Sebastiano Patanè

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Intimità senza diarismo e riconquista della parola: Sebastiano Patanè

 

Anche chi è abituato a leggere con l’occhio “del critico”, a volte, si trova piacevolmente costretto a far tacere, almeno per un po’, la voglia o l’urgenza di scrivere qualcosa su quello che sta leggendo: interpretazioni plausibili, osservazioni brillanti o (ahimè) riflessioni personali che riducono la poesia letta a stimolo o pretesto per esprimere se stessi, invece. Questo mi è successo con Sebastiano Patanè, e posso garantire che non mi succede spesso: mi riferisco al modo discreto eppure deciso con cui i suoi testi ti mettono in condizione di ascoltarli, senza ruffianerie e con apparente nonchalance; e così facendo ti portano a scriverne con l’illusione di averli fatti un po’ tuoi anziché solo guardati da vicino. Questo è vero soprattutto per se gli angeli, primo testo di questa coesa e pur varia sequenza. Perché?

Forse perché in questa poesia Patanè è solo, e questa solitudine risalta tanto di più quanto le poesie seguenti sono animate da una costante presenza femminile: una presenza fuggevole e immaginaria nella scena del testo, ma fortissima nell’indirizzare lo sguardo del poeta e quasi nel determinargli le parole. In queste altre poesie si realizza un’intimità “interna” che tiene chi legge a una distanza un po’ maggiore di quanto non accadeva con se gli angeli: non per un difetto o una scelta ad hoc, ma con la stessa differenza che passa tra l’essere chiamati in causa e l’essere ammessi a una rappresentazione di straforo.

Eppure, non bisogna vedere quest’opposizione in modo così netto: infatti, se gli angeli è una presa di coscienza alla quale segue la necessità di un “recupero”, di una vittoria sulla mancanza che si realizza nei testi seguenti. Del resto, il battito è cosciente “solo di memorie e vuoti da riempire”, e questi vuoti e memorie sono in scena nelle poesie successive, una numerazione di “lacune” (vuoti, appunto) e l’instaurazione di un dialogo (Parliamo stasera, Novantadue parole; le sottolineature sono mie). Se la scrittura non può far tornare la persona amata che per rievocazione, può invece tornare ad articolare il soggetto poetico: dopo la radicale separazione delle parole dal corpo (“parole appese / nate morte e d’arroganza separate dalla lingua”, se gli angeli) si arriva a un rapporto nuovamente riappacificato e fecondo con esse (“sto raccogliendo il miele / in novantadue parole”, Novantadue parole). La stessa nota biografica dell’autore sottolinea il legame tra separazione e perdita della parola, infine riconquistata.

Prima ho accennato al senso di intimità e di dialogo che ho avvertito leggendo queste poesie; ora devo aggiungere però che non si ha mai un’impostazione diaristica, non c’è l’ingombro di un “io” determinato e ansioso di essere riconosciuto. Come posso chiarire a me e a chi sta leggendo questo apparente paradosso? Basta rivolgersi con attenzione ai testi, perché niente meglio del tessuto linguistico ci svela i misteri di quello che sentiamo “a pelle” e che Patanè, intelligenza intuitiva, ha veicolato.

Il senso di intimità è segnalato dal pathos delle interrogative indirette (“che ne sarà delle parole appese”, se gli angeli), marcatori colloquiali (“c’è una certa pace”, 4 della sera; “il passo è corto per davvero”, Novantadue parole), il sussurrato delle parentesi (Parliamo di stasera) e soprattutto l’uso di un “tu” privato e confidenziale (“ti vedo accesa gemma incendiaria”, 4 della sera; “ti porterò un fiume di gole”, appena posso ti porterò un fiume; “ti passi attraverso”, parliamo di stasera).

La negazione del diarismo e dell’io invece è ottenuto da una scomposizione cubista che affida status di soggetto a elementi solitamente passivi e posti in terza persona (“come se tutti i volti avessero la stessa bocca”; “nemmeno centomila seni/cariatidi reggerebbero la corsa”, se gli angeli; “l’assedio decide l’avanzata”, 4 della sera) che nei casi più estremi sfociano in accumuli simultanei quasi surrealisti e di difficile decifrazione (“cerchi portati giù schiantati tra le cosce dai brillamenti decodificati e nudi”, 4 della sera).

Rimanda al surrealismo anche la punteggiatura minima a rendere talvolta magmatici i versi, la cui duttilità nell’accomodare senza sforzo misure lunghe è notevole. Anche il corteggiamento del cliché non risulta in una sua rivitalizzazione (per es. la “luna che mostra i suoi seni di cemento”, dove il topos che associa luna e donna è rinnovato dall’accostamento urbano straniante). Altre piccole spie a ricordarci che la poesia è anche un gioco (ma un gioco intelligente) sono certi giochi di parole (il titolo 4 della sera, dove 4 si riferisce sia al dato temporale sia al numero delle “lacune” poetiche) o certe deliberate sostituzioni come “stasera” in luogo di “sera” in “e tu non canti questa stasera” (Novantadue parole), dove la voluta cacofonia (questa stasera) realizza a livello testuale il non canto. Si potrebbe dire altro, per esempio accennare alla resa dell’erotismo (4 della sera), o ai giochi sinestetici (per es. “è bello ascoltare il respiro stringersi alle dita”, Novantadue parole); o ancora all’effetto di lenta scoperta per cui, quello che in se gli angeli sembra un discorso astratto (il piano che si dilata come un’onda, accrescendo le distanze) acquisisce concretezza nel richiamo intratestuale del “seno / che azzera le distanze”: dove ciò che è falso sul piano razionale (una curva, il rigonfiamento del seno, rende più lunga la distanza tra due punti) è vero su quello istintuale (la comunione erotica annulla le distanze, i nostri schermi).

Davide Castiglione (www.castiglionedav.altervista.org)

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se gli angeli

ora che il piano si è dilatato come un’onda
-parlo dello spazio tra noi- che ne sarà delle parole appese
nate morte e d’arroganza separate dalla lingua
dall’immaturo battito cosciente solo di memorie e vuoti da riempire
non importa di cosa come se tutti i volti avessero la stessa bocca

c’è gente là fuori che necessariamente vuol dare un senso a tutto

se gli angeli smettessero di volare il cielo ci cadrebbe addosso
e nemmeno centomila seni/cariatidi reggerebbero la corsa
forse un sorriso che spazzi via le cartacce dal balcone oppure
l’ascoltarsi senza condizioni finché dura questo camminarsi dentro

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 4 della sera

 (prima lacuna)

c’è una certa pace tra i piatti e la bocca lontani dai tumulti sottostanti
cerchi portati giù schiantati tra le cosce dai brillamenti decodificati e nudi
si accavallano i silenzi nel giogo dell’afa settembrina

ti vedo accesa gemma incendiaria come un tramonto che prevede il vino
mentre sorseggi il flusso che m’insanguina, vermiglia

(seconda lacuna)

un fitto cumulo di negazioni ammette il desiderio quando l’aria si riempie
d’intrecci ed omissioni maree d’occhi bassi mentre la sera resta dietro la finestra

si colora di labbra l’ultimo pinolo e il piano sembra scivolare verso il seno
che azzera le distanze

(terza lacuna)

l’assedio decide l’avanzata senza regole o retorica di carne nel bacio
che precede la caduta degli avori
dietro la pelle fieri animali avvinghiati al battito

(congruenza)

Piazzolla continua a girare anche se bastano le mani

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appena posso ti porterò un fiume

appena posso ti porterò un fiume di gole sconfitte dal silenzio
e strapperò i quaderni del pianto proprio lì, accanto alle persiane
a ridosso della luna che mostra i suoi seni di cemento

eri dello stesso colore dei sogni a piazza Castello
ora un bianconero ci ha resi univoci

ricordi la neve di collina quella bucata dai fiori?
tu poesia io vento
e quell’enorme arcangelo che ci indicava la culla

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parliamo di stasera

[parliamo di stasera
di come passi attraverso gli orologi delle cose
(ogni passo ha una lunghezza, ogni grido)
senza il timore di smarrirti tra le pagine dove sei scrittura
e quindi cosa e ti passi attraverso senza tempo]

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Novantadue parole

stasera gli ulivi non riflettono l’argento
voglio pensare che non ci sia luna
che giù nel cortile il passo è corto per davvero
e tu non canti questa stasera

guarda le pieghe di quest’aria
sembra muoversi da sola senza voce
dall’intonaco alla gonna stilla del mio tempo

è bello ascoltare il respiro stringersi alle dita
con te che gli ulivi vorrebbero al posto della luna

canta allora quelle antiche litanie
che sanno di zolfo e nocepesca
(è tutto dentro gli occhi ramemare)

io sono qui sto raccogliendo il miele
in novantadue parole

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le poesie sono tratte dalla raccolta “del tempo che si muove appena”

Sebastiano A. Patanè, nasce a Catania nel 1953 sotto l’acquario di febbraio. Fin da giovanissimo coltiva la passione delle lettere che comincerà a sviluppare con impegno negli anni ‘80 quando fonda il centro culturale e d’arte “Nuova Arcadia” salotto di poesia e sede di numerosi reading.

Presente in diverse riviste ed antologie nazionali ed internazionali del periodo, alla fine degli anni 80,primi ’90, dopo la separazione dalla moglie, abbandona la scrittura e comincia a viaggiare per il mondo. Quindici anni dopo, nel 2007, riprende a scrivere con l’intenzione di non smettere più. Gestisce due blog di poesia contemporanea: “Le vie poetiche” e “La casa senza tempo”, oltre ai suoi blog personali quali “La cava della parola” e “Sciaranera

Sue poesie sono rintracciabili su diversi autorevoli blog tra cui Poetarum Silva, La stanza di Nightingale, LaRosainpiù e Neobar. Nel 2010 la Clepsydra Edizioni di Anila Resuli ha pubblicatola raccolta “Poesie dell’assenza” in E-book. Presente nell’antologia “Fragmenta” del premio Ulteriora Mirari, organizzato e gestito da Enzo Campi e dalla Smasher Edizioni

Prossimo il suo esordio con una raccolta di poesie datate 2011, introdotte da Anila Resuli, per conto della Smasher Edizioni di Carmen Giulia Fasolo

30 Risposte to “Sebastiano Patanè”

  1. Sebastiano Patanè – nota ad alcuni testi dalla raccolta “Del tempo che si muove appena” – Critica del testo poetico Says:

    […] nota è apparsa su Il Giardino dei poeti nel 2013. Alcune poesie di Patanè sono riportate subito dopo la nota, le altri si possono leggere […]

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  2. margherita ealla Says:

    Bella questa tua nota Davide! Molto ricca. Tanto più bella per il fatto che Sebastiano (che leggo per la prima volta) ne conferma l’aderenza.
    Faccio mio quel “senso di intimità e di dialogo che ho avvertito leggendo queste poesie ” perché anch’io l’ho avvertito, così come il fatto che sono poesie di relazione ma non cariche di biografismo. Mi piace anche il riferimento all’ eco degli Angeli di Rafael Alberti, del quale dice Abele Longo.

    ringrazio, salutando tutti

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  3. Angela Greco Says:

    difficile “entrare” da profani in questo coro…lascerò dunque d’istinto due parole soltanto: la Poesia di Seb sfiora, accarezza, tocca fino a prendere dalla pelle all’anima…poco altro da aggiungere, se non il sacro silenzio che consegna agli dei. bello il luogo e complimenti all’ideatrice :-)! un caro saluto a ciascuno

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  4. sebastiano Says:

    Mia cara amica, non riuscirò a ringraziarti abbastanza per l’esposizione che sei riuscita a dare ai miei testi attraverso il tuo Giardino e allo “scavo” di Davide. Ma leggo con piacere che anche gli altri amici non sono andati per il sottile: piccone e pala e giù a scavare nelle e tra le parole. Con loro mi scuso per il ritardo ma il tempo a mia disposizione ultimamente è poco e non posso assolutamente fermarmi a ringraziare, tutti i commenti hanno necessità di risposte ben precise e degne, cosa che farò al più presto possibile.
    Grazie ancora cara Cristina e tutti voi amici che mi avete dedicato il vostro tempo e le vostre bellissime parole.

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  5. cristina bove Says:

    Il riscontro di tanti commenti positivi mi rallegrano per Sebastiano, che ringrazio per avermi affidato i suoi testi.
    Ovviamente ringrazio anche Davide per le sue articolate e competenti presentazioni-recensioni. Sono sempre più convinta che la poesia potrà salvarci dalla banalità e dall’appiattimento totale.
    Questo blog si sta arricchendo di voci validissime di poeti contemporanei e di adeguate penne a dar risalto. E diventa un luogo sempre più amato.
    Grazie ancora a tutti.

    cb

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  6. Davide Castiglione Says:

    Ringrazio tutti voi per la lettura, e per avere apprezzato anche la mia nota. Un grazie particolare al diretto interessato, Sebastiano, le cui parole mi hanno lusingato: perché difficile non è tanto scrivere una bella nota, quanto una nota in cui l’autore possa ritrovarsi e sottoscrivere. Certo che non avrei problemi a che fosse usata per prefazione, anche se riterrei più prudente leggere l’intero libro, dato che lo scopo di questa nota era circoscritto a quelle poesie… infine, grazie a Cristina per permettermi di “esercitarmi” come critico, cosa che – data la mia pigrizia e il fatto che comunque studio poesia qui in Inghilterra (!) – altrimenti non avrei fatto! sono contento di poter scendere un po’ in profondità nella poesia di penne valide, che meriterebbero di essere conosciute e divulgate anche al di là di internet.

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    • sebastiano Says:

      Mio caro Davide, ho letto un pò della tua scrittura e sono affascinato dalla tua “estensione” sia poetica che critica. Certo è che adesso voglio leggerti più in profondità per potere entrare in maniera più ampia nella tua espressione. Sarei felice ed oltremodo onorato riguardo alla prefazione del libro intero che se ti va posso mandarti in formato word o pdf, come preferisci.
      Farsi i complimenti a vicenda non mi attrae particolarmente ma devo dire che hai mostrato ai nostri lettori, la mia poesia nella sua interezza. Grazie!

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  7. domenica luise Says:

    Bella e acuta la presentazione di Davide. Le poesie sono ermetiche-umanissime-erotiche con nitidezza e delicatezza, estremamente concrete. Vedo che in Se gli angeli il poeta parla di un “piano” che “si è dilatato come un’onda”, ecco, mi sembra la sua vita di uomo che sente il bisogno della sua donna, ma contemporaneamente percepisce il crepaccio tra sè e la persona amata come tutti talora lo sentiamo e a colmarlo non basterebbero “nemmeno centomila seni cariatidi”. E più avanti :”si accavallano i silenzi”, ma stavolta (Quattro della sera) “il piano sembra scivolare verso il seno che azzera le distanze” nell’abbraccio d’amore e di fiducia. E in Appena posso ti porterò un fiume: “tu poesia, io vento”…”e strapperò i quaderni del pianto proprio lì, accanto alle persiane a ridosso della luna che mostra i suoi seni di cemento”: la sua donna , “accesa gemma incendiaria”, è per lui origine di gioia, vitalità e poesia, ed egli è il vento o afflato che attizza la poesia. E questo respiro di carne e di spirito si stringe alle dita per causa sua, di lei, “che gli ulivi vorrebbero al posto della luna”: una donna viva, una poesia incarnata, un seno palpitante che fa tutt’uno col piano rendendolo vortice.

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    • sebastiano Says:

      Questa analisi di Domenica Luise, mi tocca particolarmente per diverse ragioni. Domenica si è insinuata si nella poesia, ma ha pure descritto l’uomo, un uomo che non conosce (non siamo nemmeno amici su FB) e che pure lei svela in quei particolari descritti in pochissime parole. Mi ha procurato un gran piacere leggere questa nota e dimostra, Domenica Luise, che non è necessario conoscere profondamente le persone per estrarne particolari, bastano pochi gesti, poche parole…
      Grazie Domenica, grazie veramente.

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  8. Doris Emilia Bragagnini Says:

    Conosco e apprezzo da molto Davide Castiglione, come poeta e come sensibile osservatore nei testi di cui ama svolgere, distendere, trama e senso. Molto piaciuta la presentazione e naturalmente le splendide poesie di Sebastiano Patané che meritano davvero d’essere poste in rilievo.

    Doris

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    • sebastiano Says:

      Mia cara Doris è un piacere trovarti ad apprezzare Davide per la sua sensibilità di poeta e critico, un pensiero che mi trova d’accordo assolutamente. Grazie per la presenza e per le tue belle parole sui miei testi. Grazie.

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  9. Anna Maria Curci Says:

    “discreto e deciso”: la coppia di aggettivi che Davide Castiglione sceglie per illustrare il modo scelto dalla poesia di Sebastiano Patanè è quanto mai calzante, perché richiama immediatamente – lettura e ascolto dei versi lo confermano – un’altra coppia di aggettivi, ‘autonomo e universale’, per definire il respiro che il poeta sa dare al passo, al tempo, al taglio di luce, al colore (coraggioso e confortante, ai miei occhi, il ricorso a “vermiglia”), allo spazio – cornice, contesto, distanza – mai fissato in astratto, ma individuato nel dialogo-partita-patto dai confini mobili.

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    • sebastiano Says:

      Ringrazio tanto Anna Maria Curci per aver ulteriormente scavato nella mia poesia estraendo dalle viscere della parola, quell’autonomia e universalità che cerco di mantenere anche, a volte, a discapito di qualche forma o alla mobilità di certi confini.
      Grazie davvero!

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  10. Abele Longo Says:

    A me arriva, anche, come eco degli angeli di Rafael Alberti, e di tutti quei poeti del nostro Sud che hanno guardato alla Spagna come a un prolungamento dell’anima. Il tutto con una sensibilita’ moderna che non fa il verso ma lo investe di nuova luce.
    Grazie e un caro saluto
    Abele

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    • sebastiano Says:

      Di Alberti ho studiato e tradotto El clavel y la espada che sento come opera maggiore (mio giudizio naturalmente), ma dopo il tuo commento, caro Abele, sono andato a rivedere quegli “angeli” del quale Rafael era ossessionato e che conoscevo pochissimo, quasi niente. Grave difetto per me che amo la poesia andalusa specialmente quella che proviene, per empatia o ispirazione, dai flussi melodici di Juan Ramon Jimenez, ma Lorca mi ha preso così tanto da farmi trascurare gli altri.
      Ti ringrazio, Abele, per il tuo apprezzamento, particolarmente sentito per questo tuo accostamento che mi lusinga alquanto ma di cui so di non essere degno. Grazie, un abbraccio.

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  11. Lucia Porcelli Says:

    La poesia di Sebastiano mi ha sempre commosso per questo cercarsi, a tentoni, nel buio dello spazio siderale che ci separa dolorosamente come esseri umani, per cui “maree d’occhi” restituiscono il senso di questo sartriano andirivieni di coscienze protese verso l’insperata carezza ….l’erotismo sale quando l’assedio decide l’avanzata senza regole” che infrange per sempre quell’assuro ponte azzurro che riempie l’assenza fra due amori

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  12. Marzia Alunni Says:

    La poesia di Sebastiano A. Patanè è, a suo modo, ‘integrale’ nella dimensione, o corpo, della testualità e nelle valenze semantiche: libertà e coerenza della parola. Davide Castiglione, in queste sue analisi, evidenzia il porsi in modo totale verso la poesia da parte dell’autore. Patanè tuttavia ricava dall’esperienza di scrivere la necessaria distanza per esprimersi, ma coinvolgendo il lettore, senza ricadere nel minimalismo, o nell’abbandono desolato ad una qualche algida poetica di maniera. Dice, a proposito dei testi segnalati, giustamente Castiglione: “…La negazione del diarismo e dell’io invece è ottenuto da una scomposizione cubista che affida status di soggetto a elementi solitamente passivi e posti in terza persona…” E’ più di una notazione a margine di poetica, piuttosto sembra un tratto originale, intenso che solo una lettura capace di empatia e ad un tempo rigore può cogliere. Non c’è da stupirsene, brillantezza del critico a parte, dobbiamo considerare quanto il poeta si ” metta in gioco” e conduca la propria ricerca con rigore formale e nel contempo urgenza di scrivere. Le radiosità espressive di alcuni versi, poi, sono davvero accattivanti. Segnalerei: “se gli angeli smettessero di volare il cielo ci cadrebbe addosso…” poi “…ti vedo accesa gemma incendiaria come un tramonto che prevede il vino…” e ancora “…è bello ascoltare il respiro stringersi alle dita / con te che gli ulivi vorrebbero al posto della luna…”. Il silenzio che si fa scrittura è la miglior comunicazione dell’epifania di Lei, come poesia e in quanto donna/assenza, parte dell’essere inafferrabile che si concreta nello struggimento, traslato, della mediazione linguistica. Parafrasando il poeta, concluderei che la vera poesia non si è smarrita “tra le pagine dove” è “scrittura”.

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    • sebastiano Says:

      A ragione, Marzia Alunni, considera la “messa in gioco del poeta” che, in conseguenza di quanto affermato da Castiglione sulla “scomposizione cubista”, questo può facilmente condurre ad ermetismi confusi se non addirittura ad un “no sense”. Questo diventa pericoloso per chi, come me, non ha alcun interesse per quel tipo di letteratura, soprattutto quando si usa un tipo di verso molto lungo.
      Avendo, per rispondere ai commentatori, una predilezione per il Fado, dove le armonie hanno scale non del tutto prevedibili, avendo anche l’abitudine di battermi il tempo mentre scrivo, seguendo alcune melodiche dentro me che appartengono alle “fonie” arabo-portoghesi ma anche a musiche del canto profondo siciliano, diventa, per me, del tutto naturale porre status non prevedibili a parole come fossero note musicali. Personalmente mi sento soddisfatto di questo tipo di elaborazione poetica che, comunque, avviene a livello assolutamente interiore e, ancor di più, perché arriva così come io desidero arrivi!
      Un sentitissimo grazie a Marzia Alunni per il suo autorevole apprezzamento e per aver quotato alcuni versi che, devo dire, sento particolarmente e la cosa mi ha notevolmente commosso. Grazie. Sebastiano

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  13. meth sambiase Says:

    Rendo a prestito un aggettivo dalla selezione, quel “fitto”, quel serrato ritmo che mi trascina senza fiato nelle letture di Sebastiano ogni volta che le incontro. Si desidera una visione “superiore”, la si cerca, la chiama con un versificare quasi esigente ma talmente raffinato che non ci si accorge nemmeno della “perdita” della donna chiamata, del ricordo del tempo sfuggito senza lasciar pagine, dei troppi forse che malinconia trattiene.

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    • sebastiano Says:

      Mia cara Simonetta, sei davvero generosa nel tuo applauso e ciò mi lusinga parecchio. Dici una cosa molto importante sul versificare e sulla (bontà tua) raffinatezza… dal profondo, scopro di “chi-amare” più spesso l’amore che la donna, perché, devo dire, che le delusioni arrivano dalle persone non dai sentimenti, almeno per me. Grazie per questo importante passaggio Meth, grazie.

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  14. sebastiano Says:

    Eccomi qua. Solo adesso e con grande gioia leggo questo magnifico post. Splendido non per via dei miei testi ma grazie alla lettura di Davide Castiglione che pare sia “entrata” in ogni particolare. Devo dire che non è facile che qualcuno scavi nei testi con così tanta profondità e Davide, speleologo della poesia, riesce ad insinuarsi nei più stretti cunicoli della parola per tirarvi fuori anche le più piccole sfaccettature. Questa lettura potrei benissimo utilizzarla come prefazione all’intera raccolta (Davide permettendo).
    Un abbraccio grande a Cristina che mi ospita nel suo Giardino ed un grazie immenso a Davide Castiglione che mi ha interamente svelato. Grazie davvero.

    Leggerò i commenti e risponderò a tutti come è mia abitudine, intanto un primo grazie a Cettina, Elina e Villa Dominica.

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  15. Villa Dominica Balbinot Says:

    commento anonimo è di villa dominica balbinot scusate

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  16. Anonimo Says:

    il commento “anonimo” di sopra è il mio:-))

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  17. Anonimo Says:

    devo dire che le acute note di lettura di Castiglione consentono al lettore di valutare con più profondità la cifra espressiva di Sebastiano Patanè: da apprezzare entrambi

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    • sebastiano Says:

      Mia cara Villa Dominica, sono entusiasta della lettura di Davide Castiglione, che è riuscito a svelare particolari davvero piccoli ma che completano assolutamente la mia scrittura. Il lavoro del buon Davide è veramente pregevole per la cura che mette nel leggere gli altri. Davvero apprezzabile. Quanto a me, bontà vostra!
      Grazie gentile Dominica.

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  18. elina Says:

    nell’assenza che dimora tra le lettere di Sebastiano mi raggiunge la sua voce, precisa, a dirmi ciò che muove ogni luogo

    grazie per questa lettura
    elina

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  19. Cettina Lascia Cirinnà Says:

    …un poeta preferito che dell’universo femminile si appropria con naturalezza e aiuta a migrare in luoghi sconosciuti.
    Cettina

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