GIORGIO CASALI
Domestiche abitudini
Poesie 2004-2019
Il ponte è stabile
io tremolante
Giovanni Lindo Ferretti
L’ODORE DEI MORTI
Teneva la mano di un bambino
silenzioso e felice
Maurizio Cucchi
Che dica, l’Orfano, colui che arranca, la parola
estrema.
Roberto Carifi
Quando mio padre viveva in ospedale
Le sere di Coppa Campioni stavo seduto
col nonno in poltrona, le altre (le sere
normali) giù al sottopiano, la stanza-da-stiro,
su un disegno e l’altro chino del diario
mio bambino: soldati tedeschi e americani,
partigiani bianchi, carrarmati, calciatori
in undici probabili domenicali – io dentro le
canzoni, le radio della zona e nazionali. E
la notte sul letto-divano, nella stanza che
fu di mia madre: preghiere a memoria in
labbra bisbigliate con la testa nei romanzi
d’avventura: ma leggendo contavo le lettere
nelle parole (di quattro in quattro, di tre in
tre…), spezzavo le sillabe in monconi,
violavo le frasi dei racconti fino a più non
comprenderne il suono, il senso nelle gesta
dei pirati e dei ragazzi, orfani, su navi.
*
Trapianto: Resurrezione
Il morto uscì,
con i piedi e le mani avvolti in bende
Vangelo di Giovanni
Lazzaro non sapevo da dove tornasse
se ancora in quelle bende fosse lui,
nei passi piano fuori dalla tomba
in carne ed ossa ancora, se ancora
mio padre fosse mio padre
in carne ed ossa nuove.
*
È morto prima di morire,
guarito un giorno per andare
avanti a morire un altro giorno.
E lì, bambino, ho saputo
della fine, che cosa è terra
e cosa Cielo: muore, mio padre,
prima di morire.
*
LE STRADE
Le strade le stesse
Per fare domestiche le strade
ci vogliono stagioni, anni e anni
di riandare alla rotonda e non lamento
che l’angolo di sterzo sia sempre
lo stesso, uguale la profondità dei giorni
e quella degli istanti: il cammino
non riesce ad invecchiarmi
per il solo fatto di restarmi.
*
In questa notte di tornanti
Cosa manca in questa notte di tornanti
a sinistra, giù, dopo il cimitero,
a sinistra imboccando in discesa la collina
e pensando a tutto registrare
per fare di luci colonne sonore
alla pelle tua bianca che mi uccide,
alla notte, armistizio preferito.
*
Monte Evangelo
e ripensa alla voglia di un altro groviglio.
Cesare Pavese
Cercavamo un posto per mangiare
e un buco, certo, dove tra odori ventosi
e collinari accoppiarci, far la sera.
Più volte rivedo le ore scappate
là dietro un tornante, aldilà del versante:
è se torno sui miei passi di salite,
pomeriggi nel ritorno di passati
che raggiungo appena dopo le tre croci
quando gli attimi rallentano, quando
inchiodano al tramonto.
*
DOMESTICHE
per il diverso senso del tempo di quando si ama
il prima era anche un dopo
e il dopo anche un prima.
Peter Handke (trad. Hans Kitzmüller)
in questo nostro cadere senza fine
io sento sempre che vorrei raggiungerti
Massimo Morasso
I.
PRELIMINARI
Vengo a prenderti stasera
Questa notte alle tre finito il turno sarai
bella, truccata alla buona allo specchio del
bagno del posto in cui lavori. Sarò fuori ad
aspettare ma tu tarda, tarda pure, anch’io mi
starò riaggiustando, tirerò la maglietta per
farla oltremodo scollare, come va oggi. Sarò
fuori e qualche vizio accumulato nell’estate.
Uscirai dal portone, lo lascerai senza sbattere
alle spalle: calma, calma, neanche tu hai fretta.
Tutto sarà nuovo, tutto nuovo, davanti
una pianura sterminata di promesse.
*
In un parco che nessuno conosce
Come due tuttora sconosciuti
ci prendiamo le misure, le aperture
alari delle gambe; certo
è difficile naturalizzare un abbraccio,
starci dentro e vedere che succede,
se qualcosa domesticamente
conviene.
II.
DOMESTICHE
Versi a Claudia
Sei già nel tuo nome zoppicante,
quasi nuvola in inglese –
è come se vestissi un lutto antico
che tieni nella festa e ti trattiene.
Hai la luce che vorrebbe ma rintana,
la luce che riprego sotto cielo.
E veronica risbuchi, primavera,
miracolo di prato che fora la terra,
l’inverno interminato.
Il tuo non esserci è già caldo di te
Se la luce su cui posso contare
è il fatuo delle lucciole stasera
e sento nella casa addizioni di silenzi,
della tua assenza (non ascoltarti
rovistare negli armadi, ordinare
dove serve la cucina…)
mi prende un dolore di mancanza,
mi sembra un’abitudine
star solo.
IL GIARDINO
Io ho piantato, Apollo ha irrigato,
ma era Dio che faceva crescere
San Paolo, 1Cor 3,6
la superficie
riprende a germogliare, a effondere
lo straripante rigoglio vegetale
Cesare Viviani
Pettirosso
con Viterbo Malaguti (1924-2015)
Guardavo le mattine dalla grata il giardino
dei nonni. E sempre un pettirosso saltava di
sotto dal pino argentato, si fermava e
sembrava guardarmi, ne sono sicuro, poi se
ne andava su un ramo, da un ramo all’altro
del pino tra me e la siepe, dalla siepe poi alla
strada alle scuole alla piazza e tornava,
rifaceva il suo giro. Io stavo fermo a guardarlo
guardando il suo petto colorato, e già
sapevo che tra poco sarebbe scappato,
volato via. Lo cercavo ogni mattino, ogni
mattino poi lo ritrovavo e non so dire se
fossero mesi o forse pochi giorni, settimane.
Ancora mi segue il pettirosso, sarà il
figlio del figlio del figlio, oppure il segno di
quand’ero bambino, mio nonno, il suo
giardino. Lui torna, mi guarda, e vola via.
DAI MORTI
Dio fa perdere tutto ciò che è
dell’uomo e che il purgatorio purifica
Santa Caterina da Genova
La casa visitata dalla mia fresca morte
Sono fermo, immobile
come immobili sono stati i miei nonni,
ne ricordo distinto il sorriso. Si dice
che si possa così partire, con un sorriso,
ma stasera soltanto mi vedo inanimato,
il mio uomo inerte. Non ho piaga né sorriso,
solo un mucchio di vuoti lasciati,
amori a meno di metà e un muro
di cose accumulate con adesso
chissà quale nuovo padrone.
STANZE PER IL FIGLIO
Come la santità, la felicità viene a dispetto di noi
Charles Wright
I.
Tua madre per portarti da mangiare
ha cambiato i sapori della bocca
e gli odori del naso, piange per un niente
ed è stanca per meno, a volte
non mi sente, anche a letto
non mi guarda nemmeno.
ALLA LUCE
La foto la scatto appena prima
dell’attimo preciso della posa,
sei già quasi in obiettivo –
un istante e stai quasi per guardarmi –
la coda non ancora riadagiata
libra leggera in lenta torsione
per luce d’angeli,
sei come un’alba.
Guardi me o già il bimbo nel pancione
dentro al buio della tua luce?
Così come te, nello scatto
è l’amore: un quasi non essere
più noi.
Giorgio Casali è nato nel 1986 e vive in provincia di Modena. Laureato in Storia all’Università di Bologna, ha pubblicato i libri di poesia Attaccamenti (Albatros, 2010), Notte provincia (Edizioni clandestine, 2011), Poesie (edizione privata, 2012), Sotto fasi lunari (Incontri editrice, 2013), Diarietto cattolico (Giuliano Ladolfi editore, 2016), Domestiche abitudini (Edizioni Contatti, 2020) e Altre poesie (Convivio editore, finalista al Premio Carrera 2020).
Con il pittore Andrea Chiesi ha dato alla luce il catalogo d’arte 19 paintings 19 poems (Italian Cultural Institute of New York, 2014), dal quale è stato estratto uno spettacolo con la musica dei Divisione Sehnsucht. È uno dei centoquattro poeti dell’antologia Come sei bella (Compagnia Editoriale Aliberti, 2017) curata da Camillo Langone e dedicata all’Italia.