho raccolto un po’ di materiale da leggere nel silenzio della mente, per far rivivere quei corpi inermi nell’eternità dell’Anima…questo contributo è l’ultimo che aggiungo…per quest’anno (personalmente) mi basta.
    Grazie Cristina, un saluto e un abbraccio.

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  10. Anonimo Says:

    Drammatica, rende l’idea della sofferenza.

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