Francesco Tontoli

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“Considero la Poesia una inutile e necessaria forma di bellezza e di grazia.  Come la vita.”

francesco tontoli

                            

Jam session permanente, la poesia di Francesco Tontoli. Rapidi e costanti cambiamenti di registro e di tonalità, mai camuffati, talvolta dichiarati apertamente, caratterizzano il passaggio da un testo all’altro, cosicché si ha l’impressione di una molteplicità solo apparentemente casuale o frutto dell’estro del momento. Commistione, mutamento, modulazione da maggiore a minore, da minore a maggiore sono invece intenzionali, composte secondo un piano e una conoscenza solida di partiture. Base dell’improvvisazione che lascia il segno non può, del resto, essere altro che la padronanza degli strumenti. Dietro carta e penna ci sono ‘i fondamentali’: argomenti, costellazioni, luoghi, nei quali il poeta si muove agilmente, mettendo al servizio delle partiture che ha in testa tutto ciò che permette il raggiungimento dell’obiettivo, senza riserve o preclusioni: benvenuti dunque anche neologismi e divertissement, che affiancano con destrezza frammenti di canone, citazioni sapienti e originalissime creazioni.
Steno Vazzana, che fu mio professore al liceo, amava dividere gli scrittori tra architettonici e musicali. Francesco Tontoli è poeta allo stesso tempo architettonico e musicale. Ogni componimento ne dà prova: motivi ricorrenti, melodie e controcanti si fanno costruzioni; queste, a loro volta, sanno far vibrare le loro corde, dar fiato agli ottoni e liberare armonie, “sicché ogni albero che vedo/oggi canta” (Bambine).
Varietà e variazioni costituiscono la solida cifra di un edificio ampio e complesso, con stanze ariose e angoli in penombra, scale che conducono a biblioteche “di legno stagionato e problematico” nelle quali sécretaire, scaffali, pagine di libri e spartiti portano sparso.  Un lascito inequivocabile, ché la musica, anima “metallo sottile […] in limatura”, “paura”, si fa “strumento/ di affabulazione”.
È musica del coro di bambini e maestre che “imitano il rombo dei motori” In gita all’aeroporto o nota nudache provò a spogliarsi”, è il canto del foglio “privo di titolo e dedica” in Rapid Writing Movements, è la fantasia napoletana di O’ scurdato ‘nnamurato che da Libero Bovio e Salvatore Di Giacomo prende le mosse, mentre il sentimento del tempo guizza via e, memore della scena iniziale di “Uomo e galantuomo” di Eduardo, chiude e apre porte, tra l’amaro e il faceto, è l’elegia di Avrei dovuto nascerlo, il recitativo de Il pane del drago, il Lied di Madre Lucertola; sono, infine, i notturni L’erba e Botaniche immaginarie (Giridiluna), seguiti dai tre movimenti di Marzo.
Uno sguardo attento e una mano sicura dirigono l’esecuzione, che, anche nella critica al tempo, nella giusta indignazione, non si fa mai invettiva urlata. Un esempio per tutti:

Al mercato dei bambini morti
un tanto al chilo, tra i flash
ognuno ha tra le braccia il suo fagotto
ogni mamma insanguinata porge il viso
alla televisionata riportata nel salotto.
Certamente questi morti han frainteso
non volevano morire su un social network
santificati dai deliri di martirio dei padri
in bella posa di vita sorridenti o appisolati
morti meglio di altri bimbi siriani non mercificati.

Se è solo una questione di confine fra due stati
lo stato di confine con la vita ha un passaporto
timbrato da due divinità entrambe decise a cancellarsi
(diplomazia celeste che ama farsi ritrarre
con bambini sorridenti tra le braccia).

La seconda e la terza strofa della ‘ballata della guerra di tutti i giorni’, Le briciole dell’inverno, precedute dall’ouverture della prima strofa, fanno di questo componimento un modello di poesia civile nel senso più alto e autentico del termine.
Anna Maria Curci

               

                        

Bambine
il cielo per farsi azzurro con voi
ha svegliato primavera
scuotendovi dal gelo.
Dio in persona
ha passato anche a me la parola
e di bocca in bocca
ha frantumato il tegumento
trasformando il suono in fiore
sicché ogni albero che vedo
oggi canta.

La chiamano poesia
ma questa cortesia vegetale
che un giorno sarà vino
oggi contiene perfino un frutto
dentro uno sguardo bianco e rosa.

E io non posso fare a meno
dalla mia postazione di fortuna
di intravedere anche il viso della morte
proprio in fondo a questo tenue e breve
abbellimento della vista.

*
E oggi sono tutto
in questa incertezza.
In tasca ho le mani
con stretta la carezza
che ti farò domani
                               

                  

UN LASCITO

Ti lascio in ricordo di me
un accordo di sesta
do mi sol la
in festa
ma che abbia qualcosa di minore
ti lascio la mia tavola armonica
amore
di legno stagionato e problematico
un viatico a cui ho lavorato curvo
con disincanto
e sulle cui linee mi sono interrogato
giusto il tempo di un assolo stanco
ti lascio in eredità un suono intricato
simile al rumore di un cielo pizzicato
ostinatamente presente, un solletico
qualcosa breve e sintetico
una cosa simile al rumore che fa le neve
e ti lascio una pioggia di risate, lieve
e qualche lacrima dovuta
a una cattiva interpretazione.
E ti vorrei dire anche
che ti lascio la canzone
che ancora devo suonare
e che sto cercando di cantare
ma che devo ancora limare e aggiustare
insomma, per ora ti lascio solo
un po’ del metallo sottile
dell’anima mia in limatura
ti lascio la mia paura
la musica che mi fa vivere
dentro questo strumento
di affabulazione.

     

In aprile gigantesche nuvole
si avventano sui campi
lasciando la loro impronta
l’ombra che corre lunga
insieme al cielo bianco e azzurro.
Come insegue la sua lepre il tempo!
Teneramente si affaccia il verde
tra i rami con mani di legno dolce
e poi il giallo, come a negare
che il suolo sia stato mai ghiacciato.
Sconfinatamente gli occhi nostri
cercano il colore del vento
e seguono le ascensioni e le picchiate
degli aironi grigi e delle garzette.

   

IN GITA ALL’AEROPORTO

I bambini che vanno in gita all’aeroporto
indossano ali e giubbetti rifrangenti gialli
e con le maestre imitano il rombo dei motori
attenti in fila si danno la mano come innamorati.
Max e Abdul, Karima e Jonathan , Ciro e Manuele
vanno sulla pista per decollare verso i mondi che sanno
e per quelli che non sanno si pensano adulti veri.
Mettiamoci dunque in fila anche noi con loro
implumi e appesantiti dalla gravità della nostra forza
ciechi come vecchi uccelli con il collo infilato nel tronco
con scarpe adatte a un cammino che non sa più andare.
Mettiamo con naturalezza la mano tra i loro capelli
rilasciando la semenza che si trasmette con lo sguardo
abbandonando a loro la lettura del disegno strano
che è inscritto a ghirigoro nella nostra mano.

*

Nuda la nota provò a spogliarsi
si sbucciò aderendo fino al nocciolo
seminò la sua tenera polpa sonora
nel labirinto delle orecchie spugnose
bucò diversi timpani che provarono a fermarla
ruppe i cristalli di Boemia conservati e catalogati
sporcò le candide tovaglie di Fiandra
deflorò l’imene delle adolescenti sussurranti
disarticolò le polifonie escludendo i bassi continui
sostituendoli con alti e robusti che sottolineavano
la rottura della continuità introducendo vigore
fece rifiorire gli aforismi resuscitare le anafore
ridare il senso perduto alle metafore spente
bruciò neuroni e sinapsi collassate e ferme ancora
a un ripetitivo giro di do puteolente e nauseabondo
vari kirieleison e salveregina vennero sacrificati sugli altari
insieme agli isacchi che il coltello non risparmiò
Albert Ayler si disse soddisfatto del risultato
Derek Bailey si candidò ala presidenza
Il Grillo Beppe intanto taceva e annuiva
ma non seppe aggiungersi al coro
l’ignoranza musicale è imperdonabile a primavera.

    

 (frasi a naso)

sulla panchina mi disse:
“è difficile rimanere in bilico
sul transeunte”
gli risposi:
“ogni pentola rimane
equipollente”.
Ci videro insieme e pensarono:
“…si sono messi a caso…”.
Una di loro gridò:
“andate a darvi il nettare!”
Così sbollimmo
continuando
a manometterci.

   

RAPID WRITING MOVEMENTS

Dentro un cerchio di appartenenza
come dentro l’enunciato di un insieme
stanno oggetti in numero di tre
un blister di pillole vuoto
un vecchio zaino, un libro.
Senza contare il foglio
sopra al quale sto scrivendo
privo di titolo e dedica.

Il tavolo racchiude questa flottiglia
e sulla sua pianura liquida
il mio sguardo si posa rotondo
come a contemplare un mare.

I movimenti rapidi della scrittura
(rapid writing movements)
smuovono onde e generano correnti
memoria che galleggia negli specchi
lasciano correre flussi di immagini
sopra un bianco abbagliante.

I ricordi soffiano nella direzione segnalata
da una ipotetica rosa dei venti
e lasciano che la penna percorra
la linea d’orizzonte del verso
come fa una vela.

E tutto questo avviene
con semplicità e con cura.
Come la felicità minore dell’uccello
che ha costruito un nido
con le lettere del suo canto.
Come l’antica solitudine del pesce
che nuota dentro la profondità
di un vasto sogno.

                                             

 LE BRICIOLE DELL’INVERNO

Come un pane, dividiamo il sogno a metà
tu mi dici “ho sognato che eravamo”
e a me tocca andare a cercarti lì, in quel paese
e se non mi ci trovi avverto la tua ansia
sul cellulare ci sono le tue tracce.
Abbiamo le nostre vecchie antenne che vibrano
e non sappiamo come fare a meno
ognuno della mollica dell’altro.
Sul davanzale sono sparse
le briciole dell’inverno.
Così, dopo un volo di ricognizione
capisco che un po’ del tuo sogno
è anche mio, e non lo dimentico.

Al mercato dei bambini morti
un tanto al chilo, tra i flash
ognuno ha tra le braccia il suo fagotto
ogni mamma insanguinata porge il viso
alla televisionata riportata nel salotto.
Certamente questi morti han frainteso
non volevano morire su un social network
santificati dai deliri di martirio dei padri
in bella posa di vita sorridenti o appisolati
morti meglio di altri bimbi siriani non mercificati.

Se è solo una questione di confine fra due stati
lo stato di confine con la vita ha un passaporto
timbrato da due divinità entrambe decise a cancellarsi
(diplomazia celeste che ama farsi ritrarre
con bambini sorridenti tra le braccia).

             

O’ SCURDATO ‘NNAMMURATO

stai lontano, guastatore di cuori
volano a te i pensieri in formazione da battaglia
e bombardano, rasano la tabula
si presentano in schegge d’acciaio
davanti alla mia porta aorta.
Niente spero, un niente intero
interamente ritagliato solo per me.
Eppure all’ora del desinare
mi sfamavo con i tuoi occhi
il tempo di un tuo battito di ciglia
e al polo opposto dello stomaco
si scatenavano uragani.
La geografia dei miei organi interni
subiva le oscillazioni dovute
alle basse pressioni sul Bosforo
allo zero termico e al tropicalismo della flora intestinale.
Tutte le sambe del mondo mi tuzzuliavano dentro
e lui, ‘sto core ammappuciato
faceva tu-tu, tu-tu
come un telefono senza fili
collegato col pollice e col mignolo.
Ora ho perso la scheda madre
e ho ridotto la circolazione sanguigna
come quegli animali che risparmiano energia
oi vita, oi vita mia
oi vita non più mia

                   

L’ERBA

Gli alberi di notte non dormono
aggiungono sonno al sonno
anelli al tronco, e sulla corteccia crepe.
Caricandosi di sogni scuotono i rami
inghiottono cicatrici a forma di cuore
e nascondono sensi di fine vita
liberandosi delle foglie messaggere
di vaghezza e transitorietà.
Le radici vere in fondo stanno nelle nuvole
e nei muschi di quei pascoli celesti
che animali onirici brucano nell’umido segreto.
Deformata dal silenzio del sonno
la vita non è che masticare amaro un’erba grassa
indigeribile parola morte.

  

AVREI DOVUTO NASCERLO

Avrei dovuto nascerlo
esserci dove ora non sono
crescere dividendomi in parti
in una specie di culla di un altro
un ragazzino se non introverso
almeno taciturno e capace di saltare
fin da piccolo sulle mattonelle senza toccare le linee.
Azzardare un cammino in cui il piede
atterra su una superficie più elastica
avendo la testa nascosta dentro un ermetico
casco di riccioli che a fatica distingui le luci
degli occhi-binocoli che avvicinano cose.
Avrei pestato meno merde correndo
e sulle mie lune avrei piantato bandiere di latta
immobili, rigide , sventolanti parole
come quelle che in Tibet legge il vento
e che stanno in silenzio tra loro
prima di scendere e muoversi.
E come fa il vento sarei andato lì
in ogni dove su in circolo
prima di scegliere di nascere
prima di nascondermi a morire.

*
e se pure facessi qualcosa qui
con l’altrove sarei in debito

                          

IL PANE DEL DRAGO

L’ho fatto anche stavolta
mi sono svegliato dopo di te
quando i tuoi passi per casa
al mattino, messi di traverso
erano ancora dentro i miei sogni
e ti ho sentito forse salutarmi
sbattere la porta e uscire
ricordarmi qualcosa circa commissioni
e impegni
mentre ero lì a lottare con un drago di passaggio
o a cadere nella tentazione di essere corrotto
trafitto, fatto precipitare in un orrido
e salvato per miracolo.

Sono passato attraverso
avventure salgariane
erezioni mattutine obbligatorie
inutili tentativi di scalare montagne di potere.

Poi ho sentito di nuovo la chiave nella porta
tu che cercavi qualcosa
e di nuovo i tuoi passi circondarmi
dopo avermi baciato, e forse anche sorriso
mi devi aver messo nelle mani qualcosa di scritto.

Sotto le istruzioni per uccidere diversi draghi
e per sfuggire a vergini pronte a decapitarmi
mi ricordavi , se c’era altro tempo
di comprare il pane e annaffiare le piante.

[So che ti sei fermata un istante a guardarmi]

*
ti stupisci di questa coperta
bucata di stelle
guarda il carro
è solo cammino seminato.

                        

BOTANICHE IMMAGINARIE (GIRIDILUNA)

Sono quarti di giri di luna
nei campi li ha di notte l’estate
diventano mezzelune
e poi giridiluna piena.
Fiori segreti e irrequieti
si voltano insonni verso quella cruna luminosa
cercando di infilare la testa nell’uovo di luna
in un estivo e festoso fecondare notturno.
Navigano nell’amnios latteo del cielo
sorridono con la loro falce spugnosa
intrattenendosi in cosmiche e private conversazioni.
Amano il linguaggio silenzioso delle radiazioni di fondo
il tamburo solenne che batte dalle galassie lontane.
Orientano il loro radar su tutte le stelle
non su una sola e accecante parola.
Quando sfioriscono
è il primo impercettibile segnale
di un inizio di autunno.

                         

MADRE LUCERTOLA

Maittone, amico mio d’infanzia
bello grosso eri, e forte
e fossi stato anche cattivo, avresti fatto fortuna.
Quando da bambini cacciavamo le lucertole
d’estate, e i giochi di controra, li ricordi?
Maittone, dicevi, che il terremoto viene
perchè c’é la madre di tutte le lucertole laggiù
e i campanili ballano perché la coda della lucertola
si muove e si muove, e fintanto che lo fa
bisogna recitare gli scongiuri velocemente
e segnarsi, e pregare, e bestemmiare.
Insomma fare tutto fino a quando la coda
non smette di contorcersi, perché é senza capo.
Io ti sentivo bestemmiare e scongiurare
indugiando sulla coda, mentre la lucertola dimezzata
la scampava bella, dentro un buco sottoterra
tra le macerie del terremoto
dove madre lucertola le regalava una coda tutta nuova

                         

MARZO

I
Mi sfiora il significato della primavera
riaffiorano cose indicibili dall’inverno
indeciso se essere ramo o pietra
sto accanto e mescolato a questo vento
come in una invenzione di musica imminente.

II
Ispeziono l’udibile e tendo le membrane
anche i fiori fanno rumore dentro ai bocci
basta credere nel rosa e perfino nell’azzurro
soprattutto in città ascolto le sinfonie del giallo.
Ecco una fede che fa al caso mio, cresce nervosa
dentro ai toni grigi, come in un’ottava.

III
E poi c’é marzo che un poco indossa il tempo
un poco ama e un altro poco muore
ma molto fa rumore e coglie tutto il silenzio
che viene dal passato ruotandolo, negandolo
affrettandosi a cantarlo quando c’è il sole
destando cori e falsi movimenti dentro al petto.

                

                           

Francesco Tontoli dice di sé:

Sono nato a Maddaloni in provincia di Caserta nel Febbraio del 1956, e lì ho vissuto per 19 anni. Poi mi sono iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, scegliendo di andare a vivere in quella città. Ho sostenuto parecchi esami, ma non sono riuscito a laurearmi, anche cambiando Facoltà, e scegliendo Filosofia. Ho avuto la fortuna di conoscere, e di frequentarne le lezioni sostenendo l’esame di Storia della Filosofia Antica, un grande Maestro come Giorgio Colli, poco prima della sua morte. Erano anni duri e difficili. C’era il terrorismo e la vitale protesta giovanile si andava esaurendo in un bagno di sangue. Io ho messo su famiglia. Ho sposato la donna che amo, ho avuto da lei due figli ormai grandi, e ho trovato un lavoro. Sono tuttora un Educatore nei Convitti Nazionali, e nelle Istituzioni Educative in genere, e mi occupo oltre che di Poesia, anche di Musica. Sono un jazzista e compositore, e opero nell’ambiente musicale pisano da molti anni. Considero fondamentale per la mia visione della Musica (e della vita) la conoscenza, l’amicizia, e la lezione di Donald Rafael Garrett, grande jazzista di Chicago che ha operato per qualche anno a Pisa tra la fine degli anni 70, e l’inizio degli ’80. Suono la chitarra. Riguardo alla Poesia ho ricevuto la folgorante iniziazione durante i primi anni del Liceo dal mio professore di Filosofia, il poeta e prete Giuseppe Centore, e dal mio grande amico e Maestro, Josè Antonio Càceres Pena, poeta e pittore spagnolo dell’Estremadura. Ho pubblicato poesie e racconti su blog di amici poeti molto stimati (da me e da altri), e ho partecipato alla pubblicazione in E-book di una Silloge insieme alla mia amica poetessa Loredana Semantica. Sono titolare di un account su Facebook dove preferisco riversare tutta la mia scrittura, anziché avere la responsabilità per me gravosa, di gestire un blog, o un sito. Considero la Poesia una inutile e necessaria forma di bellezza e di grazia.  Come la vita.

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19 Risposte to “Francesco Tontoli”

  1. Francesco Tontoli | il giardino dei poeti Says:

    […] https://giardinodeipoeti.wordpress.com/2013/06/29/francesco-tontoli/ […]

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  2. Francesco Tontoli | il giardino dei poeti Says:

    […] in queste pagine Francesco Tontoli che già ci aveva donato una serie di poesie anticipate dall’attenta nota di lettura di Anna […]

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  3. Loredana Savelli Says:

    Sono estremamente colpita da queste poesie!

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  4. francesco tontoli Says:

    Un grande grazie a Cristina Bove, per avere ospitato le mie poesie (sono ancora sconvolto per il fatto che abbia integralmente pubblicato tutto intero il malloppone che le avevo spedito, senza buttare via nulla, come si fa con il noto animale…), e ad Anna Maria Curci per la incredibile disposizione a dipanare le matasse poetiche che le capitano a tiro. Ci deve essere dell’amore sostanziale per la poesia, e ricerca della bellezza in queste due signore. Lo dico con sincerità, e chi mi conosce (di persona, o via-media) sa he non mento, neanche sotto tortura

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  5. Anna Maria Curci Says:

    Un saluto riconoscente a tutti coloro che sono passati qui, hanno letto, commentato, lasciato con generosità le loro riflessioni. Un grazie di cuore a Cristina, che cura nel senso più pieno del termine il suo giardino, e a Francesco Tontoli, le cui architetture musicali ho seguito, seguo e continuerò a seguire con grande interesse.
    Anna Maria Curci

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  6. cristina bove Says:

    Grazie a Francesco, Anna Maria, e a tutti i commentatori.
    cb

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  7. Adriana Gloria Marigo Says:

    Spesso, per la comunanza delle frequentazioni in Facebook, ho incontrato la poesia di Francesco Tontoli e talora lasciato sotto ai suoi versi esigui veloci commenti sebbene la materia del suo scrivere richiedesse una osservazione più ampia e particolareggiata.
    Perché sì, come scrive Anna Maria Curci, è nella poesia di Francesco la convivenza sinergica di elementi architettonici e musicali, senza mai che l’uno sovrasti l’altro: anche quando la poesia si fa ricca di descrizione, mai abbandona il passo musicale. Per un’intrinseca natura dell’uomo, una educazione all’onestà dell’ascolto – del mondo, degli affetti, delle cause che generano la domanda sulla presenza, sulla mancanza, sull’assenza-, al consequenziale emergere della parola che arriva da una frequentazione ed elaborazione oserei dire “olistica”, la poesia del poeta si annuncia portatrice e di una voce che prova un lessico attuale, proiettato in avanti, sperimentale, e di una voce dichiarante ascendenze e provenienze classiche: talvolta nella stessa lirica convivono egregiamente entrambi i modi, resi accessibili alla lettura, congrui al senso che Tontoli lascia emergere, sempre preziosi per l’equilibrio tra significato e significante.

    Adriana Gloria Marigo

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  8. Deborah Mega Says:

    Conosco Francesco Tontoli da qualche anno ormai : ne ho sempre apprezzato lo straordinario acume, la grande sensibilità e maturità mascherate da un naturale atteggiamento ironico e giocoso verso se stesso e verso gli altri.
    Perfetta la nota critica di Anna Maria Curci, l’aver sottolineato i cambiamenti di registro e di tonalità evidenti nel passaggio da un testo all’altro, da abile poeta-musicista, la padronanza degli strumenti lessicali e sintattici da cui ci si diparte per improvvisare, l’utilizzo mai scontato o prevedibile di neologismi e giochi linguistici che, ad una prima lettura producono stupore e trasmettono un effetto surreale di divertissement ma in realtà denotano un malessere, un’indignazione, un paradosso, denunciati a denti stretti. In ciascun testo Francesco offre una sua personale lettura di una situazione reale o immaginaria, di un problema osservato con lo sguardo attento e disincantato di chi la sa lunga e ha tanto da dire. Con amara consapevolezza osserva il caos del nostro tempo: denuncia e allo stesso tempo, quasi inconsapevolmente compie la sua ricerca, delinea quella che oggi si definisce la sua particolare “cifra stilistica” (riconoscerei una sua poesia tra tante altre).
    Infine resta vicino al lettore, quasi lo prende a braccetto per disquisire di poesia; la stessa modalità di scrittura è spesso estemporanea, quasi laboratoriale, una sorta di work in progress; quante volte dopo aver pubblicato una poesia è pronto a rivedere e accogliere un cambiamento suggerito da un amico perché “suona” meglio, quasi andando alla ricerca dell’accordo ideale.
    Come un cronista che si pone in ascolto del mondo che lo circonda, sente, percepisce, offre la sua visione e interpretazione del reale dal sapore un po’ agrodolce e, mentre ci fa commuovere o divertire, ci fa anche riflettere.

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  9. francesco tontoli Says:

    Intanto, prima della pastasciutta della domenica (è quasi l’una), come si faceva avendo nel pensiero la succulenta forchettata, volevo ringraziare il mio piccolo pantheon di amici poeti e non, che spererei presto di conoscere di persona. Almeno prendo loro le misure delle statuine votive che intendo fargli…Ringraziamenti votivi a parte , sono davvero contento di aver ricevuto la lettura l’apprezzamento, la titubanza, la storcitura del naso o della bocca, la turatura del naso (si dice così? Google non me lo accetta e me lo segna errore…), insomma tutto il corredo di manifestazioni festose e non , e perfino l’indifferenza se proprio necesse est, e mi riprometto di intervenire non appena la discussione diventa mossa o frizzante. Saluti cari, e buon pranzo! (cit)

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  10. loredanasemantica Says:

    Congratulazioni, Francesco di questo meritato e brillante “debutto”. E’ tutto perfetto, la recensione della Curci, le tue poesie, la biografia che splende della bellezza che solo può la verità e semplicità, i commenti che esaltano la tua bravura e sottolineano i meriti della tua produzione, la sua freschezza e ricchezza che non è dato trovare in molti celebrati poeti. Ti auguro di ricevere ancora maggiori riconoscimenti. PS. e grazie della citazione

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  11. Laura Bangrazi Says:

    Una recensione di valore, che indaga le profondità e ne fa affiorare l’essenza, che esplora ogni aspetto dell’espressione poetica di Francesco, restituendoci le ragioni delle emozioni, del coinvolgimento e del piacere che i suoi versi sanno produrre.
    Grazie.

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  12. SoniaLambertini Says:

    Complimenti Francesco, i tuoi versi lasciano il segno. Complimenti alla straordinaria Anna Maria Curci.

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  13. Francesco Palmieri Says:

    Leggo la poesia di Francesco, in rete, da che ci è capitato di incrociarci su facebook, credo almeno un paio d’anni fa o anche di più. Mi ha sempre colpito la sua capacità scorrere le gradazioni del linguaggio dal tono più grave a quello più aereo, e ancora di più il talento di saper esprimere con la più innocente levità, gli aspetti più abissali e sconcertanti del vivere. A volte ho persino pensato che Francesco giocasse sempre, anche quando la parola “morte” faceva capolino tra un sintagma e un altro. Ma Francesco sì, a volte gioca con le parole ma mai lo fa con i contenuti. E a dimostrarlo basterebbe questa “plaquette” telematica. Qui si possono segnare tutti i registri della “retorica” poetica (retorica intesa come complesso di registri espressivi e non nel significato deteriore che attualmente si tende a dare al termine): dal verso lirico a quello civile, da quello filosofico-riflessivo a quello quotidiano-prosastico; a volte come nota dominante di ogni testo, altre volte come polifonia lemmatica. Ci si può commuovere “Al mercato dei bambini morti” o commuovere -fino alla tenerezza- con la poesia “Il pane del drago”; si può fare una pausa di pensiero, tanto per citarne una, nel dialogo filosofico-surreale di “(frasi a naso)” o calarsi in sorta di spirito panteistico con “Madre Lucertola”; ma comunque sempre si emerge dalla lettura con “un di più”, con una suggestione di profondità, l’eco di chiuse che si ripetono nel silenzio della mente di chi legge.
    Ecco, la poesia di Francesco Tontoli, è uno di quei casi -nel panorama della poesia on line- che non passa senza aver lasciato un segno, che non ti fa pensare “ma sì, la solita solfa, il solito verso di scuola, i soliti emuli ed adepti dei poeti da libro”. Peccato che lo spazio virtuale consenta la dispersività di un testo per volta (altrimenti nessuno si fermerebbe a leggere); peccato che la stessa permanenza in bacheche e simili sia solo questione di attimi (il baccanale dell’effimero e del sommerso nei fatti); e peccato che sia diventato così difficile (ma anche maledettamente facile) la versione in libro per quelli che almeno dimostrano nella “parola” -e non a parole- di possedere una sicura voce poetica. E’ il caso di Tontoli. Ma come penso spesso, il “poeta” scrive comunque, lo deve fare perché non saprebbe fare altrimenti (già lo sapeva Rilke) ed è la scrittura la sua stessa remunerazione. Il “poeta” non perde mai, semmai lo fa la cultura (ufficiale), tanto più quando cultura è l’ultima copertina di una rivista di gossip o l’ossessivo tam tam di scandali e spread. La poesia forse non salva il mondo ma ancora ricorda a qualcuno che siamo Uomini, Donne, Vecchi e Bambini, e che siamo Vivi. Siamo ancora Umanità. E Tontoli è di certo un buon promemoria.

    Grazie Francesco.

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  14. butterflyeffect0 Says:

    Reblogged this on Repository and commented:
    Scrivi qui i tuoi pensieri… (opzionale)

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  15. Mirko servetti Says:

    “Considero la Poesia una inutile e necessaria forma di bellezza e di grazia. Come la vita.” Nel fare mio un enunciato che… disvela la mia consentaneità, aggiungo… confermo che la poetica di Francesco (di cui spesso seguo con passione i lavori postati in rete) si dipana spesso come una vera e propria partitura. Per fermarsi all’aspetto eminentemente sonoro che emerge quasi come ‘cogenza’ tra i vari caratteri del percorso scritturale. Profondi, complessi i brani qui scelti; calibrato e puntuale l’ampio commento di Anna Maria Curci, soprattutto là dove viene sottolineata la componente connettiva della felice sinergia che viene a crearsi tra il suono e l’edificazione architettonica.

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    • Antonino Caponnetto Says:

      Rispondo qui a Mirko, ma è un modo per parlare a tutti noi, solo per precisare che nel fare il mio commento, che peraltro mi ha preso un po’ la mano, e nel sottolineare un aspetto per me essenziale del far poesia di Francesco, ho trascurato di dire una cosa della massima importanza, e cioè che concordo pienamente con la lettura di Anna Maria Curci. Mi spiacerebbe moltissimo se l’averne taciuto venisse visto come una negazione di un qualcosa che in realtà ho fatto mio, e al quale ho soltanto aggiunto un ulteriore modo di guardare alla poesia e alla poetica del nostro Francesco.

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  16. Antonino Caponnetto Says:

    Personalmente devo dire che riguardo all’inutilità della poesia, già molto prima di conoscere Francesco Tontoli, ero – ovviamente senza saperlo – perfettamente d’accordo con lui.
    Proprio in questo senso mi ha sempre colpito una parabola dell’antico filosofo taoista Zhuang-zi. La parabola riguarda «l’utilità dell’inutile», essa dice, in sintesi, questo: se un albero è inutile, se il suo legno è inservibile per costruire checchessia, esso può crescere smisuratamente e la sua enorme chioma divenire il rifugio di molti insetti e uccelli, il suo suolo e il sottosuolo far da rifugio di altre forme viventi, la sua ombra accogliere e dare ristoro a torme di viandanti… In questo medesimo senso credo però che l’inutile poesia abbia una sua propria utilità, ma che solo il poeta e il suo lettore possano conoscerla.
    È forse il caso però che io dica qualcosa sulla poesia di Francesco e magari anche sul suo apparente eclettismo espressivo e formale. A me pare che un componimento poetico debba avere una sua architettura e che questa debba ripercorrere le linee stesse della struttura versuale: un esempio è che se trattiamo di sbarre e di prigioni e di claustrofobie conseguenti, allora sia l’architettura sia i versi che la determinano si chiuderanno su se stessi e mostreranno in tal modo anche la sofferenza claustrofobica o il ripiegarsi in sé dell’anima imprigionata. Se invece trattiamo del senso di libertà, della gioia tipica di un corpo che si muove all’aria aperta, la struttura architettonica può essere superflua e ci si servirà di uno scenario del tutto naturale, alla stregua di un bel paesaggio, e naturale sarà il fluire dei versi, i quali riecheggeranno i ritmi delle onde del mare o il fluire delle acque di un fiume o lo stormire del fogliame al vento… Ma questo è più difficile a dirsi che a farsi. E a me pare che nel far poesia di Francesco Tontoli esista questa intima correlazione fra lo stilema metrico di ogni singolo componimento e l’architettura poetica da questo ingenerata, e viceversa.

    Antonino Caponnetto

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  17. teqnofobico Says:

    non sapevo fossimo quasi compaesani

    gc

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