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Michela Marano

14 ottobre 2020

La poesia che si fa nebbia

Giovane e Irpina e, come molte Irpine, ha grinta da vendere. E poi nasce in quella terra fertile di versi, dove la nebbia si fa fertile di affetti. Queste connotazioni sono necessarie, poiché chi vive su queste montagne non sa solo della neve e di un isolamento che in qualche tempo si fa drammatico, ma è anche terra di ascolto, anche di accoglienza di dolori altrui e di voci lontane. Cosi la nostra poetessa si pone sulle strade del culto della ragione, lei sa guidare, anche su strade pericolose e dissestate. Tutto il movimento, ben stratificato dalle leggi della storia, non è mai danza, bensì passo dopo passo, che potrebbe portare, anche arrivare alle grandi finalità dell’esistere. La sua dignità è portone solido, sulla soglia approdano le foglie disperse di canti sospirati, appena dischiusi, di finestre chiuse per un abbandono obbligato. Quando qualche anno fa la vidi per la prima volta tra i vincitori del “Tulliola Renato Filippelli” con l’opera Frammenti in-versi, Delta3 Edizioni, io la riconobbi tra centinaia di poeti convenuti da tutta Italia, la individuai subito, era nei primi posti, ai lati del muro, concentrata su se stessa, intensa, aspettava. In lei ritrovo un po’ della mia caparbietà, del mio isolarmi eppur sentirmi al centro. Non può mancare in questa bella persona il rigore, attorno ad esso lei costruisce i suoi versi. Frammenti, anche quelli di questa a nuova opera, singhiozzi silenziosi, profumati di orgoglio, di urgenze, di sogni che non possono più attendere altrimenti morirebbero. Il verso è breve, rispetta il miracolo della sintesi che solo la poesia può dare. In ogni componimento si affaccia senza discrezione quell’Irpinia piagata, non decisa a piegarsi e, solo del fiume Sabato, che costeggia Pratola Serra, il poeta vuol vedere l’idillio, ciò che avrebbe potuto essere e non è. Poi, pesa come una coltre, troppo pesante, il passato. Non  quello della poetessa, ma il passato tutto di queste terre, sferruzzato alle soglie dell’amarezza, del tedio di un’attesa che si fa morte. Michela rimane sulla soglia del dolore, lo attraversa dall’alto, ce lo pone tra le mani, ha petali bianchi, fiduciosa solo nella forza e nel potere del Divino. Questo “distaccarsi” dalle urgenze è solo un modo per meglio guardare fino in fondo, per raccontarci senza forzare le cose, è un gemito che si perde nelle cisterne dei cortili delle nostre parti. L’Irpinia esprime poeti e poesia, né possiamo dimenticare la poesia sdegnosa e potente di Giuseppe Iuliano, una voce alta che fa sentire lo sfregio delle ferite inferte, dei tradimenti perpetrati, delle promesse mai mantenute. Michela Marano, al contrario, non alza la voce, ma il suo incedere è fiero, cosciente di quanto la vita possa essere difficile, soprattutto per chi è figlia d’Irpinia. La poesia rispecchia per certi aspetti una limatura accorta, un canovaccio simile a quello ungarettiano, una fresatura che non deve permettere orpelli. Eppure, nella lettura accorta si insinua lieve un desiderio di esserci, di partecipare a un riscatto che deve pur venire, ed ecco lodevole l’amore per i suoi alunni, per le colleghe, la solidarietà per i terremotati, per il figlio, al quale insegna i misteri della scrittura e della parola poetica.

Si nota nell’opera una spietata sismicità, la poesia non è mai dispiegata, non ha mai il volume di un fiume gonfio, muove accorta i suoi passi, per non scivolare, per non essere troppo, né troppo poco, est modus in rebus, sembra ricordarci ad ogni verso. Il sussulto è controllato, come se la paura di cadere, la renda cauta, senza, però, perdere quell’acetum causticum che sulle ferite frigge come il fuoco.

Carmen Moscariello  

 

Il fiume è secco, ormai,
l’acqua si è ritirata,
intimorita, nascosta
dietro gli angoli delle industrie

La modernità è anche questo

Noi silenti e tenendoci per mano,
andremo lungo il corso del Sabato
per ricordare danze di luce
su ciottoli colorati

E sarà preghiera il nostro pensiero
Lì incontreremo ninfe e fauni,
insieme siederemo
al banchetto delle Muse
e il sole, complice, asciugherà
le paure nude di avori

Incanteremo le nostre percezioni
nel gioco luminoso delle apparenze,
ma avremo ancora tempo
per detergere le membra nostre sottili,
e dissetarci
alla sorgente della purezza

 

 

Ore 19.34
La terra lacerata
rinsecchisce la vita superstite
e ombre di boati con frequenza
tumultuano nel dolorante grembo

 

I minuti contano le nenie del cuore

Crollano insieme i domani
mentre su muri scrostati
si posano gli accipitridi
e solcano agilmente
grumi di pianti versati
in gomitoli di strade
di schiena deserta
Nunzio di morte cerebrale

Solo la memoria taciturna
riempie la distanza in pietre perenni
e crepe dell’anima

 

 

Irpinia 23 novembre 1980
Alle vittime del terremoto, in memoriam.
Ai miei conterranei irpini, per il coraggio
dimostrato in giorni drammatici e privi di speranze.
Alla loro laboriosità, volentieri messa a dura prova
nella difficile opera di ricostruzione, dalla stoltezza e
protervia di lontane intese. A chi invece crede nel
domani costruito con spirito di operosità sempre vivo
nella ‘migliore’ gente irpina.

 

Le emozioni incise
su limografo
connettono
silenziose armonie
che seguono
gli epinici del cuore
tra fratte di esperienza
e curve di sapere

Tra le mani
si sorseggia acqua dal cielo
e pane di terra

come eroi argivi
dietro quotidiani frastuoni

 

 

L’ultimo orizzonte
avrà cieli stellati
per chi ha smesso
di concedere sogni
alle gocce di luna

La terra ha inghiottito
case, cuori, arcobaleni

Tutto è sprofondato
nel buio del dolore
in attimi frazionati di silenzio

Un urlo richiama
il ricordo della perdita,
della morte che non risparmia

Il viso nel cupo della notte,
smarrito nella smisurata inquietudine

Gli occhi slanciati verso
l’alto alla ricerca della
preghiera, consolatoria di Dio

E nella preghiera
si solleva una stella,
una luce, una speranza

Così anche l’ultimo orizzonte
è pieno di Cieli Stellati

 

 

Per le vittime del terremoto dei comuni reatini

Riposano tra
ventricoli colorati
i soffi dello Spirito

Silenti si
irradiano
con frequenze fresche
di vita
con fragranza di
inverno azzurrino

a dissipare
questo debole
tedio confezionato

 

 

Versi apparsi nell’antologia poetica “Domenico Napoleone Vitale” 2013
Artemia Associazione culturale – Reggio Calabria

L’antico sambuco
è ancora lì
fermo e narra
attraverso il fruscio delle foglie
di storie scrostate
e ruvide di attenzioni
di sapori orientali
e sussulti da bere in silenzio

Tracciati di linfa
in superfici di timidezza
e fibra estrema di pensieri giovani
quando è inutile ogni viatico
per gli estratti dello sconforto

 

 

 

Michela Marano nata ad Avellino nel 1981, ha conseguito la laurea di dottore in Lettere e Filosofia, è scrittrice, docente di materie letterarie nella provincia di Avellino. Ha conseguito un master in cinema, teatro e spettacolo. Collabora con il settimanale cattolico irpino Il Ponte, con Il giornale dell’Irpinia e con l’Università Irpina del tempo libero. In versi ha pubblicato la raccolta Frammenti in-versi per i tipi di Delta 3 – Grottaminarda (AV) 2013 e la raccolta Fili d’aria riflessi per i tipi di Vitale – Sanremo (Im) 2017, quest’ultima in ristampa con la casa editrice Il Papavero di Manocalzati (AV) nel 2018. Ha pubblicato in prosa Dialoghi sotterranei per i tipi di Europa Edizioni – Roma nel 2019. Inserita in antologie a carattere nazionale come Il Federiciano – libro blu di Aletti Editore-Villalba di Guidonia (RM), l’antologia Napoleone Vitale e l’antologia San Leo della casa editrice Artemia-Reggio Calabria. Inserita nella Raccolta Autori Vari CET – Scuola Autori di Mogol, pubblicata per i tipi di Aletti Editore nel 2018. Presente nell’antologia Solchi d’infinito – Vitale Edizioni 2019. Inserita nell’Antologia Luci Sparse – Pagine 2020. E’ presente attraverso un profilo introduttivo alla sua produzione poetica nell’opera Storia della poesia irpina 2, edita da Delta 3 nel 2013. Vincitrice di premi internazionali: Premio Europeo di Poesia XXV Edizione 2011 – Lecce, Premio Qualità e Merito – Settore Talenti (Centro Culturale Europeo Aldo Moro) Lecce 2011, Premio internazionale sez. poesia “Tulliola – Renato Filippelli” – Formia (LT) 2014, Premio poesia “Minturnae” sez. giovani “Ornella Valerio”– Minturno (LT) 2015, Premio internazionale “Tulliola – Renato Filippelli” – Poesia/Narrativa/Saggistica-Premio della legalità contro le mafie, sezione Opere di Saggistica su Renato Filippelli – Formia (LT) 2016, “Premio Leivi” – Premio Speciale città di Leivi (GE) 2016. Finalista al IV Concorso CET-Scuola Autori di Mogol nel 2018. Finalista al XX Concorso Internazionale di poesia Habere Artem nel 2019. Partecipa ad incontri e dibattiti di natura culturale/letteraria.