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Alessandra Carnaroli

21 settembre 2012

Croniche
Trafiletti quotidiani d’ossi e violenza

È una raccolta di poesie apparse separatamente in alcuni siti e riviste (Alfabeta2, Il Verri, Illustrati) oppure selezionate sparse per il premio miosotis della d’if edizioni e per l’antologia “La poesia luogo delle differenze”.

La poesia della Carnaroli ha un’identità assoluta di pensiero-parola scritta: nessun passaggio intermedio, qui l’artificio non esiste, non dico la rima e nemmeno l’armonia o la musicalità: c’è il nudo dolore umano che si dice senza piangersi addosso, così com’è, il quotidiano dei lavoratori poveri, indifesi e schiacciati anche dopo morti.

Ottantasei gocce di valium
Stazioni mobili
loculi invisibili dalla superstrada
dalla poltrona del Sindaco
le baracche sono panni stesi
Alici capricci
Cristi sui limiti
Morti veloci
Cantiere
Tende
mele

Ottantasei gocce di valium sono tante. Perché? E i loculi invisibili dalla superstrada e da tutto ciò che è super: gli stipendi di coloro che si arrogano il comando e fanno pagare e ripagare ai poveri la stessa casa, l’acqua, la luce, il telefono, tutto, hanno le tasche senza fondo per incassare e non gliene importa niente dell’ipotesi di un Dio giusto a lettera maiuscola, preferiscono una novantina di anni, meglio cento, sempre sul trono del proprio egoismo. E nemmeno dalla poltrona del Sindaco (a lettera maiuscola) si distinguono le baracche o le tombe dei poveri, che invece restano in eterno nel cuore della mamma di Andrea, uno dei “morti veloci”.

Andrea aveva 23 anni quando, il 20 giugno 2006, è rimasto con il cranio schiacciato da una macchina tampografica non a norma nella fabbrica Asoplast di Ortezzano, dove aveva trovato lavoro come precario per 900 euro al mese. Oggi Andrea avrebbe 28 anni e suonerebbe ancora la chitarra con i Nervous Breakdwn e non darebbe il suo nome a una borsa di studio. Sarebbe la gioia di sua mamma Graziella e non la ragione della sua battaglia da neo Cavaliere della Repubblica per cultura sulla sicurezza. Una battaglia finita con una sconfitta dolorosa nel nome del figlio e in nome dei tanti caduti sul lavoro senza giustizia: Umbria-Oli, Molfetta, Thyssenkrupp, Mineo… Sono alcune delle stazioni più raccontate di una via Crucis quotidiana che solo per poco chiama a raccolta l’indignazione italiana. Le morti si fanno sentire ma le sentenze molto meno quando passano sotto silenzio anche per una sorta di disagio nell’accettarle e nel comunicarle. I responsabili di questa orrenda morte sono stati condannati a otto mesi di condizionale con la sospensione della pena anche se il Procuratore Generale del Tribunale di Fermo aveva parlato «di un chiaro segnale perché questi reati vengano repressi con la massima severità». Andrea è stato ucciso per la seconda volta. La tragedia è finita nel dimenticatoio con alcune frasi fatte e disfatte: non deve più accadere, basta con queste stragi, lavoreremo per migliorare la sicurezza. Anche Andrea si è perso tra i morti da stabilimento e da cantiere: martiri del lavoro che fanno notizia il tempo di commuovere, che non promuovono ronde per la sicurezza, spesso rimossi pure nei processi. Tragedie quotidianamente dimenticate da un Paese ignavo e incurante. Questo è quanto accade a tutti i morti sul lavoro, di loro restano solo il dolore e l’angoscia dei familiari: “la vita viene stravolta dalla mancanza della persona cara, ti accorgi di essere lasciato solo, non hai sostegno psicologico, sono assenti tutte le istituzioni e nessuno è disposto ad ascoltare il tuo dolore perché il dolore fa paura. Speri nella giustizia ma questa si prende beffe di te perché otto mesi e sospensione della pena per chi ha ucciso tuo figlio sono una vergogna per un paese che si definisce civile. Vogliamo parlare dell’Inail, questo ente che ogni anno incassa milioni di euro? Ebbene la morte di Andrea è stata calcolata 1.600 euro: rimborso spese funerarie. Nemmeno l’assicurazione vuole pagare il risarcimento e a distanza di 4 anni e mezzo dovrò subire ancora violenze psicologiche tornando di nuovo in tribunale a ripercorrere la tragedia: descrivere come è morto Andrea, come lo hanno trovato i colleghi di lavoro, come ho vissuto dopo e come continuo a vivere oggi.

Inoltre l’Amministrazione Comunale di Porto Sant’Elpidio si rifiuta di dare una definitiva sepoltura al mio angelo. La vita di un operaio vale così poco? Fermiamo questa strage che serve solo a far arricchire gli imprenditori e a distruggere le famiglie. Ogni essere umano ha diritto alla propria vita e non si può perderla per 900 euro al mese.”

Graziella Marota, mamma di Andrea Gagliardoni

 

 

mio figlio è morto per novecento euro al mese
il venti giugno 2006
aveva 23 anni voleva suonare la tromba
adesso non so cosa suona dov’è se suona se c’è
un bicchiere di vetro per passarci il dito sopra
è morto con la testa schiacciata da una pressa
è morto lì nel mezzo chissà che rumore fa
la testa schiacciata il cervello nel mezzo i pensieri staccati
la presa dello stereo
staccata se no consuma
a una madre una cosa così non gliela dicono gli dicono
signora è morto adesso come si fa
si fa il funerale
trovi uno che lo lava gli toglie il sangue lo trucca lo veste
lo mette nella bara si fa così
la messa il coro il prete la prima lettura                                    la vuole fare lei?
io no grazie come faccio
non me la sento
non sento la tromba che voleva suonare
non sento le scarpe sul pavimento
il rumore del pigiama nel letto
mio figlio è morto con la testa nella pressa
non è tornato a casa non ha fatto la doccia non mi ha detto cosa c’è
c’è il pollo arrosto le sottilette
mamma sempre lo stesso.
non ha più fatto la doccia
l’ha pulito il beccamorti
gli ha levato il sangue l’unghia rotta i capelli stretti sulla fronte
non mi dice più embè se gli dico
                                  c’hai il cavallo dei pantaloni storto i calzetti diversi

andrea era un lavoratore precario prendeva 900 euro al mese
gli è rimasta la testa con le tabelline impresse la cavallina storna
il numero di casa la formazione del milan
è rimasto tutto schiacciato a pezzi nella macchina tampografica non a norma
gli hanno fatto il processo                                                                                             a quelli
gli hanno dato nove mesi di condizionale
con la sospensione della pena
e a me la pena chi me la sospende chi la blocca sullo stomaco chi la butta?
chi ce la fa mi fa un favore grosso mi dà dieci anni vita.
invece me ne hanno tolti ventitre
mi hanno tolto la pelle gli occhi il naso cosa vuoi che respiro a fare
se non gli sento più l’odore                                                                         quell’odore di figlio
che ti esce da sotto
dalle gambe quando corre
dalla ascelle se c’ha la febbre dai polsi come lamette
dalle tette
un figlio c’ha l’odore di dove ti abbraccia.
gli hanno dato nove mesi di condizionale con la sospensione della pena
a me il rimborso di 1600 euro per fargli il funerale
metterlo sotto terra farci venire il vino dal sangue
dovevo bere dire grazie Inail
che vi siete dati da fare per pagare il lutto
la volvo ci sta dentro la cassa i fiori
il vaso coi fiori la scritta d’oro
(il loculo è in prestito uno nuovo il sindaco dice aspetta)
mi è rimasta la scritta che è una freccia rotta
si gira sempre a destra
dove c’è l’inferno
il dolore tutto nella mia testa
perché già nessuno si ricorda
che mio figlio è morto per novecento euro sotto una macchina storta.
ma io l’ho segnato nel petto con uno spillo
si chiama pianto e lamento
e dente che cade sempre

 

Ed ecco il lamento della madre Graziella per la morte del figlio: Andrea, ventitré anni, che lavorava in officina a 900 euro al mese, col cranio schiacciato da una macchina non a norma e i responsabili condannati a otto mesi di condizionale con la sospensione della pena. La sua morte è stata calcolata 1600 euro, rimborso spese funerarie.
La poesia è un atto di struggimento verso il figlio morto e lascia senza parole per un groppo al cuore. Contemporaneamente è un atto di accusa allo stato inetto e a coloro che ci comandano e ci rispettano soltanto con parole false preparandosi al prossimo Andrea, stesse parole e stessi fatti. Intanto sono state programmate e trasmesse le olimpiadi, altro che 900 euro al mese non a norma.

la signora anna dice che la sorella gli urlava non morire non morire ti prego hai tre figli resisti, pensa a loro.
che doveva pensare quella che si è presa l’ascensore in testa che gli doveva rispondere?
se c’aveva la gola ancora attaccata al collo magari ci provava anche a dirgli
saluta tutti e dì che stasera non torno.
che almeno non stanno in pena, che almeno sanno
bacia i bambini che non crescono più
mi restano piccoli come se gli ho fatti male in lavatrice
per sempre coi risvolti ai pantaloni e la canottiera sotto
le gambine corte e i ginocchi come il cambio della punto
senza donne e senza figli
bacia mio marito e la cassaintegrazione
bacia le scale e le grate che quasi luccicano
ti ci puoi specchiare i riflessi mogano del parrucchiere
baciami i piedi che è l’ultimo pezzo dove si ferma il sangue e ci resta un po’ di fiato
come se è la pozza di me
il mio calcagno
e le scarpe del mercato sono il serpente
tienimi stretta fino al piano di sotto
questa vita è stata un purgatorio come un vecchio antibagno
coi muri umidi e le montagne di panni
dio forse mi raccoglie tutta
e mi riattacca
spero giusta
bacia i bambini
che sono il mio pezzo più bello
quello che resta coi diti per terra
e le mutande slabbrate
che un po’ ci passa il freddo e un po’ la bella stagione
e i sorrisi mezzi
e il toblerone
bacialo tutto
p

Il dolore umano continua il suo straziante canto grido agonia presa di coscienza e stavolta chi muore è una mamma. La poesia di Alessandra Carnaroli è talmente limpida e tradotta dal pensiero alla parola immediatamente che ogni considerazione pare quasi inopportuna: siamo a contatto crudele con la nostra realtà concreta. Se una mamma povera muore perché un ascensore le ha tranciato la testa, ecco quali al limite potrebbero essere i suoi pensieri finali, l’ultimissimo dei quali è il cioccolato, perché piaceva tanto ai bambini ed anche a lei, già: il toblerone.
Il tono è struggente come sempre e scava senza sconti né speranze a buon mercato nel travaglio in cui tutti siamo immersi, ma i poveri ben più duramente. E non sappiamo perché né possiamo capire e nemmeno tentiamo di capire, non accettiamo e non sappiamo se c’è un riparo, un conforto e con quale amore si potrebbe dare, certo non porgendo l’offerta per ripulirsi la coscienza infangata dall’egoismo, ecco: queste poesie non permettono facili lavacri dell’anima, non offrono comodi appigli, che Pirandello chiamava lanterne e anche lanternoni, si può soltanto partecipare nudità a nudità, con spietatezza, senza alcun minimo orpello letterario di alcun genere e non per salvare in qualche modo la nostra anima e avere una qualsiasi forma di pace o di speranza, ma soltanto perché l’esca poetica ha suscitato in noi fuoco di compassione.

Salvatore*

Ci dovevamo sposare fra un mese
fra un mese mi dava l’anello
io già una volta l’avevo messo lui anche
però questo è diverso non ti puoi vestire di bianco
ma un vestito buono lo metti lo stesso
Lui la giacca con la cravatta
Io rosa come i fiori del pesco
E nostra figlia ci portava gli anelli
dall’orefice ti danno anche il cuscino
li devi legare perché se ti cascano porta male
Invitavamo tutti anche i figli dell’altra
facevamo la festa al ristorante mettevamo la musica coi dischi
Mica lo potevi pagare un cantante
uno sceglie o la torta o il cantante
Adesso qui ci sono tutti i mariti le mogli i dottori col camice bianco
sembra che mi sfottono
Sembra che loro ce l’hanno e il mio resta d’avanzo
C’è la luce che casca come la pioggia
poteva cadere prima dal mastello di cristo
e spegnere tutto
Signore gesù chi me l’ha fatto?
magari è un tuo dispetto
che non volevi che stavo così tanto senza sposarmi
Mi dovevo sposare subito quando rimanevo incinta la seconda volta
cristo ha fatto scoppiare la guerra
gli ha bruciato la tuta e il collo
voleva il portafoglio la fototessera l’abbonamento dei trasporti
Adesso chi ci porta a casa
Ci porta mio figlio grande
Che tanto qui dentro non ci fanno vedere
Neanche un capello
Se gli è rimasto attaccato
Dicono che adesso è tutto bruciato
Ma stamattina ancora era nuovo
Pulito e sbarbato
Gli ho scaldato anche il caffè due volte
perché a lui il caffè freddo non gli piace
E quando fa tardi
Io glielo riscaldo perché per me questa è una cosa da moglie
Adesso però non me lo fanno neanche vedere
Lo tengono nell’incubatrice come se è appena nato
E invece è uscito dal fuoco
Gli è scoppiata una bombola in faccia
E addosso non c’aveva niente
C’aveva la tuta
C’aveva il casco
Ma cosa gli fa la tuta al fuoco
Gli fa un baffo
E adesso dobbiamo tornare a casa
Dobbiamo pregare
C’è la lavatrice accesa che consuma
C’è i panni da stirare
Queste cose non le fate più succedere
Non fate morire quelli che fra un po’ si devono sposare
Non fate morire un genitore
Le famiglie
I figli che vanno a lavorare
Cristo signore ci deve mandare l’angelo custode
A governare le fabbriche
Ci deve pensare lui
Alla vernice
Alle bombole
A questi che lasciano per sempre
Le camice spente
Nell’armadio

Salvatore C. aveva 55 anni
Ho letto che ieri è morto
Ha lottato da matti
C’è una pubblicità sulla sicurezza nei luoghi di lavoro
Che invita mogli mariti padri e cani a fare attenzione
Perché la moglie incinta il cane il figlio
Non restino solo un ricordo
Come se a bruciare vivo uno lo facesse apposta
Salvatore C. due mesi fa si doveva sposare
Non date a lui la colpa.

Stavolta è Salvatore a diventare l’emblema del dolore umano: gli è scoppiata una bombola in faccia e si doveva sposare fra un mese, malgrado i figli grandi, perché per i poveri riunire i soldi del matrimonio è difficile, si aspetta, si raccoglie, si continua a rimandare fino a quando ecco, ci sono perfino le fedi, il cantante no, bisogna accontentarsi dei dischi perché o la torta o il cantante. Tra un mese sono pronti, ma anche il giorno del funerale egli metterà l’abito buono. Nella mente della sposa il passato recente di quel caffè che lui vuole caldo e cos’è rimasto dell’uomo partito quel mattino lieto e sbarbato si fondono in logoranti presenti, Salvatore è il morto vivo ed il vivo morto dove gli opposti più strazianti coincidono e ci sono tanti Salvatori come lui vittime di un lavoro non sicuro a nessun livello. Nei pensieri convulsi della sposa subentra il dubbio che sia stato un “dispetto” di Cristo perché non si è sposata per così tanto tempo, è la mentalità dei poveri che si sentono sempre in colpa ed invece sono i più innocenti.
La poesia si conclude con due versi terribili: “Salvatore C. due mesi fa si doveva sposare / Non date a lui la colpa”.
In verità nel triste gioco di rifiuto delle responsabilità alla fine potrebbe avvenire anche questo.

Domenica Luise

Ed ecco gli altri testi di Alessandra Carnaroli:

In Italia nel 2008 l’11% delle mamme non ha avuto i soldi per riscaldare la sua abitazione, il 10% per le spese scolastiche il 6% per i generi alimentari.
(dati forniti dall’organizzazione Save the Children)

monossido di carbonio*

Questo dice mio marito così va bene
Fa caldo si sta caldi l’inverno fuori fa freddo io con due figli
Piccoli sto dentro esco solo se c’è mio marito tutti insieme
Dormiamo nel letto
I bambini sono piccolo mamma fa freddo dove sei vieni qui dormi stai zitto qui è caldo vicino a me spegni la luce dà fastidio dormi
Mamma tua sta qui le gambe ce le ho calde viene metti i piedi qui nelle mie cosce
Ma se c’è i lupi no i lupi non ci sono c’è tuo padre c’è tua madre noi ti salviamo dai lupi
Della notte dentro casa qui c’è anche il bagno nuovo hanno cambiato tutto le maniglie lucide
paghiamo poco se lavori in due la pancia adesso però pulisci poco è grossa fra un mese la faccio
All’ospedale
Viene a vedermi mia cugina porta lei il pigiama che ci vuole lava
Tu bambino mio adesso chiudi gli occhi fuori c’è la notte il lupo c’è la polizia dormi i ladri
Uno di qua uno nel mezzo non mi dare i calci nella pancia c’è vostra sorella piccola deve nascere buttagli i baci
Questa casa è calda siamo fortunati
C’è il tetto sopra il divano la televisione anche quello per aprire i barattoli del tonno
C’era già
I letti
Il tappeto no per pregare l’abbiamo portato dalla casa vecchia due
Ci sono due vetri nelle finestre tiene di più se c’è il vento gela i muri coi bambini non fa vengono la febbre la tosse
Addesso dormite vicino alla mamma io vi scaldo con il fiato lo metto a voi addosso come una coperta ancora più calda di lana vi do tutta l’aria mia come se mi viene da dentro come se c’ho i sacchi in fondo il termosifone dai piedi anche tutta quella che c’è ma voi chiudete gli occhi la bocca chiudete il naso col mio fiato che vi entra da me che quasi mi sembra che
Mi manca come se mi gira la pancia viene su il brodo col dado voi mi restate vicino la maglia dei Simpson della televisione gli elastici nei capelli tutti di plastica si rompono subito i calzettti nei piedi le mani un po’ con l’odore delle patatine
State sotto respirate l aria mia calda che vi fa caldo anche a voi adesso babbo si alza

Sabah, 24 anni incinta di otto mesi
Alì 4 anni
Abdalla 3 anni
Mohamed 35 anni

Bologna di giorno

Se nascevi di primavera come i cani era meglio gli animali lo sanno quando è meglio partorire è meglio col caldo noi no succede quando viene succede anche a dicembre
Ti bastava il body una maglia di cotone le gambe nude col sole sopra
Adesso invece ti devo mettere il body il maglione i pantaloncini due paia di calzetti
Perché i bambini appena nati c’hanno sempre le manine i piedini freddi anche se fa caldo
C’hanno le unghie staccate le pellicine le mani fredde è normale così non ti preoccupare il naso è caldo sei a posto ci mettiamo dove fa angolo il vento non prende guarda le lucine l’albero ci sono i bimbi grandi nessuno muore di freddo a bologna. Hai preso tutto il latte bravo fai il ruttino sulla spalla di babbo se non fai il ruttino ti si blocca la digestione vomiti mica basta il latte a casa nostra non si spreca niente
Adesso ti metto nella carrozzina dormi mi sa che ci vuole un’altra coperta dove la troviamo? magari chiedo a qualcuno una signora buona un prete ma mica lo diciamo in giro se no viene qualcuno e ti porta via e dopo mamma come fa mamma piange se non ci sei più chissà dove ti mandano da un’altra mamma che non partorisce per niente invece stai con me che ti ho fatto dalla pancia c’è tuo padre tua SORELLA TUO FRATELLO ci scaldiamo uguale adesso fai la cacca poi ti cambio in salaborsa lì fa caldo non senti il freddo nelle chiappe che cazzo urli
Mimmo non piangere che sei brutto fai piano la gente si gira dice cosa strilla quella no è un gatto c’ha un gatto in braccio no è un bambino piccolo è matta ci scoprono ti portano da quell’altra c’è l’uomo nero che ti sente cosa fai ti mangia la bocca una guancia non piangere diventi nero come l’uomo nero ti si rompe il cuore come le sorprese dell’ovetto perdi un pezzo cosa fai c’hai la caccona fastidiosa c’hai fame vuoi la tetta buona basta mimmo non fare così sei brutto tutto nero mi viene da piangere anche a me mi viene da svenire farmacia

Devid 23 giorni

Aspettiamo la casa popolare*

Giusy e Mario non vogliono tornare a casa quando suona la campanella sono stanchi della citroen vecchia i sedili scomodi i buchi delle sigarette ma è pulita c’è anche il posacenere dietro
Mio marito è ammalato di leucemia prima lavorava adesso no ha dovuto smettere per colpa della debolezza le medicine la leucemia è un cancro
Mio figlio mario è microcefalo si vede poco ma dentro c’è meno cervello per esempio beve solo il latte le altre cose il tonno per esempio non gli piace mica lo convinci è una malattia che ti fa così devi averci molta pazienza
Giusy piange gli viene l’ansia cammina vicino al muro quando è fuori dalla macchina gli sembra tutto grande un po’ cerca il cambio la maniglia sul palazzo
La frizione in un negozio
Se no è persa
Nel bagagliaio teniamo i vestiti dell’estate quelli dell’inverno ce li abbiamo tutti addosso perché di notte è freddo anche se viviamo in via dei mille a palermo
Aspettiamo una casa del comune adesso siamo secondi
La mattina ci laviamo tutti con le salviette della coop che costano meno e profumi subito
Li pettino per andare a scuola almeno ordinati
Mangi quello che c’è nelle scatolette mica puoi cucinare ci vuole una cucina
Invece a noi ci deve bastare l’apriscatole mica c’è il posto per la cappa in una macchina
C’è il posto per l’apriscatole
Io c’avrei anche bisogno della lavastoviglie prima però devi averci i piatti
I coltelli
Lo scolapasta
I tappetini sotto se gocciola
I libri ce li ha regalati una maestra con due penne la matita hb
I colori a spirito
Un camino
No
Scherzavo ma serve
Alla caritas ci puoi mangiare le cose calde come la pasta al ragù
il pollo arrosto caldo il caffè alla fine
Oppure mangiamo scatolette di tonno fagioli simmenthal che non devi cucinare
perché non c’è la cucina non c’è il lavandino un bidone il congelatore
Basta che apri il finestrino
Quando ho la possibilità ci laviamo le mani
La doccia se mia madre dice venite ci andiamo
Per fare i bisogni montiamo una tenda non si vede niente un po’ il rumore forse
non è che intanto leggi una rivista fai alla svelta
La doccia se c’è un parente un amico che ci dice venite noi andiamo
Mio marito lavorava al turing club poi si è ammalato
faceva le consegna adesso fa quello che trova
Siamo disperati
                                                                                                              (15 gennaio 2011)

Riduzione della pensione
02/01/2012: Bari, 74 anni, pensionato si getta dal balcone Inps chiedeva rimborso i denti costano troppo 09/01/2012: Bari 64 e 69 anni, pensionati si suicidano in coppia in due è meglio fa meno paura il salto12/01/2012: Arzachena, 39 anni commerciante tenta di asfissiarsi, viene salvato 22/02/2012: Trento, 44 anni per i troppi debiti si getta sotto ad un treno. è salvo 25/02/2012: San Remo, 47 anni, elettricista si spara molto forte penso 26/02/2012: Firenze, 65 anni, imprenditore si impicca 02/03/2012: Ragusa, commerciante tenta di darsi fuoco 02/03/2012: Pordenone, 46 anni, magazziniere si suicida 9/03/2012: Genova, 45 anni disoccupato, sale su un traliccio della corrente, prende fuoco? forse 9/03/2012: Taranto, 60 anni, commerciante trovato impiccato, il legno di cristo la trave nell’occhio. Basta un soffio. Era un boccolotto la penna il fusillo 10/03/2012: Torino, 59 anni, muratore si dà fuoco 14/03/2012: Trieste, 40 anni, appena disoccupato si dà fuoco (e due) 15/03/2012: Lucca, 37 anni, infermiera ingerisce acido, che male fa l’acido deve bruciare esofago stomaco intestino culo vescica urina caldissima 21/03/2012: Lecce, 29 anni, artigiano si impicca come sopra. 21/03/2012: Cosenza, 47 anni, disoccupato si spara, pum! 23/03/2012: Pescara, 44 anni, imprenditore si impicca, uguale morte lenta credo piedi penduli un po’ scalciano mmmmmmmm 27/03/2012: Trani: 49 anni, imbianchino disoccupato si getta dalla finestra 28/03/2012: Bologna: 58 anni, si dà fuoco davanti all’Agenzia delle entrate: sporca, santa madonna e giù a pulire noi povere donne pure precarie gomiti e calcagni gù a raschiare il sangue uno due tre quatto cinque euro all’ora quanto? Uno dei tanti 29/03/2012: Verona, 27 anni, operaio si dà fuoco gravi ustionati grandi ustionati a cesena viaaaaa 01/04/2012: Sondrio: 57 anni, perde lavoro, cammina sui binari, salvato in tempo, molto fortunato a casa l’aspetta il mutuo distratto 02/04/2012: Roma: 57 anni, corniciaio, si impicca, al legno di cristo, la trave nell’occhio il ginocchio il ginocchio la moglie lo vede bestemmia dio porco, scendi scendi, mettiamo tutto a posto 03/04/2012: Catania, 58 anni, imprenditore si spara 03/04/2012: Gela,78 anni pensionata si getta dalla finestra, riduzione della pensione, riduzione della persona la spesa gli occhiali la messa l’offerta l’offerta a dio nostro padre, sorella domenica prossima sta volta sta accorta 03/04/2012: Roma, 59 anni, imprenditore, si spara con un fucile. 04/04/2012 Milano, 51 anni, disoccupato si impicca 04/04/2012 Roma Imprenditore si spara al petto col fucile La sua azienda stava fallendo. Che buco. Che botto trapasso dalla parte opposta renzo bossi si dimette, il bossolo, il bozzolo. Farfalle piegate. Taschini. Riduzione della pensione pietà di noi renzo dei nostri risparmi il letto il materasso la pulce nel letto l’orecchio ti hanno detto che si muore d’avanzo di poco lavoro e io m’ammazzo di poca pensione il rimborso la bora la spesa il sultano il sultano il sultano all’ikeati comprammo poco prezzo smerciamo smerdiamo finiamo per buttarci noi restiamo sotto con le mani in alto ti prendiamo ti perdiamo muore si muore di lavoro assente di lavoro precario siamo prec’arie contratti di fatto leggi d’incastro
di sotto

Scivola bambina scivola non scivolare in mare fa freddo la sera tuo padre ti salva
Un organo in meno un suono un grido
Ti tengo per mano la gamba un ginocchio ti tengo anche quello la mano
L’acqua sopra sotto in bocca la caramella fugge l’acqua
Scivola non scivolare dal ponte avanti indietro tornate indietro salva
La mamma aspetta che torni la bambola il viso la plastica
Ma porco iddio e santa madonna
La crociera svolta la cabina armadio la tomba la bomba
Tre braccia
Da riva
La faccia la faccia gonfia le braccia
Tra le mie braccia dormirai i gomiti in bocca

Rim ti attaco la stufa fa caldo amore non dico bugie
La neve
Rim ti mette su stufa la mamma riscalda
Sorella scende la scala bum bum
Rim fa freddo gelato senza più tetto la mamma ti butta su
Il cielo babbo fa gli urli
Urlo che brucia
Un po’ troppo caldo
Nel crollo morì
Rim l’elicottero vola su stanza il letto la luce l’orso bu bu
schiacciati moriamo restiamo la neve
Fa freddo chi non lo sa che
D’inverno è gelato di sopra di sotto se cade la neve più nulla
Più niente il sindaco dice integrati vabbè
La pelle con gamba del tavolo i capelli al comò
però

Dice chegridiamo al lupo, al lupo, senza un lupo, tranne nella miamente bacata e malata un errore della natura certe donne maltrattate e violente diceState attentequando arriverrà il lupo, perchè prima o poi, arriverà, non ci crederà più nessuno, le miepeggiori nemiche, le donne “quelle sane” non diaboliche come noi che scriviamo Il malore lodore il fiume la ganascia frasca in fascia spreme lo sai che una donna muore muore ae allora bene! Se avanza striscia di pancia arranca non è vero che un uomo uccide uccidono uguali le donne gli uomini scrivono uguali.
Al lupo all’uomo nero nerone incendia la scarpa il forno ila gallo scrivo di donna morta donna spianata ginnasta del letto del piano in acciaio brilla lamiera dentale la lastra mi ha rotto la faccia un occhio scrivo per l’occhio che hai perso l’udito il timpano aperto il pensiero misero di farla nel letto scrivo da donna di donna che niente è vero niente il lamento è fumo è cane è cagna il letame la merda la cerca come mosca
Scrivo poesia che dice donna dannata mischiata alla spugna alla spranga al sugo tirato fuori dal sacco da un freezer disastro. Servono donne per scrivere pancia tirare il lupo dalla pancia la bestia che sterza sull’anca la bestia che scappa al piano di sotto, la stanza
Fuori dalla stanza la stanza è rivolta la poesia è nostra. È lotta. Nella cucina divelta.

gabriella

Una per dolore per odore per amore
Una per il figlio epicentro e scroto
Una per la terra la cassetta della posta l’enel gas
Rialzati svelto
Dal sangue la borsa la vagina aperta
Busta riversa
Pisellini findus
Spugna soffice lattice
Latte trevalli ovunque tedio
Rumore spilla la tua guancia come un buco sul labbro inghiotte
Gigante la mia fame di te
Pensaci tu
Cresce si spegne sulla bocca dello stomaco un gregge
Anemia bianca e sangue ovunque litri di punti galbani
Formaggio e sconquasso aperto aperto il portone l’aorta il petto il pollo giulio
Ti aspetta nel letto che era nostro
Per questo
Ti ammazzo mia moglie mia mozzarella
santa lucia occhio ancora
il lamento del corpo attaccato
allo scontrino arrivederci tra il pollice e l’indice sporco
un DNA complesso
il nostro e grazie
d’aglio e olio e odio convesso
una lente per ingrandirti il culo e dipanare il resto
l’intestino amplesso
grasso
sul parquet deserto marcio
un carabiniere mezzo
depresso
“nessuno poteva immaginare
immaginarti morta gabriella
adesso.”
Il mio salumiere non piange al prosciutto dicembre
Dice quante fette
se ti sposi tre volte
la fine è quella

Mamma mamma il dente
Incisivo inciso
Sul tappetino il legno
Il viadotto ti butto
Ti spacco chiudo a chiave bene l’auto ti abbraccio spingo
Questo corpo il mio il nostro
La colpa
Di averti lasciato
Mamma mamma il dente il fegato il sangue
Questo mio corpo il nostro che resta nel mezzo del pianto la cinta
L’airbag
Il respiro
Infranto
La curva
La terra molle
Rimbalza
I capelli biondi fidanza
Il sangue scomposto il bacino esposto uno solo trino
E crine di cavalla
criminale criminale
Benvenuto trauma
Dente fegato stazionario
Pugno occhio capello ciuffo
Fegato rivoluzionario spinge dal viadotto
Uomo coraggio spinge
Il dramma d’amore è violenza è bestia riccia
Bestia selvaggia un dente inciso a terra
Molleggia a testa una testa a testa due forse mezza lamenta
La sua testa bionda
Bella bella figa attraversa la superstrada
Morta alle cinque risveglia
Risveglia deserta amore deserto inserto non c’è folla o follia che tenga il dente attaccato al labbro alla gengiva
Un pugno ci penso
Ti spingo e mi butto
Per secondo

Sentivamo i rumori le urla come di gatto
No
Gatta
Che si scuoiava da un coltello
In amore
Lamentoso di pene gatto coltello
Mia madre si è affacciata fuori
C’era invece il fidanzato
Di quella che fa la piadina
Che menava alla sua fidanzata ma
La sua fidanzata era in cinta
Di mesi
Allora noi urlavamo basta
Lui niente
Lui menava coi calci
Gli sputi noi basta mio cugino
È uscito fuori basta
Ma ha avuto paura di lui della furia
Umana
Che saltava sopra a quella ragazza
Incinta di qualche mese
È incinta gli ha detto mio cugino
È tornato dentro
per paura di quella furia umana che la spingeva dentro
Dietro
Addosso
Come uno spintone potente un calcio
Una mano nel collo un tipo di serpente
Che fa la spirale la ruota il salto a forma di
Karate e lei un po’ sommessa
Iiii iiii che dolore come una porta
aperta

Abbiamo
Chiamato i carabinieri
Sono
Arrivati dopo
Trenta minuti
Speriamo
Che il bambino
O i bambini
Nella pancia
è/sono
ancora vivo/i
per riportare la calma

La passione del cavalcavia
Nostra passione buttare donne vestite o nude
O a vestiti spezzati
Rotti
Sbriciolarsi
Vedere
Dall’alto questi corpi presi a botte
Mazziati
Leccati
Una volta
Leccati
Dal collo alla fica
Il culo ora pesa
Pesante pesantissimo
La spalla di me
La spalla che rabbia
Non riesco
Aspetta
T’appoggio
Roba mia
Cosa
Ti appoggio
Ora butto
La cinta
La gonna
Troia l’hai messa una volta
Ancora
Resto coi tuoi capelli osso
Sul petto un dito
Un’unghia nella patente
La stella alpina secca, il pelo armato/amato
Ho parcheggiato stretto
Ti ho palpeggiato palpeggio
Palleggio
Come palmo d’anatra fegato
toccato la tetta sfregato l’anca
Sul guardrail robusto
Passaporto
valichi e svalli
E caschi
Dal cavalcavia nuova passione
Fai un rumore vuoto
Poi gonfio
poi rosso
col culo in alto
una battaglia persa
la bandierina sventola
pancia mia brontola

Facevo l’amore con te
Tu facevi l’amore con me
Hai detto il nome di un altro il tuo ex
Ti ho strangolato con cavo del dvd
Vanessa paradis

Ho messo la candeggina in una straccio
Te l’ho messo forte nella faccia
Tracce di candeggina nell’esofago nella trachea
Vanessa strangolata
Vanessa incontrada

Ti ho preso di peso
Portato in alto
Sul lancio dal cavalcavia no un sasso
No un gavettone d’acqua
Il corpo di una ragazza
Quasi la mia ex ragazza
Quasi acqua
mia stavolta mia stravolta
vanessa scialfa
ti confondono con sciarpa
o scialpi
cantante lucano
sotto effetto di droga
drogato effettato
sei strano
ci prendi la mano
ne scrivono
lipperini comencini zanardo saviano

la ragazza morta in ambulanza
bianca
benca
il figlio sul sedile un po’ storto
lei sbilenca
gli urla corta

francia guancia frrrrrr
arramba arramba
niente
fischio filo coscia
renda
fatta faccenda

Alessandra Carnaroli (1979)
ha lasciato preso rotto scartato perso rimesso tempo mani faccia
la busta della spesa un macello di volte i denti
ora vive con i figli le piastrelle un compagno un sifone ottobre novembre
e scrive
molte donne
sostiene che
la sopportazione non è più una virtù e la ribellione è un dovere quindi*
scrive
pane e moneta e pugno
della stessa moneta della stessa padella faremo
la guerra ribella
bellissima chi pensa
non è malattia ma voce

Pubblicazioni:
“taglio intimo” fara editore, 2001
“scartata” finalista al premio delfini 2005
“femminimondo” polimata editore 2011
e racconti e poesie su diverse riviste e antologie.

*da “al centro le donne” di v. bruno e a. maghi, associazione erinna donne contro la violenza-viterbo