Sappiamo che la poesia non risarcisce e non salva nessuno; è solo un atto di opposizione alla miseria dei tempi; degrado declinato dai più – paradossalmente – con la pedissequa assunzione di quegli stessi malesseri e veleni privati e pubblici a cui ci si dovrebbe opporre evitando di enfatizzarli custodirli e coccolarli come referenti imprescindibili di una poetica (quasi sempre in chiave autoreferenziale, incapace di aprirsi all’Altro, al Mondo ).
Al contrario, l’alternativa dei poeti meno cagionevoli in angoscia è consistita nell’accogliere dolore e dintorni come opportunità frequentabile in grazia di un’intima capacità di lettura forte al punto di renderne evidente la vulnerabilità, la permeabilità che ne rivela il grottesco, il comico, il tragicomico, l’assurdo, la falsità delle convenzioni e dei tabù con relative involuzioni stralunate e fatalmente esilaranti. Quindi partecipazione e distacco dalla negatività e dal triste evento che è pure il ridere quando è suscitato dalla frizioni tra contrari, dallo sguardo che specula sull’inverosimile perché genera situazioni di incredulità a cui la parola della poesia contrappone prontamente le certezze infantili della sua saggezza, la reiterata discrasia tra due mondi differenti o comunque lo scontro irreversibilmente comico tra diverse concezioni della vita. In definitiva questa opzione spinge il poeta non tanto su posizioni fideistiche di rifondazione della speranza (Bonnefoy), quanto verso un esito che va al di là di una persona o di un destino per divenire esistenza che si interroga e si traversa propositivamente /costruttivamente, sorprendendo in senso e suono il coraggio di esistere e di resistere nonostante le suggestioni – e mettiamo il coltello nella piaga – dell’ineffabile ” male di vivere “montaliano. Evitando oltretutto di uccidere l’utopia e le sue dinamiche antagoniste.
L.A.
INTERNO
Siamo io mammeta e tu
e tutto fila liscio,
l’idillio è assicurato:
il sole fa lo struscio
fra balcone e soggiorno,
i pasticcini ed il thè
son quelli dello spot,
un passerotto intontito di smog
chiede asilo politico…
Ma mamma cala un asso:
A QUANDO IL GRANDE PASSO?
Il passerotto sgomma via terrorizzato
SENSORSOUND
poi c’è la parola che sottraendo aggiunge,
e il paradosso squillante, eterodosso
se il margine di lutto che indossa un cappottaccio
rivoltato e frusto
s’incendia in look da pergolato di campagna…
E quindi è bello quando da una bici in corsa
una ragazza ti grida:
-Sai, non sembri neanche un bancario
ma un bancapositivo del terziario
uno che c’è cascato per sbaglio, senza colpa!
E quando
tra sogni che non tornano
e conti della spesa
ti sveglia un ineffabile antifurto
è bello ancora ripensarla
in punta di sonno e di luna
scendere a disattivare il marchingegno…
-Povero caro, farà lo straordinario
si alzerà presto , alle cinque in punto
e non sembra neanche un bancario…
STRANI COGNOMI
a Cicci de sellero (*)
di Mauro Marè
Come si può non voler bene
-così istintivamente
a un Pasquale Sellerone
con quell’accrescitivo fresco verde fruttato nel cognome
e la florida pienezza di quel nome
che ti riempie la bocca…
Come si può non collegare
un’immagine ad un nome;
senza timore di sprecare nulla
e andare oltre la mera suggestione
d’una fisicità che è la prima a chiamarsi per nome
(e per cognome)
Accade quindi così, spontaneamente
il fascino misterico del transfert mesenterico:
dal diaframma al cervello, per qualche oscura ragione
che si arrende
alla delibazione del cuore e della mente
oh, sellerone!
(*) Cespi di sedano –
da Siamo alle solite , Fermenti , 2001
Pref. di Giorgio Patrizi, con due chine di Giuseppe Pedota
BLACK OUT
Ma come caspita fa
-si chiedeva allarmatissimo Asor Rosa-
in mancanza della corrente
a funzionare lo sciacquone ?
PROFANATO dal dubbio
-e non poco risentito
nel bel mezzo della Lezione
agguantò il telefono
ed EX CATEDRA formò il numero
dell’uscita di sicurezza
dei suoi quiz aristotelici:
Giulio Ferroni
Ferroni
rabdomante dell’ordito letterario
nonché allevatore di formiche da corsa
compulsò testi
interpellò Cape Kennedy
buttò giù dal letto Paola Borboni
-il tutto in un quarto d’ora frenetico
poi emise il seguente ( guarda caso )
ILLUMINATO responso:
lo sciacquone è omologo alla poesia
perché entrambi dirompono.
La poesia ha una precisa valenza
consentanea alla scarica elettrica.
L’unica cosa che può incepparla
è la malafede dei poeti mentali che
finite le munizioni
si arrampicano sugli specchi per scriverla.
Chiaro che in mancanza d’ispirazione
manca anche la scarica elettrica
che la fa giungere a destinazione.
Laondeovepercui:
lo sciacquone funziona comunque
perché ispirato a sufficienza
dalla nobile incombenza;
la poesia gorgoglia, si arrabatta
ma non quaglia;
rimane una scommessa inconcludente,
un transito di stelle sciroccate,
un corto circuito reticente
nell’orizzonte d’attesa del poeta
NOVEMBRINA
Mia gloriosa
algida cicoria spaccareni
sterminata mimetica pianta
innamorata ricerca da tradurre in padella
fondata ipotesi di goccia al naso ad oltranza!
Per te la gola e l’anima
ingoiano tramontana
aspirina, gocce di brina
frizzanti richiami di cucina lontana…
Per te l’aria tagliente si volta e ti guarda
ti riconosce accanita compagna di strada
immensa stella fredda della vita
sua emanazione infinita / finita, o cicoria!
Da Scapricciatielle, Il Bagatto, 1995
Introd. di Vito Riviello, con due chine di Giacomo Porzano
ORDINE ORDINE ORDINE ! ! !
Cara Moglie
come si vede che sei
tale e quale a una moglie
quando convogli formalismo
strutturalismo e semiologia
in un estetismo sfrenato
che tenta di metterli tutti d’accordo
contro le mie pantofole!
Ma non te ne voglio
perché non hai colpe
perché so che non hai studiato da moglie
fatta salva l’Economia Domestica
che so bene non addomestica
le geometrie del disordine
ma prepara pagine bianche per te
per dirti l’avventura infinita
di cercarti invano
in quello che vorrei trovare e non trovo
ma anche di ritrovarti ogni giorno
con grande sorpresa
in quello che non cercavo:
strepitosa e incrollabile
contro l’erranza delle mie pantofole
COMMIATO A PIAZZA DEL POPOLO
( toccando ferro )
Vorrei un bel legno chiaro
più chiaro che potete
e un bouquet giallorosso
né grande né piccolo
da bancariato medio, senza pretese
Proscriverei ai noti rituali
gli orpelli più propriamente funerari,
le belle parole che fanno morire due volte.
Sarò certo giù di morale
-voi mi capite
quindi sparate pure a zero
ma non fatemele sentire
E all’uscita
un bel tifo da stadio non guasta:
dal Canova penseranno al Clero liberato
o alla Spaziani che va in isposa
a Peynet
a un love affair che si ripete
quello con Voi, per sempre
da La realtà sofferta del comico, Aìsara, 2009
Pref. di Giorgio Patrizi, post.ne di Gio Ferri
Leopoldo Attolico (Roma, 5 Marzo 1946) ha pubblicato, a partire dal 1987, una decina di titoli di poesia e collaborato con testi creativi e interventi teorici alle principali riviste letterarie. Dalla seconda metà degli anni ’90 si occupa prevalentemente di poesia performativa in accezione antistress, nutrita di umori parodici, giocosi, ironici ed autoironici.
Il suo ultimo libro, La realtà sofferta del comico, Aìsara, 2009, è prefato da Giorgio Patrizi, con postfazione di Gio Ferri.
www.attolico.it
leopoldo@attolico.it
Tag: Leopoldo Attolico
9 febbraio 2024 alle 21:59 |
Addio Leo, a lutto segue lutto.
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13 marzo 2014 alle 17:06 |
Grazie della condivisione caro Mauro !
leopoldo –
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13 marzo 2014 alle 08:22 |
L’ha ribloggato su RIDONDANZE.
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2 dicembre 2013 alle 17:23 |
Grazie Mauro ! Ho letto le tue “Ridondanze” e se un giorno dovessimo incontrarci ti stringerò forte la mano .
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2 dicembre 2013 alle 16:01 |
la verità è che ci stiamo assuefacendo ad una cultura perbenista,
a programmi che parlano di ricette elaborate, a mantecare concetti,pre-elaborati , precotti. -Cito “La poesia gorgoglia, si arrabatta ma non quaglia;” (Vai Leopoldo! Vai Attolico!)
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2 dicembre 2013 alle 15:53 |
A Narda e Carmelo un bell’abbraccione ! Vi ringrazio .
leopoldo –
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2 dicembre 2013 alle 11:20 |
Piacevolissime a leggersi e mai stucchevoli della quotidianità.
L’ironia venata d’amaro , come la cicoria, fa bene specie a tanti guardoni ombelicali che piangono sulle loro miserabilia. Non esagerare però, c’è il rischio della colite!
Narda
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1 dicembre 2013 alle 18:43 |
bELLE LE POESIE, gustosa la cicoria che canta alla tua gloria!
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30 novembre 2013 alle 22:17 |
Cari Tutti , grazie !
leopoldo –
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30 novembre 2013 alle 18:08 |
Avevo fatto un commento sugli alambicchi di Leopoldo (di cui abbiamo già parlato) ma non c’è traccia e dire che era fin troppo “moderato”. Fa d’uopo tornarvi. Ave atque vale, poeta.
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30 novembre 2013 alle 18:12 |
erano nello spam
adesso sono visibili
cb
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30 novembre 2013 alle 01:08 |
Gli alambicchi – ne abbiamo già parlato – sobillano, spumeggiano e infine brillano. Fa d’uopo (totoesco dire) ritornare a commentare.
Ave atque vale, poeta…
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29 novembre 2013 alle 10:18 |
oh, che bella la scrittura poetica di Leopoldo che frantuma il senso della poesia , sminuzzandolo in coriandoli, trasportandoci in un ulrasenso di allegria, col la” Spaziani in isposa a Peynet,” come a coronare un sogno di pax aeterna, tra pantofole sparite, e calumet…
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28 novembre 2013 alle 21:33 |
Teatrale , teatrale e partenopeo: “siete uno scrittore,lo so, avete tutti i sintomi del trammaturco” (Totò ne “il ratto delle Sabine).
A parte gli scherzi ma la teatralità a cui pensavo è il perseguimento
meticoloso e maniacale della perfezione del dialogo;( e penso anche al teatro di Eduardo) in questo caso della poesia ,che artigianalmente, nell’eccezione teatrale appunto,
– realizzazione di un manufatto provato e riprovato fino alla maniacale riuscita – soddisfi il pubblico e l’autore in toto, senza accento, questa volta!
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28 novembre 2013 alle 16:26 |
Grazie Leopoldo per queste tue meditazioni poetiche fra il faceto e l’amaro. Da anni conservo il tuo “Siamo alle solite” e ogni tanto ne rileggo i versi: mi rasserena molto. Acuta la tua nota in premessa. Cari saluti, Rosa
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28 novembre 2013 alle 07:28 |
grazie per la nota in premessa ! misono permesso di pubblicarla nella mia pagina facebook … veramente interessante
saluti
…p
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