Stefano Guglielmin

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Uscirà probabilmente a giugno, presso l’editrice Aracne, La lingua visitata dalla neve. Scrivere poesia oggi, di Stefano Guglielmin. Il volume consta di 456 pagine. Riportiamo qui l’Introduzione.

Ripercorrere la storia della poesia lineare dell’ultimo secolo, cercando gli snodi che hanno traghettato la lirica simbolista sino ad oggi, consentendole di coabitare il contemporaneo con la lirica non simbolista, ma anche con gli stili prosaici e gli sperimentalismi asintattici: è questo uno degli obiettivi che caratterizza questo saggio, che si divide in due parti. La prima fa il punto su alcune questioni fondanti: la deriva del soggetto, le insidie dell’inconscio e dell’ideologia nell’atto creativo, l’importanza della tecnica e dell’uso di alcune figure retoriche, in particolare il simbolo e l’allegoria, centrali nel dibattito italiano almeno a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso.

La seconda parte entra nel vivo della scrittura, analizzando le condizioni di praticabilità degli stili individuati nella prima parte, la quale non è dunque una semplice introduzione, bensì il serbatoio da cui la seconda parte attinge per approfondire gli elementi decisivi della scrittura contemporanea. In essa, sono studiati un gran numero di autori novecenteschi e contemporanei, non con l’intenzione di costruire un canone, anche se questo è arrivato di rimessa, come inevitabile conseguenza di una selezione, ma di cercare le forme dell’odierna poesia italiana, quelle soluzioni stilistiche e tematiche in grado di legittimare l’esistenza del poetico, laddove esso sembrerebbe oramai inutile a dare un contributo costruttivo alle umane sorti, anche se non necessariamente progressive, di una civiltà sempre meno capace di comunicazione autentica.
Non si creda che l’argomento dia un esito scontato: leggere la storia della poesia italiana moderna, cercando di verificarne le costanti e le variabili stilistiche, in relazione alle questioni fondanti può riservare interessanti sorprese, come quella che il prosaico non sia affatto l’inevitabile approdo del lirico, ma piuttosto che l’uno e l’altro siano sempre in un dialogo, in cui tecnica, creatività, poetica e orizzonte storico-linguistico risultano decisivi; per non dire della varietà dei modi in cui il lirico e il prosaico si presentano entro un mondo che è diventato una grande discarica, anche culturale, e in relazione al fatto che il poeta vive sempre più un’esistenza piccolo-borghese, povera di novità illuminanti.
Questo lavoro porta con sé quarant’anni di riflessioni e letture, di confronti diretti con poeti e critici, nella convinzione che la scrittura, non soltanto poetica, sia un organo di un corpo collettivo e impersonale, trans-epocale, il più adatto a dare un senso al divenire, corpo che rimane tuttavia plurale e inappropriabile, apertura che nessuna singola voce può perimetrare né attraversare in via definitiva.

 

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