Pietro Edoardo Mallegni

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Profumo di liquirizia copertina Pietro Edoardo Mallegni (1)

Dalla prefazione di Stefania Di Leo

Profumo di liquirizia di Pietro Edoardo Mallegni è un libro dall’atmosfera crepuscolare, è quasi sempre una descrizione di quotidianità ed esperienza individuale venata di malinconia. I versi sono liberi, il tono lirico, le descrizioni fortemente sensoriali. Pietro cerca solamente tranquilli angoli del mondo e luoghi conosciuti dell’anima in cui rifugiarsi.

Ma questo impegnarsi a vivere, / questo sentirsi ecosistema / contare i giorni come / ingredienti di una spesa.

La sua è una poesia colta, caratterizzata da una concisione assoluta e da un linguaggio preciso, anche se mai oscuro o criptico, in perfetto equilibrio tra estremi diversi. Tra echi simbolisti e
lampi surreali, utilizza l’ironia per creare un universo metaforico popolato di dettagli e colori precisi, vividi, esatti. E dunque la poesia diventa nel giovanissimo Pietro una compensazione e, rispetto al mondo circostante, la necessità di colmare un vuoto. Un richiamo ad un mondo esotico rispetto al suo mondo presente, la poesia diventa per Pietro Mallegni irrinunciabile forma per percepire il mondo e relazionarsi con esso in una dimensione profonda e nascosta, più soddisfacente.

Un’ironia assoluta: / il desiderio della longevità, / nell’era dell’abbondanza. / Sia luce ai coltivatori di dolore e, / dalla terra che, presidi e scrittori / hanno sublimato, si canti / “ è nato qualcosa”. / Morte e sgomento, / mai si attaccarono a qualcosa,/ che non fosse nato. […]

[…] La tensione poetica ed il gioco metaforico, la speculazione della singola parola, gli interrogativi posti alla vita e al suo senso definitivo si fanno più urgenti, come è evidente in questa raccolta
poetica, nella quale appare l’ansia di rinchiudere il coacervo di indomabili contraddizioni dell’esistere in un nome che, come è richiesto alla poesia, sia non ancora avvertito prima della rivelazione poetica. […]”  Stefania Di Leo

testi scelti

Di me, la miseria si è innamorata,
“m’ama e non m’ama” fa,
i miei capelli usando come petali,
detestandomi piano
per la crescente calvizie.
Una confusione di animali,
alla musica si è sostituita,
acque bollenti e violini schiantati;
si, ho pagato i miei debiti con l’ansia,
con la paraffina e l’ibuprofene;
le idee bussano alle porte della gola
ed ogni mattina mi reinvento
questo lugubre moderno,
gli argenti mascherati
e le ustioni sulla fronte.

Anonimo ricordo che sono,
nelle vostre teste,
a voi accanto, sfiorando le baite,
vicino alle nuvole dei vostri sguardi:
i vostri vuoti “tutto d’insieme”.

*

Aspira forte l’odore di sole,
lische, vuoti gusci bivalvi,
becchi di totano,
a fondersi sui sentieri,
con le mie promiscuità.

Ombre e nebbie,
e sterlizie di sole:
l’immaginario della rovina,
trascendere il bisogno d’acqua,
rinunciare alla cioccolata e scordarsi i nomi delle stelle,
sul cielo, i ricordi a venire.

Strana è la vergogna:
come, in frigo, i corbezzoli,
a fianco di cicale e acciughe,
sono il mio consenso all’intraducibile.
Sordo e cieco e con parole perse,
sparse per il mio essere,
come nelle favole,
per ritrovare casa.

*

Un vestito e un prisma,
questa mia pelle che si scuce,
e colleziona vuoti.
Fibbie, insetti e organi di tempo
e ripetersi.

Ripetersi,
nei giorni e negli anni;
cambiarsi gli occhi,
pensare alla realtà:
una claustrofobia ramificata.
Nel palmo, il futuro e le sigarette
(Linee vitali e grafici azionari)

Un avvenire sporco,
riciclato. Fatto di pezzi
di oggi, incastrati nei miei sogni.

Etica e imbarazzo,
ossa voraci, denti malati,
poca saggezza.

*

La vecchiaia ha i capelli tinti di rosso,
tutti i giorni si siede sul lungomare e tinge
di vermiglio le guance dei bambini,
che urlano e sorridono e diventano
“tramonti da togliere”.

La mia cenere si disgrega,
con troppa facilità la mia delusione
è diventata miope,
vedendo banani morenti innestati,
al fianco, di pini che si attorcigliano e
che diventano case, solo, per la muffa.

Mi rimane solo un mare di inconcludenza,
dove pescare e nuotare; il mio sguardo
incontra solo occhi incapaci di raccontarsi,
cercano, senza rimedio quella cavità
nel mondo dove riconoscersi.

I denti che sanguinano,
i capelli che cadono,
le ossa rotte,
gli occhi che non mi rispondono:
il mondo raccoglie pezzi,
per ricostruirmi altrove.

In questo disegno malsano,
distrutto e dimenticato,
forse, mi vedrei desiderabile.

*

Un riflesso spento, di baffi e tristezza,
quello che vedo su scaglie di pesce
che canta il sole come fosse
un demonio.

Una barbarie di carta e cristalli
rifugge tra le pazzie degli impasti
e si scrolla di dosso quella vecchia
tunica di velluto chiamata domani.
Tutto il senso di eterno
del vuoto che mi circonda.

Un occhio di madre che deraglia
le sue lacrime in questi rigagnoli
di sangue, condensati su freddo acciaio.

*

Dilania l’altrove dentro di me,
neutro collagene che lega i miei tratti
con desideri di terre lontane e spezie rituali.

Fumi iridescenti alimentano il riciclo di me;
macigni e carbone si sperperano
fra i crepacci della mia anima,

dove esploratori onirici vengono
a tuffarsi dai pendii per falciare piante
e fiori da riportare a casa per scordare cosa è stato.

Un mare ingrato e freddo è
la superficie della mia volontà,
infruttuosa cadenza delle onde
che scandiscono il ritmo ubriaco
dell’odio per me stesso.

Tornano solo stolti marinai dai miei inferi,
per fare l’amore con povere illusioni e
inebriarsi delle mancanze erronee di giorni passati.

*

Umano peggiorare,
questo è il dimenticabile
avvenire notturno
che mi riservo.

Ostinarsi a vivere,
sentirsi parte di un tutto,
di un genere,
come santi e beati.

Il fervore dell’assenza
è il migliore cipiglio
al quale dare
il mio guaire.

Permane solo una goccia,
un ricordo del mio resistere
novizio alla vita.

*

Era un odore di pane il mio, di mais dolce
tostato e ferrosa sensazione
di maternità e asfalto.

Gusti che si tradiscono, questi anni sono
e storie di vino e di bruttezze
che ci descrivono.

Era la luce del sole che satura un orto
in corte nascosto dal lusso, su un’isola
di donne impazzite a Venezia.

Era una Praga, piena di giorni di ottobre,
mese che luccica in questi bicchieri
e riempie i pensieri con mele e verdi limoni.

Un colino di magie grandi, capperi e
alluminio e sale sparsi ovunque.
La penna vicino alla planetaria
e fogli sporchi di tartaro e carbone.

Era lavorare ed era distrazione;
è il profumo di una stanza coperta

di cotone bianco, macchine
da cucire e legno di ciliegio;
è un granito povero, freddo e scarno
che nessuno vuole sui pavimenti di casa
o nelle tasche dei propri figli.

*

Dalla postfazione di Irène Duboeuf

[…] Pietro Edoardo Mallegni è ossessionato dalla mancanza, dall’assenza, dal vuoto, dalla morte. Ci aveva avvertito: ci ha fatto entrare nel suo libro accompagnato dalla citazione di Tomasi
di Lampedusa tratta dal Gattopardo: «Desiderio di immobilità voluttuosa, cioè ancora di morte, la nostra pigrizia, i nostri sorbetti di Scorzonera o di Cannella.» Il poeta domina l’arte di comporre i versi come lo farebbe per un pranzo gastronomico: sollecitando tutti i sensi, la vista, i profumi, il gusto, intrecciando con maestria l’arte culinaria e l’arte letteraria con audace eleganza, senso lirico e disincanto. […] Irène Duboeuf

***

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Pietro Edoardo Mallegni è nato a Carrara l’1 luglio 1995. Fin da piccolo nutre due grandi passioni: la cucina e la scrittura. Nel 2013 ha pubblicato con la casa editrice“ Marco del Bucchia” la sua prima raccolta:“ Il dedalo in me”, e vince il premio “Michele Mazzella” con l’atto unico “ Geshua e il crollo dell’io”, nel 2015 pubblica un’altra raccolta intitolata “ Il Dio Dada”. Tra il 2019 e il 2021, partecipa a diverse antologie curate da Ivan Pozzoni per la casa editrice “ Limina Mentis “ inoltre ottiene alcuni riconoscimenti e pubblica due raccolte di poesia intitolate “Neurocidio” e “Il nulla”, rispettivamente pubblicate con le case editrici “Limina Mentis” ed “Europa Edizioni”. Tra il 2021 e il 2022 suoi vari testi vengono pubblicati su diverse testate giornalistiche online e tradotti in varie lingue tra cui inglese, francese, spagnolo, arabo e cinese.

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Una Risposta to “Pietro Edoardo Mallegni”

  1. Anonimo Says:

    Salve o a salve? Quel che ho letto è buono, mi piace – constatazione non giudizio, strettamente personale -. E poi scopro l’età, poco più di quarant’anni e s’atteggia, nei versi, a “vecchio”. Capita, ma non va. A sessanta, settanta o, ottanta come me, dove arriverà? Roberto

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