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Natàlia Castaldi

16 settembre 2015

la necessità è un volo basso
un passo laterale appena rasente
la superficie malata delle cose
come sono, loro,
e io.

Non si può fissare il sangue tra i secondi e le arterie
come fosse inchiostro per garantirci a firma
bene e male.
Forse sarebbe più saggio un piccolo gesto di morte
trafiggere un quadro
fin dentro la parete che ci contiene

ma tu lo sai,

io mi soffermo sugli interni, sulle cose che accumulano polvere.
Fuori è tutto ciò che non mi appartiene e respira. gli oggetti invece mi somigliano, sono senza chiedere di essere, io non devo loro nulla, loro mi contengono per ignavia e fattura.

sparire è come fissare l’attimo preciso di un istante che muore, una
pellicola sbiadita destinata a impallidire, un pensiero che svanisce
l’immagine confusa di un seno tra le dita e una mano che ne scrive
la morbidezza senza tatto.
Labbra piccole su piccole labbra
come essere per te ieri
il lutto di domani

 

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Natàlia Castaldi

14 marzo 2013

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Questo piccolo mazzo di poesie inizia con due affermazioni sulle quali mi vorrei soffermare:

“ la necessità è un volo basso” e “io mi soffermo sugli interni, sulle cose che accumulano polvere.” Il primo verso è in corsivo, il secondo in script: a parte la differenza dei caratteri il significato che veicolano i due versi sono simili; noi viviamo nel mondo della necessità, inutile illuderci, e la necessità  fa riferimento alla terra, alle cose che soddisfano i bisogni materiali che costituiscono l’anima dell’esistere; gli interni del secondo verso fanno riferimento alla clausura della mente, alla nostra incapacità di volare e di limitarci a stare nelle polvere del tempo e già presagire il lutto di domani. La Castaldi si presenta con una poesia apparentemente dubitante, fondamentalmente senza aperture, senza aria e ciò che è stato bello, è stato appunto e nessuno riuscirà mai a trattenere la lancetta del tempo se non sparendo.

Il tempo è la possibilità che ci resta di esistere, nessuno è al di fuori, nessuno può affermare che il tempo  non è: “sparire è come fissare l’attimo preciso di un istante che muore, /… Tuttavia il discorso di Natalia è molto più vasto di quello sul tempo; semmai il tempo consente di porre domande cave  che non riescono a riempirsi di risposte esaustive perché siamo fatti per amare ma ce ne manca la capacità , la possibilità , è  l’impossibilità di domare la pelle del mare, là dove si spalanca l’abisso della nescienza e quindi si giravolta alla ricerca di una certezza, una qualunque, però una almeno. La poetessa si cimenta in una ricostruzione della sua umanità fatta di minuzie che però giungono al grido di chi nasce nel silenzio di chi muore. Allora quale significazione possibile ci è data, quale istanza a cui rispondere per non morire?  Le minuzie appunto, sono quelle che ancora dicono ne indicano;  nell’attesa della dissoluzione stiamo dentro rimasugli, anche brevi sogni:

……../ma la natura distratta delle cose/ è un equilibrio di terrena assoluzione,/ la sorpresa per ciò che non sapremo.

Vivere con queste consapevolezze è angosciante, anzi è ferita prometeica, ogni notte risanata, ogni giorno riaperta. Eppure non si cessa di aspettare e, nell’attesa,  di soffrire, consci che nulla arriverà se non breve ristoro e di poco conto,  poi il male avrà una percezione più aspra.

Natalia non sa dove trovare consolazione e nelle righe in prosa , di lucida ruvidezza, analizza dapprima la parola che diventa corpo freddo inchiodata al muro, infine reliquia dell’esistente, perché simulacro della vita e dell’essere e alla fine restano ciò a cui appende la sua stessa vita. Nella seconda riflessione in prosa  essa declina con maggiore chiarezza la sua visione e la sua concezione dell’esistenza attraverso pensieri filosofici che non sta a noi contestare ma che ci è d’obbligo accogliere e farne oggetto di riflessione. Non sono pensieri tremuli e pavidi, sono espressione di una riflessione matura e acclarata .

Ne riportiamo due brevi frasi esplicative: “ la vita è l’elogio dell’incompiuto, niente più della vita conosce ogni irrisolto e plausibile risvolto della sua stessa esistenza. ( ……..,)  L’unica compiutezza della vita sta nel suo esatto contrario, quello di cui non abbiamo diretta esperienza e che ci risulta comprensibile solo come suo opposto, ossia non-vita, dunque morte; ma pure dinanzi a quest’ultima possibilità, quale causa, effetto e conseguenza”.

 Narda Fattori
                             

                           
 

la necessità è un volo basso
un passo laterale appena rasente
la superficie malata delle cose
come sono, loro,
e io.
     
Non si può fissare il sangue tra i secondi e le arterie
come fosse inchiostro per garantirci a firma
bene e male.
Forse sarebbe più saggio un piccolo gesto di morte
trafiggere un quadro
fin dentro la parete che ci contiene
                   
                     ma tu lo sai,
                           
io mi soffermo sugli interni, sulle cose che accumulano polvere.
Fuori è tutto ciò che non mi appartiene e respira. gli oggetti invece mi somigliano, sono senza chiedere di essere, io non devo loro nulla, loro mi contengono per ignavia e fattura.

sparire è come fissare l’attimo preciso di un istante che muore, una
pellicola sbiadita destinata a impallidire, un pensiero che svanisce
l’immagine confusa di un seno tra le dita e una mano che ne scrive
la morbidezza senza tatto.
Labbra piccole su piccole labbra
come essere per te ieri
il lutto di domani

 

                     
              
              

[nuove liriche dell’incompiuto – #1]
*
Il miracolo di quelle cose libere che si amano così,
così – quasi fosse
l’impossibilità di domare la pelle del mare,
o la riva del fiume quando devasta la saccenza
delle previsioni oltre l’abisso della sorpresa,
“ma” è solo
[o_siamo] una parola, che svolta
• dunque, eccoci: prossima scena:
il tavolino si allaga
dentro lo sguardo di una donna] lui osserva.
Si suppone che piovesse, non è detto un pianto,
si suppone ancora una sorpresa:
           
lei non chiese, lei non aspetta.
               
Ricapitolando, dunque
C’era una donna, poi fu un seno e più tardi ancora
un piccolo ristagno che chiamarono
cielo come il grido di chi nasce
nel silenzio di chi muore.
Si aggiunsero poi
un’unghia spezzata, lo smalto, pezzetti di memoria,
vetro colorato, calze a rete, – si disse un tempo
di una riga che saliva su per il polpaccio alla coscia
                 
un’ascesa al paradiso.
                    
Di tutte queste cose libere è la natura terrena
dell’amore quando mima il suono nel suo petto
che sembra mio così pieno,
piccolo grosso, distrattamente andato
giù dabbasso al ventre maturo
                        
• si disse un tempo: turgido, bianco, come qualcosa di incompiuto:
               
ma la natura distratta delle cose
è un equilibrio di terrena assoluzione,
la sorpresa per ciò che non sapremo.

                       
                          
                    

[nuove liriche dell’incompiuto – #2]

copertina VerdeAcqua, rigida appena,
scaffale 12: classici senza
tempo – etichettava quando voltò pagina
per entrare dove si sarebbero
prese per mano nel sapore acceso
del mattino.
Dunque, cominciò a reggere l’aurora
tra il freddo e le dita un tè bollente
– macchinetta, pochi cents, per farla breve:
il solito languore d’ossa.
Allora scrisse, come sempre scrisse,
con la profonda inutilità della
sua intuizione (che bene o male
qualcuno, prima, avrà già avuto
la medesima meglio riuscita ispirazione):

Mia Cara,
ci fu un mattino che come ogni mattino
raccolse ferocia e memoria,
poi venne l’acqua a ricucire gli occhi
alla ferita e di seguito furono
trapunta e piumino, la punta del naso,
una montagna di capelli, indifesi
come solo gli ombrelli spogliati dal vento.

La verità è sempre la solita vecchia
storia: Siamo nudi Piccoli grossi
Seni pronti ad allattare il Mondo al primo
Vagito finché non giungono Ruvidi i
saluti Neri Nei ai capezzoli Offerti
nel dove e nel quando la Vita incontra
l’insolenza delle cose rapide
[così inutili le più belle]
per dirsi l’eternità di un istante.
                   

                     

                     

L’ultima possibile premessa. Fac-simile di me e della mia fallibile ricerca.
                

Vorrei che la parola fosse un corpo freddo da osservare col distacco della morte, un’estrema forma d’arte inchiodata al muro, alla carta, alla parete delle ossa; scoprire nello sguardo di chi legge lo stesso cinismo che muove le dita, quella furia fredda e calma, ossessiva e maniacale, di amare le cose fino a vederne la loro lenta distruzione. Sarebbe tutto quello che resta, la parola-reliquia delle ossessioni che l’hanno scomposta, una morte fissa che sconfigge la vita nel suo finire. L’ultimo possibile atto d’amore.
        
                    

                      

L’elogio dell’incompiuto
                              
la vita è l’elogio dell’incompiuto, niente più della vita conosce ogni irrisolto e plausibile risvolto della sua stessa esistenza. L’unica compiutezza della vita sta nel suo esatto contrario, quello di cui non abbiamo diretta esperienza e che ci risulta comprensibile solo come suo opposto, ossia non-vita, dunque morte; ma pure dinanzi a quest’ultima possibilità, quale causa, effetto e conseguenza dell’esistenza stessa, non c’è vita che possa dirsi realmente compiuta, finita; giacché è il concetto stesso di finitezza che non ha alcun riscontro nel nostro stato di appartenenza microscopica ad un insieme infinito, inconcluso, irrisolto nel suo equilibrio di incommensurabile ed incomprensibile compiutezza.
Si potrebbe obiettare che il passaggio della vita nel suo contrario segni la fine, quindi la conclusione dell’esistenza, e in un certo senso una simile affermazione pare avere un logico e tangibile riscontro: un corpo vivo agisce, un corpo morto cessa di partecipare all’azione; pur tuttavia, l’esistenza nonostante abbia una sua biologica fine, nel suo svolgimento non fa altro che mettere in moto un ventaglio di concatenazioni tra causa ed effetto, che nel metterne in luce l’aspetto della reiterazione a catena e della continua sospensione, rivela una quantità di implicazioni irrisolte che ne determinano la sua effettiva non fine in aree recondite e non sperimentabili di spazio e di tempo, che continueranno la loro funzione determinante nel concatenarsi di altre cause ed altri effetti sull’esistenza del singolo e su quella delle esistenze che per causa ed effetto si ritrovino nelle medesime aree spaziotemporali. La serie delle concatenazioni esistenziali ha un raggio d’azione talmente vasto da potersi considerare l’unicum delle esistenze in un unica irrisolta, eterna, inconclusa pulsione vitale ed esistenziale.

Messina, 13-01-1971 – (ancora viva)

Diploma di laurea come Interprete e traduttrice, specializzazione in Traduzione di trattativa.
Un po’ sfigata, disoccupata, sposata, mamma. Scrive anche bene, ma è incostante, apatica, apolide.
In netta contraddizione con la sua vocazione all’esilio volontario dal genere umano, nel 2009 fonda il gruppo dei meltin’ po(e)t_s, http://poetarumsilva.wordpress.com

Dal 2008 ad oggi ha pubblicato sue poesiole in diverse raccolte antologiche che non menziona perché non se le ricorda nemmeno.

Il suo primo libro da solista si intitola “dialoghi con nessuno”; attualmente vorrebbe lavorare al prossimo riorganizzando le tante (troppe) cose sparse nel suo disordine vitale, ma il tempo non le è clemente e lo stato d’animo neppure; quindi soprassiede: è rintracciabile all’indirizzo email: castaldi@babelfault.com – ma risponde controvoglia e a volte malamente.