Diego Conticello

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Ciò che subito colpisce nella poesia di Diego Conticello è l’uso della parola, di un significante che declini in modo preciso l’emozione. La necessità di una chiarezza, di una corrispondenza limpida che rispecchi davvero l’io lirico e via via i suoi interlocutori.
Il poeta s’immerge nella natura, in una dimensione panica a cui dà realmente voce. Diviene vento, Allargare il salvabile, sa insinuarsi tra gli odori, “tremare”, “sventrare” e poi farsi “sottile”, modulando l’asperità dell’ “ortica” fino a sublimarsi e trasformarsi nei “fili” della memoria.
Le poesie di Conticello si svolgono seguendo un percorso necessario di sviluppo e precisione della parola che deve saper illuminare il verso.
Non è compito semplice e richiede un impegno ed una onestà espressiva, cui il poeta continuamente tende riuscendo ad ottenere luminosi risultati.
Così in La striscia, la spinta:

Importa
la striscia lasciata,
ràdica vortice ignezione,
la spinta volenterosa
dell’aria

in cerca d’uscita.

Immergersi nello slancio vitale, cogliere l’essenza in ciò che già sta mutandosi e affievolendosi, esprimendola con efficaci sinestesie:

Sento nel colore
musicato,
in un suono
ingiallito

il volatile
essente delle cose.”

richiede al poeta uno sforzo, un allontanarsi da ogni possibile misura e datazione della vita e del tempo.
Solamente la natura può aprire una via e un viatico per immergersi in essa, con tutta la carnalità, l’emozione e l’ispirazione che la poesia sa dare.

Si vedano i versi d’amore: Genesi della chimica amorale, in cui la chimica diviene mezzo espressivo di quelle sensazioni ineffabili, che il sentimento amoroso sa offrire, unico varco in una limitante sopravvivenza esistenziale

“… che coincida
almeno con
la felicità.”

Forse in questo va anche cercato il doppio significato di quell’aggettivo “amorale”, riferito ad un tempo, con estrema originalità espressiva, all’amore in sé e all’a-moralità di una disciplina, di una scienza, non più finalizzata al suo scopo-morale, ma orientata oltre e diversamente per concorrere anch’essa alla definizione del termine e del suo significato poetico.

“Voglio frustare
quadrighe di
endorfine
sui sentieri
porporini
del tuo sangue …”

Denotazione e connotazione sono gli aspetti sempre dinamici e originalissimi dei versi di Diego Conticello, le cui poesie divengono davvero un laboratorio sperimentale di innovazioni, forse anche di neologismi e sicuramente di personalissime trasformazioni polisemiche della parola.

Flavia Isetta

Allargare il salvabile

Sorge
col tepore
meridiano
quest’aria
odorata
di stallatico,

trema
i fogliami inermi,
sventra pagliericci,
soppesa
increspature
al torrentello,

poi si fa sottile,
culla i nervi
dell’ortica,

l’erbe lega a fili
di memorie
in freschi
svanenti abbandoni.

Amarsi

Bujo non filtra
nelle carni
nudamanti.

Labbra su lembi
e fiati
di tempra stretta,

una palpebra
quasi s’apre
a risvegliarne
l’estro,

poi un rigagnolo
che sente l’ansia:

vite unisone

 

La striscia, la spinta

Che la noce scintillata
del vero
sia nel distante irraggio
o nel farsi trovare
impreciso
di minimi corpuscoli
– polveri diresti –
non è dato sapere.

Importa
la striscia lasciata,
ràdica vortice ignezione,
la spinta volenterosa
dell’aria

in cerca d’uscita.

 

Tempo di sabbia
a Vincenzo Consolo

Un piovastro
soffiato
in sabbia

frantuma

con bronzo di vento
verdicchio
vetro d’onde

– ancora
s’aprono
i monti vicini,

(è malsicuro
anche il secondo)

in questo
semilago
annidato
del cuore,

che tutto
confonde
eccetto il passato.

Tra veglia e sopore

Se tra veglia
e sopore
nella danza
penumbratile
delle tue oscurità
si sciolgono
crude inchiarazioni

non temere,
è solo lucore
presto dissolto,

vivo
scatto,
fumo bianco
scavato
nel nero di noi,

spentosi
a un battere
d’occhi.

Lastre di pianto

Ondeggiano lastre
dello stretto
su un fondo mobile
di perenne
pianto,
come una macabra
giostra
sul nero
fondale delle cose.

Oramai abbiamo scavato
ma non si trova
il perno,
vi s’inceppa melma
sfrangiata
da queste correnti aberrate
che inghiottono
lo scanto

del varco

e ci abbuiano
gli occhi.

All’evidenza dei vinti

E lasciamolo perdere Mameli
il nostro inno lo suona il marranzano
isolana lamina percossa
da un inutile fiato di dolore.

                                       (Bartolo Cattafi)

Inutile abbarricarsi
alla Storia,
rimostrare le carte
la briscola – a denari –
già scoperta…
scarsi ‘sti tri punti,
malipigghiati.

Al porto delle vite
puttarunu
motti di liber-azione,

manciaru cu ciauru
pisci stoccu e sticchiu,
staccu di capa
a ccu nun ci piacia.

N’arresta l’ultima risposta,
ridesti, lesto senza fanti
arripigghiarini,
dimostrare
per una volta
d’essere il vero nord-afroso

(industriarsi o perire)

senza cadere
in tentate azioni,
non farci i ponti oltre
lo stretto (indispensabile).

Guarda, Talìa la fece
chi tenne fertile la Terrona,
facendo le feci,
la feccia (tenaci tenenti
all’evidenza dei vinti
bisògnino dieci dì,
rossotinte
le mass(ahi)e
Brontolavano),
chi la terrà
o tenette le redini
a queste mari/o/nette
staccò l’arti
d’un assurdo teatrino…

nell’isola ch’ora cola
a pisci
sperando arrivi la nettezza
umana,

ca l’erba tinta
– purtroppo –
qui campa assai.

Matita

Ogni tanto
imprendo a fumarmi
la matita,

carbonato incanceroso,
graffio di grafite,
sferzante
verde senz’erba
(che non manda in fumo
il cervello)

chiodo per puntare
l’attimo che preme,

cancellabilità,
mina del mondo.

*
Non credo alla misura
e all’abbocco finale che fa
vivo
il succo del mondo.

Sento nel colore
musicato,
in un suono
ingiallito

il volatile
essente delle cose.

Eterno/Interno

È giunto un vento
di falangi sommerse
ad incrinare
le vetrate altere
della notte

e le gocce
della mente
barcollano
d’un abisso
dal tempo tutto umano,

una dama di luce
(  sin tu cuerpo yo soy nada )
tempo eterno, che sei
tutto interno

sconvolgi morte
nere fantàsime

per risorgere
nella trasparenza
di un fiore.

 

Genesi della chimica amorale
a Giulia

Voglio frustare
quadrighe di
endorfine
sui sentieri
porporini
del tuo sangue,

estorcere stormi
di sinapsi
alla consunzione
dei giorni,

esigere da questa lorda
sopravvivenza
che coincida
almeno con
la felicità.

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Diego Conticello

Nato a Catania nel 1984, vive tra Padova e la Sicilia. Specializzato in Letteratura e filologia moderna all’università di Padova con una tesi sulla poesia contemporanea in Sicilia (La curva mediterranea. Caratteri della poesia contemporanea in Sicilia, con monografie su Lucio Piccolo, Bartolo Cattafi, Nino De Vita, Angelo Scandurra, Melo Freni e Lucio Zinna, relatore Silvio Ramat). Collabora con la rivista QuiLibri de La Vita Felice di Milano.
Sue poesie e articoli critici sono usciti su Incroci, Arenaria, Leggere Tutti, Centonove e blog come Poetarum Silva, alleo, Tellusfolio, Imperfetta ellisse, Paginatre ed altri. Sue poesie sono state tradotte in spagnolo per la rivista annuale Fragmenta II da Pablo Lopez Carballo.
Ha scritto un volume di critica poetica per immagini su Lucio Piccolo (Lucio Piccolo. Poesia per immagini «Nel vento di Soave». Cittaperta edizioni 2009).
Nel 2010 è uscito il suo primo volume di poesia (Barocco amorale, LietoColle con prefazione del maestro Silvio Ramat).
Della sua poesia si sono occupati, tra gli altri: Giorgio Linguaglossa, Antonio Spagnuolo, Sebastiano Saglimbeni, Fabio Michieli, Maddalena Capalbi, Angelo Scandurra, Melo Freni, Lucio Zinna, Marzia Alunni e altri.

4 Risposte to “Diego Conticello”

  1. Tre settimane di poesia nei lit-blog italiani (XII) | nabanassar – letteratura ed arti Says:

    […] Diego Conticello: il versicolo tenta di creare una sospensione misticheggiante, appesantita dal linguaggio (18 Nov 2012, giardino dei poeti, https://giardinodeipoeti.wordpress.com/2012/11/18/diego-conticello/) […]

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  2. diego conticello Says:

    grazie immensamente a cristina per avermi ospitato nel suo giardino, un luogo dove come si è visto mi trovo perfettamente a mio agio. grazie per le azzeccate parole di flavia e di domenica che non conoscevo ancora e per questo risultano ancora più gradite. vedo che nonostante il barocco non sono così incomprensibile come molti si ostinano a dire sbagliando a cogliere le sensazioni che voglio trasmettere. grazie

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  3. domenica luise Says:

    Anche stavolta mi è scappato il commento prima del tempo: concludo complimentandomi con l’autore e con la presentazione di Flavia, che ne aiuta la lettura.

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  4. domenica luise Says:

    Chi ha amato la campagna come me ne conosce ed ama anche le asprezze come “l’odore di stallatico” e “i fogliami inermi”, le erbacce, insomma. E in questa natura intatta negli odori e nella composizione, ecco l’amore di “vite unisone” in amarsi, con perfetta corrispondenza della natura esteriore in cui il sogno o illusione che sia sta avvenendo.
    E c’è la consapevolezza “ca l’erba tinta qui campa assai”, che l’erba cattiva non muore mai su questa terra dura e malgrado tutto desiderabile, peraltro l’unica dove possiamo respirare e aggirarci.
    In effetti più la poesia scende nell’animo e meno si esprime, ma un barlume schizza fuori da quel profondo: “il volatile essente delle cose”, dove “cose” sono i misteri interni all’anima universale e storica umana.

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