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Antonino Caponnetto

9 settembre 2017

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Sette poesie dal libro: “Il sogno necessario (Niente guardiani, prego, alla Parola)”, poesie con testo inglese a fronte, traduzione di Alessandra Bava, Pellicano, Roma 2017.

DAI GARBUGLI DEL SOGNO, LA PAROLA
attende il suo momento per levarsi,
alta lingua di fuoco e Nord del cuore.

Ma che avverrà di noi se, in deferenza
agli orologi nostri troppo usati,
non sarà fatta mai menzione alcuna
di tutto il bene sperperato e perso
da me e da te lungo le strade e il tempo?

Hanno bruciato i libri e insieme a questi
tutte le nostre lacrime future.

COME ALLA TESTA D’UN CORTEO CAMMINI
oggi per queste strade
che in altro tempo furono paludi

e palafitte
furono le case.

Coloro che ti seguono a dozzine
sono parvenze:
quelle dei tuoi cari

ormai trascorsi
eppure a te vicini.

Ombre evocate
da una fantasia stanca di solitudine,
dolore, malattia. Da un figlio ormai lontano.

Dalla paura d’essere
preda della follia.

NON STATE LÌ A COMPIANGERE COLUI CHE È STATO UN UOMO
giovane e forte un tempo anche se ora
è stanco, tanto stanco d’inspirare
ed espirare a forza le infinite
molecole di un nulla sparso ovunque.

Forse è un poco malata la sua mente
o forse invece è il corpo a vacillare.
Ma indagare su questo a cosa serve?

Ora i fiumi dell’anima
sono torrenti in secca.
Sono piccoli stagni le sorgenti
a cui si dissetavano
i nostri padri antichi.

E il mortale s’appresta al lungo viaggio
verso un Ade selvaggio e sconosciuto,
mentre il virus che insidia chi rimane,
non ne lederà l’anima,
che al Mistero appartiene.

LA VOCE RISONANTE
dell’orologio avvisa:
è questo il filo della mezzanotte
sono vuote le piazze

vegliano al sussurrio delle fontane
le statue secolari

ragazza sola, come un’ombra lenta
tu scivoli
sui neri marciapiedi

nel tuo grembo, rifugio dei perduti,
cresce il figlio d’un dio che non ha nome

più tardi un misterioso messaggero
ti darà la notizia, le istruzioni
poi sparirà nel cielo mattutino

di luci fioche
l’alba già ti veste

come piccole gemme
luna e stelle
scintillano fra i tuoi
capelli bruni

IO NON HO CHE UNA VOCE
e a volte sono stanco
di gridare nel vento

Tu non hai che una voce
e disperi talvolta
che qualcuno la senta

Ma il grido della Terra
è nelle nostre voci
Le radici del cuore
d’ogni umano che vive

fin dai primordi inducono
fiotti di sangue eterni
negli esseri mortali
E sconfinate aurore

CREPA CAVALLO MENTRE L’ERBA CRESCE,
così scriveva Brecht nei suoi diari.
E il tempo che è passato
non è servito di lezione a chi
nell’Unico Pensiero ora trascina
la sua scissa esistenza. Lo sappiamo:
il potere è potere a destra e a manca
e le sue facce – maschere del nulla.
Lo sappiamo, ma confidiamo ancora
che l’intelletto umano possa farci
liberi nello spirito e nel cuore.
Li conosciamo i nomi di coloro
che armeggiano affinché giorno per giorno
l’amore di noi stessi per sempre ci abbandoni
e i nostri corpi al niente riconduca.
Li conosciamo i nomi. E i nostri figli
li grideranno al vento
perché ne faccia polvere
e memoria del male.

DIRE UNIVERSO FOLGORE PAROLA,
dire città pietà guerra potere
e in ogni lingua maledire il male

dire giustizia nascita dolore
conoscersi l’un l’altro, lavorare,
oltre la morte sempre pronti e vivi,

rigenerare il nuovo il bello il buono,
lottare, sì, perché possa l’umano
donarsi per intero al suo domani

fin quando il sole non muti se stesso
in una stella gigantesca e rossa.

                                 
                               

Stefano Iori su “Il sogno necessario”.

Come l’Autore stesso afferma a proposito di questo nuovo libro: “Il sogno necessario” (Pellicano, 2017) non è che l’evoluzione naturale e l’approfondimento di una poesia e di una poetica che guardano alla vita e all’essere umano con una speranza molto concreta e terrestre, una speranza attraverso la quale è necessario e possibile per ciascuno di noi, per ogni forma di vita su questo dilaniato pianeta, lavorare per darsi un futuro che abbia forma e sostanza umane, avere e coltivare, per sé come per l’altro, sentimenti e valori, aspirazioni e sogni ancora umani. E questo valga e sia difeso sempre, nonostante – e contro – gli orribili mali che l’uomo continuamente fa a se stesso e ai suoi simili oggi, mettendo quotidianamente e sempre più in pericolo l’esistenza stessa dell’intera terra.

Al contrario della moderna idea di progresso che sogna un futuro illuminato dalla scienza, oggi, a mio parere, siamo costretti a collocare invece la parte migliore del tempo ai suoi primordi (al passato) poiché è fin troppo facile concepire la storia più recente dell’umanità come un’inevitabile caduta verso la disgregazione e l’oscurità. Ed ecco il dilaniato pianeta e gli orribili mali…

Tante le ere, le epoche vissute dall’uomo: tralascio le più lontane e rammento solo le più recenti: Età medievale (476 d.C. – 1492 d.C.); Età moderna (1492 d.C. – 1789 d.C.); Età contemporanea (1789 d.C. – Tempo presente).
Ma poiché il pensiero occidentale e soprattutto la sociologia, tendono ad essere definitori, possiamo registrare altre ere successive: era moderna, postmoderna e – infine – era della comunicazione.

Paradossalmente, nell’evo della comunicazione, in cui tutti noi viviamo, la comunicazione stessa tende a formularsi in modo sempre più sintetico. Modalità comunicative come sms, FB, twitter obbligano a scrivere e leggere poco. Invece che comunicare messaggiamo, finendo per utilizzare addirittura un numero decrescente di vocaboli. Le parole comunemente utilizzate sarebbero meno di 5.000 contro le 30.000 stimate come bagaglio di un uomo colto.
Siamo dunque in un ambito di vaste possibilità comunicative, grazie ai media informatici e ai social network, ma per parlarci e scrivere usiamo sempre meno vocaboli e soprattutto comunichiamo in modo spesso banale, in modo fin troppo semplice, lasciando poco o nessuno spazio all’invenzione e alla poesia.

Ma cos’è la poesia? Rispetto alla comunicazione pura e semplice essa è una forma di scrittura radicalmente secondaria, eppure proprio per questo, assolutamente necessaria.
Una lingua non permette confronti – due lingue (se si aggiunge la poesia) sì. Dal due viene quel confronto cui accennavo, dal due nascono le cose, le idee, i pensieri: dal dialogo, vale a dire dall’ampliamento e dal confronto.

Con il suo “Il sogno necessario” Antonino Caponnetto ci propone la possibilità di spaziare, di allargare le vedute, di aprirci alla fecondità del dubbio, di pensare e riflettere oltre i confini comuni e banali del pensiero “medio” o “mediocre”.
Egli fa questo con la poesia. Perché, come dice Milo De Angelis, solo la poesia si scrive per dire l’indicibile.

Dalle regioni abitabili e tradizionali, la poesia si solleva davanti agli occhi sbigottiti di noi mortali nelle sfere di una decisiva ulteriorità rispetto al mondo sensibile.

Noi abitiamo la Terra usando, sì, le parole per comunicare (nel commercio, nella politica, nell’industria), ma il nostro abitare si fa veritiero, cioè autentico solo se riconosciamo nelle parole ciò che costituisce noi stessi e il mondo. Di più: noi abitiamo poeticamente soltanto se il nostro abitare include entrambi i regni: quello della bellezza e quello della vertigine, di cui la bellezza è portatrice. La poesia sta tra l’addio a un luogo noto e il benvenuto all’ulteriorità, un’ulteriorità che vieta ogni ritorno. In questo senso, Rilke può affermare nell’ottava Elegia duinese: Così noi viviamo e sempre prendiamo congedo, invitandoci in tal modo a esporci a un nuovo inizio, alla bellezza. La bellezza vertiginosa della poesia.

Se quanto detto è vero per la poesia in generale, tale discorso vale sempre e soprattutto per la poesia di Antonino Caponnetto, poiché il nostro Autore è un poeta vero, i cui versi attraversano il tempo, oscillando dalla singolare profondità dell’essere alla sua universalità. E ne è concreta, vitale testimonianza – non meno dei suoi libri precedenti – questo Sogno necessario. Necessario, appunto, come ho inteso dire qui, tanto alla poesia quanto alla vita nella sua interezza.

Stefano Iori

 

Antonino Caponnetto è nato nel 1950 a Catania (Italia), dove ha vissuto, salvo una breve pausa romana, fino al 1980. Dal 1981 vive a Mantova.

 

Raccolte poetiche:
Per l’Editore Campanotto, ha pubblicato due raccolte di poesie: Forme del mutamento (Udine, 1998) e La colpa del re (Udine, 2002). Per le Edizioni Kolibris, la silloge Miti per l’uomo solo (Bologna, 2009). Per l’Associazione Culturale Pellicano, Agonie della luce – Poesie 2012-2015 (Roma, 2015) e Il sogno necessario (Niente guardiani, prego, alla Parola), poesie con testo inglese a fronte, traduzione di Alessandra Bava (Roma 2017).

Traduzioni:
Fernando Rendón, Qual era la domanda? (Poesie 1986-2016), Pellicano, Roma, 2016.

Con Pellicano collabora già da qualche tempo come curatore della collana poetica internazionale “Poetry by the Planet”.

È stato ospite di vari festival poetici, come il Sirmio International Poetry Festival, il Festival internazionale di Poesia Virgilio, il Festival internazionale Ottobre in Poesia.
Sue poesie sono state radiotrasmesse, altre sono apparse su riviste e antologie (le ultime: SignorNò, I dialetti nelle valli del Mondo, 2016), LiberAzione poEtica (2017), tutte con l’associazione Pellicano, Roma, e No Resignación (Poetas del mundo por la no violencia contra la mujer). “Antología de Salamanca, Ayuntamiento de Salamanca” (ES), 2016. Suoi testi poetici o interviste si possono leggere anche online attraverso vari link.
Diversi sono i suoi contributi critici, spesso in forma di pre o postfazioni alle opere di giovani, meno giovani o ben noti poeti.
Presso le Edizioni del Trito&Ritrito, sono apparse (in un numero limitato di copie destinate agli amici), quattro plaquettes: A che serve? (2001), Le chiare strade (2002), Contromovenze (2003) e Petits cahiers pour la douleur du pauvre (2005).

Antonino Caponnetto

24 settembre 2015

Chanson facile I

Nel linguaggio di questo
immobile paese
sempre due giorni son davvero uguali,

ma nuovi come un tempo, inaspettati
sono i tormenti piccoli,
come parenti poveri e lontani,

e nuove son le rose,
i gigli e il rosso
intenso color sangue,
e nuovi i crisantemi ed i pensieri,

e tu,che puoi guardarmi ed ascoltare.
Perché davvero è facile,
per oggi almeno, avere un buon caffè
e pochi altri alimenti di fortuna,

e una nave che, al largo, sta in attesa.

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Antonino Caponnetto

2 febbraio 2013

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Nella poesia di Antonino Caponnetto c’è sostanza interiore che ben si sposa alla necessaria tecnica, così lieve da non notare mai alcuna impalcatura o puntello.
Prendiamo Chanson facile I, i giorni dell’immobile paese, sempre uguali e sempre diversi, sanno di fiori, caffè e pochi altri alimenti di fortuna mentre una nave aspetta al largo, e può essere concreta, che parte oppure (e magari contemporaneamente) il sogno, l’illusione e la speranza. La parola è denudata e quindi tocca espressività incidendo. Ma la storia dei giorni e delle poche cose necessarie continua nella Chanson facile II: Il poeta non può salpare sulla nave che attende, il suo posto è nella Patria, a lettera maiuscola. Qui bisogna “scegliersi il vivere e il morire” perché il poeta è colui che tiene vivo il fuoco scacciando di notte gli spettri e le belve (L’uomo del fuoco) per difendere gli inermi.
An american Dream? pone una domanda inquietante al “cugino” Ahmed: “È vero che tieni tua figlia fra gli oranghi?” solo perché, bella com’è, non si è piegata alle leggi assurde? Egli era venuto a “giustiziarla”, ma si è innamorato, eppure “quel che va fatto, sì, lo dovrò fare…”.
E la morte che avviene nelle strade, quella dei cronisti, è ben diversa dalla finzione cinematografica del grande schermo, ed è falsa la morte, ma anche falsa la vita nella quale ci aggiriamo inventando “speranze assurde com’è stato fatto da quanti prima son vissuti e morti”.
Nel Canto finale è compendiato il malessere del poeta di fronte alla realtà, che ha un accenno apocalittico: “stelle piovono giù, piovono stelle”.
E voglio concludere con la domanda che l’autore si pone: “Se il cuore non è pieno, a che ti serve essere poeta? Sogno notturno e incubo sono una cosa sola”.
Soltanto la poesia dalla pienezza del cuore potrebbe lenire questo deserto esteriore, ma quanto più dell’anima.

Domenica Luise

                 

Chanson facile I

Nel linguaggio di questo
immobile paese
sempre due giorni son davvero uguali,

ma nuovi come un tempo, inaspettati
sono i tormenti piccoli,
come parenti poveri e lontani,

e nuove son le rose,
i gigli e il rosso
intenso color sangue,
e nuovi i crisantemi ed i pensieri,

e tu,che puoi guardarmi ed ascoltare.
Perché davvero è facile,
per oggi almeno, avere un buon caffè
e pochi altri alimenti di fortuna,

e una nave che, al largo, sta in attesa.

27 giugno 2012

Chanson facile II

Il posto è qui,
comunque stia la cosa,
oh noi non lasceremo
queste terre

che sono Patria che sono Paese.

Non salperemo noi
con la gran nave,
e vedremo se un modo
per lottare

sarà concesso a noi su questo suolo.

Perché,
sia detto e ripetuto ancora,
a ciascuno va data
la sua aurora,

il suo statuto umano, la sua ira.

Per quanto il cuore
bruci come pira,
nessuno può impedirsi
di soffrire,

ma può scegliersi il vivere e il morire.

27 giugno 2012

Fragmentum VI— L’uomo del fuoco

Sono l’uomo che tiene
vivo il fuoco
tutt’intorno agli anfratti
e le caverne
dove la mia tribù trova riparo
E sono l’uomo che dovrà
scacciare
col fuoco a notte gli spettri
e le belve

Il grande fuoco
sacro a molti dèi
dovrò tener più vivo
questa notte
E non potrò dormire né fuggire
o le belve e le anime dei morti
ogni sogno a chi dorme
prenderanno

E il senno
a quanti, incauti,
scapperanno.

FragmentumVII — An American Dream?

I
Cugino Ahmed,
tua figlia
ha morbida la pelle

mille promesse schiude il suo sorriso

Ma quei pettegolezzi come un vento
malevolo ne avvolgono il vitino
mostrando ciò che va contro ogni legge.

È vero, Ahmed,
che tieni
tua figlia fra gli oranghi?

Dici di sì? Fraternamente allora
il mio nome segreto
ti svelerò: io sono
Abd al-Sadr e mi chiamano
il braccio del Profeta

Ero quaggiù per giustiziarla,
poi
ho incrociato i suoi passi e più e più volte
il suo sguardo m’ha messo alla catena,

È vero, Ahmed, lo giuro!
Però, vedi,
quel che va fatto, sì, lo dovrò fare…

II
… Nizza è la mia città, da quando uccido.
E squilla il mio telefono
assai di rado ormai.
Ma tu insisti, tu chiami, tu mi chiedi
di cercare per te,
qui, nei deserti della città vecchia.

È inutile: non c’è nave alla fonda
né via di fuga in mare in cielo in terra
né gentilesche tane. No, non c’è
nessuna Oasi, qui. Che posso dirti?

Questo posto è mutevole, d’accordo,
cugino, e senza limiti precisi.
però è soltanto uno fra i moltissimi
deserti dell’Europa. Ed in qualunque
maniera lo si voglia riguardare,

no, non è proprio Atlanta o Chattanooga.

Fragmentum VIII — La poltrona

Perquisitemi pure, non ho addosso
pistole né coltelli né pasticche
di cianuro per poveri suicidi

Armato? No: con me porto soltanto
un taccuino un po’ stinto ed una stilo
però non prendo appunti né mai scrivo

Tuttavia c’è chi dice che un poeta
in me viva e i suoi gesti siano miei
Allora se volete proprio farlo
nel mio cuore scrutate e nel pensiero

Quanto vi serve è un catodo e una placca
applicateli pure alle mie tempie
alla fronte, alla nuca e sul torace
e non scordate le caviglie e i polsi

Legatemi ben stretto alla poltrona
non si sa mai, potrei voler fuggire
in questo modo invece starò buono
aspetterò la scarica, e vedremo

16 agosto 2012

Fragmentum IX

Il sangue è sparso sulla terra molle
e scorre lungo l’umido selciato
e lungo i canalicoli le strade
i lunghi viali di Parigi o Londra

Ma il ventre nostro il cuore
son fatti per resistere ben bene
più di quanto non serva ad animali
del nostro rango e della nostra specie

Ed i cuccioli nostri vanno soli
fino al centro geometrico ma buio
di questo buio folle spaziotempo
che ci è dato abitare o lasciar vuoto

Quelli che proprio là stanno in attesa
domani forse dallo stesso punto
riprenderanno a vivere inventare
speranze assurde com’è stato fatto
da quanti prima son vissuti e morti.

E la rossa retorica del sangue
la mente invade con i suoi giornali
con le voci agitate dei cronisti

Misero è l’uomo che sul grande schermo
agita il cuore come una bandiera
e povera è la donna e la sua prole

Ma falsa è morte che ci vien mostrata
come falsa è la vita ingrata infetta
d’un gran male invisibile taciuto
che non è lo scorbuto non è il tifo

È collina che scivola veloce
sulle proprie miserrime pendici
terra che frana sotto i temporali
acqua fangosa che con sé trascina
ogni cosa che giace o che cammina.

29 Settembre 2012

Fragmentum X — Canto

La faccia infreddolita, i piedi ghiacci —
Quando di notte soffia, è impressionante
il vento, se conduce notizie come tuoni
o il gran vocio discorde delle donne.

Se il cuore non è pieno,
a che ti serve essere poeta?
Sogno notturno e incubo sono una cosa sola.

Quando una mano preme
sul pulsante dell’anima o su antiche
diatribe, al momento preciso del risveglio
e forte alle narici già s’addensa
l’aroma metafisico d’un gran caffè alla turca,
stelle piovono giù, piovono stelle.

Arbusti ondeggiano al soffiar del vento,
palme ingemmate oscillano, e non hanno
bacio crivello e fiore, come chi
sopra il deserto veglia
mentre si leva il giorno.

30 ottobre 2012

Antonino Caponnetto è nato a Catania, dove ha vissuto, salvo una breve pausa romana, fino al 1980. Dal 1981 vive a Mantova. Per l’Editore Campanotto ha pubblicato i due libri di poesie “Forme del mutamento” (1998) e “La colpa del re” (2002). Per le Edizioni Kolibris ha pubblicato la raccolta di versi “Miti per l’uomo solo” (2009). Suoi testi poetici sono stati radiotrasmessi e altri sono apparsi su rivista. Presso le Edizioni del Trito&Ritrito sono inoltre apparse (in limitato numero di copie destinate agli amici), quattro plaquettes: “A che serve?” (2001), “Le chiare strade” (2002), “Contromovenze” (2003) e “Petits cahiers pour la douleur du pauvre” (2005). Per la rivista “Zeta News”, dal 2002 al 2006, ha curato insieme a G. Sammito l’inserto “Atti Barbari”. Sia con altri che in proprio ha inoltre promosso e curato iniziative sulla poesia e, in particolare, sulla scrittura poetica.
È presente in rete dal marzo 2012 col blog Caponnetto-Poesiaperta: (http://caponnetto-poesiaperta.blogspot.it/).
Un suo intervento sulla poesia è reperibile su Rainstars: (http://www.rainstars.net/canale/letteratura_poesia/elegiastella/2012/agosto2012.html in un’intervista fattagli da Michela Zanarella può leggersi sia su clicknews: (http://clicknews.altervista.org/antonino-caponnetto-la-poesia-come-linguaggio-dellanima/)
sia su Roma Capitale Magazine:  (http://www.romacapitalemagazine.it/index.php?option=com_content&view=article&id=553%3Aantonino-caponnetto-la-poesia-come-linguaggio-dell-anima&catid=73%3Acomics-3&Itemid=257&fb_source=message).