Michele Nigro

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Perché questo titolo? Non si tratta di una raccolta sul Buio e sulla Luce, sulla lotta tra il Male e il Bene; non è una raccolta manichea. Carte nel buio perché ho tentato, seguendo un certo istinto di sopravvivenza, di portare luce innanzitutto nella mia oscurità che è poi l’oscurità nel mondo (del mondo), in questo nostro vagare che è “vita”. È un poetare contemporaneo che non fornisce sicurezze – seguendo il dettame fortiniano del “nulla è sicuro, ma scrivi!” -, non vuole e non può consolare, non è un facile balsamo confortante da distribuire durante le pubbliche letture come spesso accade in questi tristi tempi dominati dai guitti più che dai poeti. Si brancola nel buio accompagnati dalla sola certezza che grazie a qualche verso forse ci ricorderemo di noi stessi (o ci ricorderanno), di alcuni attimi senza cronaca lasciati indietro nel passato e destinati all’oblio; tutt’intorno a quelle carte, il nulla, la dimenticanza, l’irrilevanza.

Nella poesia omonima, da cui la raccolta prende in prestito il titolo, è descritto solo uno dei tanti modi di sorprendersi al buio: il ritorno a una condizione pre-industriale e anti-futuristica, il valore romantico della carta quale unica depositaria del pensiero umano, la riscoperta di un’oscurità primordiale capace di ricondurci alle origini del mondo e della nostra stessa esistenza; contro il facile ottimismo degli abitanti nella luce. La carta non solo come prodotto materiale, ma soprattutto come luogo di esercizio alla parola che scava, punto di coagulazione di saperi non detti, intimi, che anche dopo il tentativo poetico restano indicibili.

Carte nel buio perché durante il lustro coperto dalla silloge (2019 – 2024) ne sono accadute di cose oscure, sconfortanti, portatrici di disperazione: perdite personali, pandemie, scomparsa di “maestri” e punti di riferimento culturali, guerre mondiali “a pezzi” – o in un unico atto nucleare – proiettate sul telo, ormai logoro e bucherellato dai proiettili, della Storia; involuzioni a comportamenti primitivi e degni di una specie animale che agogna l’estinzione… No, non siamo diventati migliori; non è andato tutto bene, come qualcuno auspicava. I poeti avanzano nel buio con le loro povere carte in mano; carte senza valore se non per loro stessi o per qualche lettore che non si è fermato alla premessa del libro.

In questo caso la suddivisione in sezioni è servita per mettere ordine tra le mie di carte, anche se in realtà la voce è senza soluzione di continuità; si tratta di un unico, lunghissimo verso – della durata di cinque anni – che tradisce solo alcune naturali fluttuazioni di stile perché l’alchimia tra vissuto e parola, si sa, cambia nel tempo, propone nuove combinazioni con risultati a volte gradevoli, in altri passaggi un po’ meno o per niente: è il tempo neurolinguistico del poeta, e va semplicemente registrato, accettato nel suo essere imperfetto. Sarebbe inutile e capzioso tentare abbellimenti ritmici postumi per sembrare più moderni e spumeggianti: certe invasioni prosaiche nel verso sono necessarie. E neanche l’accusa di “novecentismo” scalfisce le sue intenzioni, anzi ne fa promozione sul campo.

Carte nel buio, come un’ingenua speranza poetica che avvolta dalle tenebre dell’epoca procede fiduciosa in direzione di luci lontane: che siano stelle o luci artificiali di città future non è dato saperlo; la speranza, tranne quella cristiana, non si basa su certezze di fede. Perché è solo stando al buio che si può intravedere l’uscita sperata, il varco luminoso sulle seconde vite; nel frattempo, mentre cerchiamo nuovi bagliori tra il nero notturno, la poesia ci guida tra strade anonime, parla in nostra vece, rende immortali gli estinti, traduce per noi i suoni misteriosi delle epoche attraversate, dà un senso ai bagni di realtà, registra con un linguaggio inspiegabile i fenomeni essenziali di questo disperato e bellissimo stare al mondo.

Michele Nigro

Scalpo di poeta

Sono capelli poco tinti e tirati
fuori dal cuoio dei giorni passati
questi versi educati, come ricordi
riesumati uno a uno dalla chioma rada
scalini di marmo scheggiati, andando
a capo della questione, forse enjam-
bements malriusciti.

Osservo il vostro fare gruppo
per ripararvi dalle intemperie della vita
poveri ma sorridenti, non conoscete
la confortante solitudine della parola
che senza spiegarsi
spiega l’inspiegabile.

L’età dell’ironia

Naftaline evaporano sotto forma d’insetti al naso,
il sorriso di una ritrovata donna, la ricerca della felicità
un libro già masticato da troppi inverni editati
mandarlo al macero visivo di lettori distratti,

farine di grilli per saltare la vecchiaia
altro che polvere di stelle da favole illuse!
Abbiamo avuto mille occasioni per sparire
ma insiste il dito opponibile sotto la lampada di Ritsos
lasciare almeno un verso animale,
una pensione di sincere intenzioni, un poetico flato
nella notte indigesta delle parole in guerra.

Libri usati

Il poeta quando rimesta antiche ferite
tra spaghi rileganti di parole nuove
deve fare piano, muto alle musiche in voga
per non disturbare la felicità del mondo

solo un giallastro, stanco libro usato
ha memoria, preso da rigattieri virtuali
comprende la smania nelle sue mani,

somigliano a quelle dell’altro padrone
ossute, tremanti, ora seppellite coi ricordi
che la felicità del suo mondo ieri ignorava.

Tornano in voga

Tornano in voga i campi di cotone
gli schiavi a ore
nel far west del disincanto.

Quale distratta discendenza
si prenderà cura e fastidi, lontane
scadenze nel tempo che non vivremo
per queste ossa di casa e memorie
delle tue foto ormai tarlate da occhi
e dolori tramandati?

Non dovremmo più scrivere
per immagini e sprazzi vaganti,
solo il linguaggio, la sua voce
è la ricerca dell’umanità poetante.
Non dovremmo più sperare
nella parola che cura e consola
ma nell’eternità che dimentica.

L’uomo del vetro

Sono l’uomo del vetro al mattino
nel silenzio d’alba fracasso sogni reali
e incubi di buio, esami da non fare
ancora oggi mi svegliano sudato.

È un dolce ricordo la mano sfregiata,
ora pezzi di bottiglie feriscono la città
minacce d’atomo sull’autunno amato
giorni neri e senza sangue dalle prime luci

darsi una spinta con i piedi non è sport
toccando il fondo conosciuto di ieri,
è disperata salvezza in risalita
verso riflessi colorati sul pelo d’acqua.

Chini sull’abisso

Chini sull’abisso, increduli e vivi
cerchiamo voci senza ritorno
in stanze vuote, colme d’infinito
dove latita il senso, persa è la chiave
del nostro essere qui, non più figli
se non di Dio.

Si aggrappa a un chiaro lascito
a una fede nella presenza a venire
quel che sopravvive in noi,
ai ricordi sparpagliati nella mente
agli oggetti che pungono il cuore
a una vaga volontà di andare oltre
di ricominciare senza un’origine
svuotati, senza meta ormai,
senza più storia alle spalle
senza terra sotto i piedi
senza un faro silente e forte
in questo mare triste
che è ancora vita.

Maggio

Ho sciolto per sempre l’antico voto
sugli anni da accudire e sul tempo guardiano,
un metallico tlac! tlac! tlac! dalla strada
appuntamento vespertino di stampella vegliarda
mi ricorda puntuale la perenne assenza
la mancante origine che lascia incustoditi
il tuo non ritorno dall’altrove.

Ho una montagna di scarpe quasi nuove
per il cammino non fatto in questa vita
una scatola di foto senza nome per distratti eredi
foreste colorate di vestiti inanimati,

un rosso di sera scolpito in cieli testardi
mi consegna speranze in cui non credo più.

2 Risposte to “Michele Nigro”

  1. Recensioni a “Carte nel buio” (work in progress) – Pomeriggi perduti Says:

    […] “Carte nel buio” su Il giardino dei poeti (segnalazione) […]

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  2. michelenigro2 Says:

    Grazie per l’ospitalità! 🙂

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