Una sera di vento
Senza troppi saluti
alla fine ce ne siamo andati tutti
e abbiamo lasciato che cadesse
quello che doveva cadere (nessuna mano si è sporta).
I cappotti sapevano di caldo (come era necessario)
ma le mani erano fredde (intendo dire che intorno si gelava)
e forse è per questo che non ci siamo salutati abbastanza.
Tuttavia era previsto
che le luci si spegnessero all’improvviso
come se non ci fosse nulla alle spalle
e che si scivolasse
e dunque non capisco quegli sguardi di scomposizione
che ci raggiungevano a tratti
(la mia faccia e la tua, bellissima)
ma una sera di vento scompiglia i capelli
e le idee si ficcano nelle tasche, misteriosamente.
Non c’erano foulards a disposizione e il mio cappello è stretto
a tratti floscio, direi, per cui non potevo raccogliere i tuoi nei
e tutto ciò che volava (lo sai che la notte vola e non è prudente
trattenersi a lungo sotto il fuoco incrociato delle stelle)
tanto più se minaccia pioggia.
Per questo ti ho preso sotto le mie ali
(saranno vecchie, ma ancora riescono a proteggere un pulcino)
d’angelo un po’ bagnato.
Ad un’amica
La mia amica ha delle belle mani.
Hanno una bella forma e fanno forme.
Quando le muove il vuoto si avvicina
e sembra che si vesta in una forma.
La mia amica è una forma.
Una forma che pensa con la testa
ed ha una bella testa la mia amica
la sua è una testa triste e la tristezza
è la forma che assume con le mani
quando modella il vuoto e pensa forme
come credo le sembri la tristezza.
Dove eravamo perduti
Ti trovi in quella stanza, ne sono certo,
ma non saprei descrivere altro che il mio pensiero
inaffidabile come la città
dove una volta lumi alle traverse
incoraggiavano le nostre passeggiate
notturne, come i ricordi che
ancora
non avevamo – ti ricordi? – come non ne avessimo
ancora.
Ma tu sei in quella stanza, sono certo,
che non saprei individuare neppure se passassi sotto casa
perché forse non c’era e forse non era che la casa
dove avremmo voluto
trascorrere pensare suscitare
altri momenti di deviazione dal solito percorso
ed è per quello
che stavamo nei vicoli dove la mia città sembra la tua
ed è facile sperdersi, per ritrovare ancora qualche strada
e sperdersi – ti ricordi? – sperdersi
senza la luna senza le caviglie
che facevano male
ma sperdersi è come ritornare
dove eravamo perduti
e ritrovare.
Stelle in alto
Poi la sera c’è vento
e chiedi se è di mare
o dalla terra
come talvolta capita ai pensieri
e ha odori
e porta foglie
che non vedi ma senti camminare
i rami in alto e il mondo
assume un’altra forma di spessore
stelle in alto
e sembra scivolare
allora i vecchi siedono vicini
che non sanno se torna
mentre le mani cercano le mani
e hanno niente in testa
niente hanno
che a volte fa paura ricordare.
Ad ogni battito di una campana breve
Nessuno mi venne a visitare a quell’ora di notte
e questo fu l’inizio di un’abitudine.
Non era facile individuare gli uccelli tra le nuvole e i vetri
e la pianura fino a dove il monte
chiude gli occhi del mondo.
Tanto valeva mettersi a dormire.
Nessuno mi venne a visitare a quell’ora del giorno
e nelle successive l’abitudine si consolidò.
Non era facile individuare il silenzio tra i tappeti
e lentamente rotoli di senno
tra una biblioteca e l’altra.
Questo fece sì che l’abitudine si arrotolasse su se stessa
e ai miei pantaloni senza piega.
Decisi di studiare il pomeriggio e le sue variazioni della luce
tra un’atmosfera e un’altra
e questo per l’abitudine fu un colpo decisivo:
ne persi ogni costanza.
Disabituato, mi fu difficile raffermare il pane;
fortunatamente lo fa da solo dopo ore isolate di digiuno.
Vacillammo, io e la mia testardaggine,
ad ogni battito di una campana breve
ma alla fine mi abituai.
Settembre
Abitavo settembre
quando ci tornavo per sentire freddo
e magari inventarti
come fanno le onde con la brina
quando si bagna il mondo ed io mi asciugo.
Ci abitavo quando mi abitavo
ed era sempre settembre
perché era difficile tenere il conto
mentre passeggi i giorni che ti passeggiano
e non riesci a trovare un’altra data
un po’ per la solita pigrizia
un po’ perché non abito né mi sento abitato
e non trovo più nessuno.
Oggi settembre è malinconia
un vuoto
che mi costringe sempre a immaginare.
Piccole delusioni verso sera
Ci si vive strisciando le comete, ma non si sente il ghiaccio
il sibilo, il cammino, come se l’universo fosse fermo
e il tempo non si muove, ma non sei tu quel tempo
e non sei suolo, una conchiglia, un faraglione, un sonno
e non sei suono, neppure quando suona
né potresti sentirlo, perché non sei una forma dentro l’aria,
non sei una vibrazione, una scintilla
e non ti accorgi della tua tristezza, del cuscino sudato, del barlume
che forza le persiane e la finestra, penetra, sguscia, cade sul selciato
perché non hai una stanza e la strada di sera tira vento
spazza, ma tu non sei una foglia, non hai fruscio
e non vai nel cimitero di novembre
e l’acqua nei tombini ti trascina, trasformandoti in fiume
di cui non hai un’idea e quando il mare
avvolge, ti consegna a una costa ma non hai
piedi sparsi di sabbia
e le orme che lasci, o lasceresti, se ne sentissi il peso,
stanno alla notte come sta il tuo guscio
che i gabbiani rovistano col becco, ma non sei una testuggine
e lo sconforto del pianeta resta una frase ignorata
che non ha orecchie, occhi e non ha voce
ma non è colpa mia se l’universo
ignora la sua stessa vastità.
Tanto basta
Una volta avevo un nome e mi chiamavo come mi chiamavo.
Qualcuno me l’ha imposto; non io.
Un nome non è un’essenza e posso cambiarlo quando voglio
che mi trovi con te o con altri o persino nessuno.
Anche se ne parlino per radio e il mio nome venga affidato alle onde dell’aria
o un uccello notturno, questo non compromette nulla
e posso essere riconosciuto in ogni parte del mondo senza essere conosciuto.
L’importante è che non mi perda di vista.
Posso essere riconosciuto a Parigi come a Londra o agli antipodi
con qualsiasi nome mi presenti: da quel momento sarò identificato con quel nome.
In apparenza, basta che risponda.
Qualche volta pensavo di essere una musica e il nome lo scrivevo sul pentagramma
ma nessuno sa cosa ci sia dietro quel suono, neppure io.
Alle strette, un documento certifica. Tanto basta.
Giovanni Baldaccini, psicologo e psicoterapeuta, traduttore di testi psicoanalitici per le case editrici Astrolabio e Liguori; è autore di alcuni articoli a tema politico-sociale e di critica letteraria pubblicati su Rivista di Psicologia Analitica e Rivista Fermenti. Ha pubblicato per la Fermenti Editrice la raccolta di racconti Desiderare altrimenti, il romanzo L’osservatore e la raccolta di aforismi, poesie e racconti 3 d’union insieme a Luciana Riommi e Antòn Pasterius. E’ presente in alcune Antologie di racconti e di poesia della Fermenti Editrice. Ha pubblicato “Lettera dal Ponto” in AA.VV. Monologhi da camera e da volo per Perrone Editore. Con La Recherche ha pubblicato tre e-book “Il posto delle piaghe lucenti”, “Oltre il varco di notte” e “Tre notti”. Con youcanrint ha pubblicato il romanzo “La notte degli orologi”, la raccolta di poesie e racconti “Metafisiche a terra” e il saggio “Il declino dell’impero del nulla”. Alcune sue poesie e saggi sono presenti in rete e su “la Rivista “L’EstroVerso”.
Cura il blog personale Scrivere per immagini
Vive e lavora a Roma.