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Narda Fattori sulla poesia di Luciana Riommi

1 settembre 2023

Luciana Riommi

Luciana Riommi

4 ottobre 2019

 

 
photo e rielaborazione Luciana Riommi
 

ornitologia

parliamo del volo degli storni,
parliamo dei gabbiani,
dei ritorni.
e briciole di pane.
dici che non funziona l’ornitologia?
non importa
sfrutto la libertà della poesia.
nessuno ha mai vietato
un certificato di morte post-datato.


come uno scioglilingua

dice che non fa male quello che non sai
e che non ti fa danno ignorare che non sei.
ma tu pensi alle volte che ti senti scomparire
però, dico, ti accade solo perché ci sei.

           

lavoro onirico

lasciami dire quello che mi pare
anche se non è proprio un sentimento
quello che provo ai margini del cuore
lì dove c’è stata una lesione
che se non fosse per l’anestesia
forse direi dolore.
e non ho sogni da portare a compimento,
anche il lavoro onirico è andato in confusione.


niente di speciale

ho immaginato un luogo
che sia complice al segreto
di sapersi esistere
di carne/ossa/pensiero
se c’è davvero un’anima pensata
dietro i risvolti di altre banalità.
in fondo non è niente di speciale
e tuttavia essenziale.


E te ne accorgi dopo


certe volte si fa sera e te ne accorgi dopo,
troppo tardi
per ricongiungere memorie di realtà.
d’altra parte neanche i sogni si ricordano di sé.


luce ed acqua

quale luce splende, quale lunghezza d’onda
sull’onda lunga dell’imprecisione?
e questa irrilevanza di pensieri
fatti di particelle in movimento
e (spreco) di energia.
bastasse una mimetica intonata nel colore
a confondere le acque
– tanto per diluire l’ineleganza del dolore.


l’arte del punto e a capo

mi dicono che parlo troppo piano
per questo non è facile capirmi,
ma non rileggerò tutta la storia
che abbiamo scritto a quattro mani, il caso ed io.
d’altra parte, non pratico la vita
nello stile del racconto breve:
non mi si addice l’arte del punto e a capo
senza continuità.


alla mia portata

questo mondo così com’è, alla mia portata
credevo che lo fosse,
come uno stagno che contiene il mare
ma le sponde sono così lontane
che da un lato il sole nasce mentre dall’altro muore
e tra un saluto, un commiato e dirsi addio
neanche si avverte il cambio di respiro.


visto dal vero

non passa niente da fessure d’ombra
per quante parole presti alla mimesi
la cosa che, manco a dirlo, sembra un’emozione
e chissà cos’è dal vero.
in ogni modo, sempre di storie piccole si tratta,
che se ne parla a fare?
minime storie insoddisfatte
e tutti senza pace
pronti a sgranare inutilmente gli occhi:
vedi? non vedi?
vado? e dove andare?
cosa inventare?
se neanche sai cos’è che si dovrebbe soddisfare.
e tutti gli anni di abbandono,
quelli serviti a te
nel tempo personale
per far cadere un’ultima illusione
tra gli artifici dell’animazione.
ma il cancro di che colore è, visto dal vero?
ci pensavo ieri
mentre ancora trattavo il prezzo di una rosa, rossa, dal fioraio.


terra che sei

hai cancellato dal paesaggio quello che non ti bagna
– lo so che preferisci il mare –
e tu – terra che sei – esclusa dalla vista
lo sai che non ci sei?
perché quest’acqua senza approdi
ti sgomenta
come l’insensatezza di annegare
in un fondale asciutto.

il suo sito
https://lallaerre.wordpress.com/

Luciana Riommi dice di lei: psicoanalista di formazione junghiana, ma non solo, da quarant’anni interroga il suo rapporto col dolore, proprio e altrui. Non ha trovato risposte, per fortuna, ma solo domande. Una domanda più recente, in particolare, resta per lei insoluta: cosa ci faccia qui, dove si coltiva la poesia.
Come sempre, la sua gratitudine è infinita.

Cristina Bove dice: il suo posto è qui e ovunque si coltivi la poesia, le sue domande sono la prova della sua grande comprensione ed accoglienza umana: la mente che le origina appartiene al mistero in cui il pensiero si fa bellezza e volo.

Luciana Riommi

21 Maggio 2019
Parete finestra
                  
         
                                           
ho amato nei miei giorni

a voler dire ancora questa è casa
dovrei ritrovare il mio cartone
le prospettive, gli angoli, il colore
e ricordare quanta libertà
di non avere niente
quanta povertà
ho amato nei miei giorni.
                                         
                           

non passa niente da fessure d’ombra
per quante parole presti alla mimesi
la cosa che, manco a dirlo, sembra un’emozione
e chissà cos’è dal vero.
in ogni modo, sempre di storie piccole si tratta,
che se ne parla a fare?
minime storie insoddisfatte
e tutti senza pace
pronti a sgranare inutilmente gli occhi:
vedi? non vedi?
vado? e dove andare?
cosa inventare?
se neanche sai cos’è che si dovrebbe soddisfare.
e tutti gli anni di abbandono,
quelli serviti a te
nel tempo personale
per far cadere un’ultima illusione
tra gli artifici dell’animazione.

ma il cancro di che colore è, visto dal vero?
ci pensavo ieri
mentre ancora trattavo il prezzo di una rosa, rossa, dal fioraio.

 

ricordami

ricordami, se tu te lo ricordi,
com’è guardarsi in faccia
perché non s’indovina mai che cosa c’è
dentro uno sguardo chiuso,
se l’anima o una voglia
o la brutalità – fatti non foste, dice –
ma l’alibi è poesia.

 

quanto al mio nome

ho assunto una posizione di ripiego
per riascoltare ancora le domande
non archiviate
ma ignorate a caldo
e sento scricchiolare alle giunture
voci d’anonimo
senza destinatario
tra fogli malamente accartocciati.
quanto al mio nome,
so che è ancora qui, tra ortica e vento

 

de gustibus

c’era musica di fondo e parole come didascalia
era bellissima quella scenografia.
e pensare che mancava così poco, e bastava
non si rimescolassero i colori
con l’arbitrio della casualità.
parlo di estetica per dire
di gusti non graditi alla mia percezione.
de gustibus,
così la delusione.

 

lumen

devi solo calcolare quanti lumen serviranno
a farla germogliare
qui – dov’è luce scura.
e non dire è artificiale,
la luce è sempre luce
qualunque sia il suo sole.

 

Assonometria

(fotografie ed elaborazioni di Luciana Riommi)

 

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Luciana Riommi

15 novembre 2018

Me-
non è pietra, non è sasso

so che non è pietra, non è sasso
sento che batte, anche se un po’ incostante,
tra costole e altre ossa già invecchiate
comunque batte la sua vitalità,
ma non lo chiamo cuore,
la rima troppo facile è amore
e troppo spesso è la banalità.

 

come se poi la vita la sapesse il corpo,
teatro di pulsioni a metà strada
tra l’obbligo d’istinto  – che non sa –
e la coscienza  – un’ombra.
o la sapesse, la vita, quel teatrino
che ha già assegnato i ruoli alle comparse,
interpreti perfetti del copione
che non dà margine a nessuna libertà.
che a sapere della vita sia soltanto la passione?
ma lì, tra patimento e godimento
c’è sempre confusione.
per me pensavo al gusto d’incontrare,
semplicemente dire: io sono viva, e tu?

 

interferenza

mi vorrei scusare
di questa fastidiosa interferenza.
lo so, come si fa a sognare?

poi, penso a chi è dannato a godersela,
la vita,
come un’ossessione.

 

dell’amore

farle seccare al sole
o scuoterle nel vento di libeccio
quelle parole ancora intrise d’emozione
che sono poco adatte
a un argomento serio, un po’ severo.
dunque, solo parole asciutte
per dire dell’amore.

 

per sottrazione

no, non lo aggiorno il corso della vita
con titoli di merito o prestigio
per dire io chi sono
– e mi racconto tutta un’altra storia
la narrazione breve
del tratto già trascorso
fino a qui
sempre per sottrazione:
sottrarsi
all’arroganza
di ogni definizione.

 

credo di aver già detto

credo di aver già detto questi occhi
la fissità del grigio
e l’altalena
questa così uniforme oscillazione
che disimparano a toccare terra
– i piedi –   a coordinare
asimmetrie che sono sempre state
e adesso diseguali.
ma il segreto mi resta nelle scarpe
con i dati  (in)sensibili
a norme deliranti.

 

Foliage

e adesso inizia la stagione del foliage.
quando cadranno
suggerirei di farne una composta naturale
coi torsoli di mela e gli altri avanzi:
è un buon fertilizzante del terriccio
oltre a pacciame per l’inverno che verrà.
qui non si butta niente, neanche le foglie morte
tanto care a giardinieri e chansonnier.

 

se domani sarà vento forte

niente da dire
e adesso questo lugubre silenzio.
lugubre non per me
perché mi piace se nessuno parla.
mi piace sia il silenzio a dirmi quand’è ora
di ripensare una possibile parola,
una parola possibile da dire
se domani sarà vento forte
e pioggia, e se cadranno rami.
sai, questi alberi vecchi di cent’anni
che quando è vento forte vanno giù
lì, sul viale, davanti alla bocciofila del centro anziani,
dove passare a piedi
per andare a prendersi un cornetto col caffè.
dicevo, anzi tacevo,
che sarà sempre troppo poco il tempo, la durata
di questo rifiatare,
e allora come faccio a sprecarlo per dormire?

 

per la durata della vita

per la durata della vita
tra queste quattro mura, o tre
se una parete su quattro ci dispone
a ripensare cosa ci condanna
a questa vista comune a tutti noi.
qui siamo tutti ergastolani
e davvero non vorrei nessuna grazia
né uno sconto di pena da scontare
fuori dai miei confini angusti :
solo qui posso ancora immaginare, se mi va,
che il finire non finisca mai.

 

 

Luciana Riommi
Nata a Roma nel 1945, appena finito lo sfacelo, in prossimità delle 14.000 tonnellate della cupola di S. Pietro e all’ombra delle colonne del Bernini. Dal balcone anche il palazzo del famigerato Sant’Uffizio, da cui i ragazzini che giocavano per strada lo vedevano uscire – “c’è er papa, er papa!” – tutto bianco, segaligno,  nel  macchinone nero. Roba pesante, ché anche il mondo era ancora in bianco e nero e un po’ di grigio. Ma intorno all’obelisco egizio c’erano, e credo ci siano ancora, non so se oggi praticabili, quei bellissimi “colonnetti” fatti apposta per il salto alla cavallina, dove piccoli teppisti sfidavano, agili e leggeri, anche la forza di gravità. La stessa forza di gravità che più tardi, nel tardo pomeriggio, la immobilizzava sul suo letto a leggere, leggere, leggere: l’altra sua passione a partire dai sei anni.

Già schizoide fin da allora, ma questo davvero non ha fatto danni, come non fa danno essere vecchi se significa aver vissuto oltre dieci anni prima che nelle case entrassero televisione, e poi tablet, smartphone, whatsapp. Resta fuori dall’elenco degli orrori il pc, anzi il mac, perché il suo avvento ha reso più agevole il lavoro (il secondo lavoro) di chi ha tradotto circa 60 libri, iniziando con la macchina da scrivere (quando ancora non era elettrica), i calli sulle dita, e litri di bianchetto.

Intanto il viaggio nel profondo, dentro di sé e, dopo la formazione analitica, nella vita di altri. Un viaggio che continua. Lungo tutto il percorso altri interessi, incontri, amicizie preziose. Alcune hanno portato con sé parole di poesia.

Da parte sua è consapevole di non scrivere “poesia” e per questo preferisce chiamare “pensieri inversi” le riflessioni in forma breve che trascrive sul suo blog personale
leggere riflettere scrivere 

alcune delle quali ospitate anche in volumi collettivi:

  1. Baldaccini, A. Pasterius, L. Riommi,  3 d’union. aforismi, poesie, racconti, Fermenti editrice, 2013.

AA.VV., Umafeminità, Cento poet* per un’innovazione linguistico-etica, a cura di Nadia Cavalera, Edizioni Joker, 2014.
AA.VV., Dentro spazi di rarità, Antologia Nuovi Fermenti Poesia – 9, con introduzione e note critiche di Donato Di Stasi, Fermenti editrice, 2015.

sulla rivista online L’EstroVerso e sulla rivista Fermenti (n. 242, 2014);

e sui blog:
Il Giardino dei poeti, 2012, 2014
Neobar, 2013
Il blog di Miglieruolo.

E alcune riflessioni in forma più articolata:

“Analisi e tempo”, Rivista di psicologia analitica, 1989.
“La tecnica junghiana”, con M. Pignatelli, in Trattato di psicologia analitica, UTET, 1992.
“Il deserto dei libri”, Rivista Fermenti, n. 238, 2012.
“A proposito dell’amore”, L’EstroVerso, luglio 2013.
“Forme del disagio”, L’EstroVerso, n. 3/2014.

 

 

 

 

 

Luciana Riommi

19 gennaio 2018

riproposte

Luciana Riommi

luciana riommi

 

Luciana Riommi

18 marzo 2014
                                                                                                  
luciana riommi
                                                                                             
                                                                                                   

(foto del elaborazione di luciana riommi)
(foto ed elaborazione di luciana riommi)

                                          

                                                                                  

da quanti giorni

dice che senza invito
o cenno della mano
– senza pretendere che sia
[e non è]
voce di controcanto –
parlerà
d’originaria autonomia
a figurarsi il mare come è

ma ormai da quanti giorni
notte [alla cieca] naviga l’assenza ?

                                   

                                        

 

http://lallaerre.files.wordpress.com/2013/08/dscn5235-2-bis.jpg
(foto di luciana riommi)

                                                       

                                                   

 

nell’assolato mormorio del grano

troppo angusto lo spazio di manovra
nella sfinita assenza
di sostare
al tempo degli ulivi
senza che una parola
dia l’unzione
all’ingranaggio della fonazione

          come intonati – a volte – 
a una segreta assuefazione
rumori di preghiera
versi d’amore
e pena d’abbandono
e seduzione  – sempre – 
la passione
a trascinarsi  – stracci alla deriva –
verso gli stessi dèi
che hanno lasciato il campo
increduli all’idea

e tuttavia alla morte
già digrigna i denti
– nell’assolato mormorio del grano

                           

                                                 

(foto ed elabotazione di luciana riommi)
(foto ed elaborazione di luciana riommi)

                             

                        

Con vista

I.
con la violenza di una corrente d’aria
quel pensiero fatto all’indomani
dell’apertura – assurdamente larga –
di queste mie prigioni :

senza profondità di campo
è fotogramma piatto

II.
questo silenzio
tra diaframma e sterno

e gli occhi bassi alla profondità

                                        

                               

video di Luciana Riommi

Luciana Riommi

7 dicembre 2012

Luciana in poltrona

 Essere stanziali su uno scoglio

Le poesie della Riommi si caratterizzano per una forte contrattura sull’ossimoro: il titolo di queste poche riflessioni è un verso che ha in sé la solitudine e l’errabondo stare dello scoglio con la fissità che rassicura abbarbicati su di esso, sicurezza che trasmuta in fissità, immobilismo, quando la vita è sempre movimento, spostamento, ricollocazione.
La natura umana è erratica, ondivaga, contraddittoria e, contemporaneamente necessitata alla stasi, al riposo, al nido, alla sicurezza. Tale duplicità ossimorica della natura umana (e della poetessa) è anche nel riconoscersi “anfibia”, di aria e di acqua e extracomunitaria, straniera in cerca di un’altra comunità ma conscia dei rischio, dei dolori, degli abbandoni: vuole giungere al porto che rassicura e quindi toglie gli ostacoli alla chiglia della barca che la trasmigra. E lo stupore ospita la consapevolezza insana che mettiamo fra le persone tanta distanza, tanto mare. E siamo della stessa terra, abbiamo ombre che sono somiglianti: “ … parlavo di terra ferma : /in rotta di deriva”
Dunque l’andare procede senza meta, ha come scopo e meta il suo stesso viaggio così come è spesso, forse sempre; e tuttavia sentire le distanze crea malessere e disagio, solidifica solitudini.
La poetessa censisce altre forme di straniamento, meglio, di estraneità: l’extracomunitaria non diversa dall’homeless, anch’egli senza casa, senza un porto:
“ coagulo precario/ tra pareti di tempo e falle di memoria.”,
“passo attraverso i muri come niente,/insostanziale / irrilevante”
Descrive l’homeless la Riommi ed usa la prima persona in una identificazione che prima che fisica è psichica; e non le appartiene, anzi ci chiama tutti in complici partecipanti attivi.
L’elenco dei fallimenti o delle fallacità è lungo ancora, così sia balbuzienti, incapaci di un discorso che tutti ci comprenda e muta (avevo già parlato di ossimori?), per noi è
assistere l’affanno della muta
mentre è sospeso il tempo
che non ha figura
prima che voli via un pensiero
Presagire, dunque, rimanere, non prendere distanze, lasciare che il pensiero sosti sulla linea borderline fra chi sa e chi nulla dice.
Usa l’altro (l’extracomunitaria – la muta – l’homeless -…) per dirci di sé non per pietosa vicinanza ma per condivisione di destino.
Non si risparmia né ci risparmia la Riommi: con nude – concrete verità sollevate con l’asta della metafora costruisce la sua poesia, diretta, dolente e dura, protesa ai nostri occhi con un dettato
non ricercato, piano, quasi quotidiano e non privo di armonia anche se è bandita ogni traccia di gioco retorico. Niente e nessuno ci può sollevare da questa triste condizione: se traslochiamo ci portiamo dietro i pesi e nuovamente siamo incapaci di figurarci l’insieme, la totale armonia:
“dolore fondo:
nel disumano estraneo d’altro mondo”

Credo che questi versi, che chiudono la breve silloge, siano più esplicativi di quanto io potessi dirne.

Narda Fattori

.

Al confine d’acqua

al confine d’acqua: anfibia
e prua avventata
al ritmo degli scalmi
su rotte perdute di quartiere
e già mi manca l’aria

extra-comunitaria
io che non porto scarpe
sotto i piedi
provo a scansare
ostacoli alla chiglia

e le falesie
di cemento a picco
popolate da eserciti in congedo
senza commiato
dall’inutilità :

essere stanziali su uno scoglio

.

terra ferma

d’altro canto
non saprei come inoltrare
la risposta
a lettera di anonimo
spedita da oltremare :
chiede ragione
di così tanta acqua tra le sponde

mentre riversa oceani di stupore
sull’incredulità

parlavo di terra ferma :
in rotta di deriva

.

homeless

passo attraverso i muri come niente,
insostanziale
irrilevante
coagulo precario
tra pareti di tempo e falle di memoria

incondonabile l’abuso
di sbriciolare tracce segni cose
lineamenti
dove specchiarsi
e poter dire : sembra la mia storia

.
.
balbuziente

appesa a una gruccia nell’armadio
sgualcita cantilena mette punti
per ricucire trame
di un impensato originario ordito
come esercizio di logopedia:
è balbuziente l’anima smarrita

.

la muta

eppure ci sarà dove restare
– se mai desiderio di una sosta –
e rintanarsi ad aspettare
quando verrà premura

né rotta né deriva
né scia di correnti calcolate:
l’attesa che un riflesso
cambi pelle

assistere l’affanno della muta
mentre è sospeso il tempo
che non ha figura
prima che voli via un pensiero

.

ho traslocato

ho traslocato l’anima in esilio
e i sassi
che mi porto dietro:
da ripetuti danni
macerie
già destinate alla disattenzione

come per ricomporre:

l’inventario
mette in cornice pezzi di memoria
strappi nella trama
ed autoinganni.
disadattata più di quanto basta
lucida a specchio
sembianze d’irrealtà
dolore fondo:
nel disumano estraneo d’altro mondo

.
Luciana Riommi è nata nel 1945 a Roma, dove risiede.
È psicologa e psicoterapeuta di formazione junghiana, è membro del «Laboratorio Analitico delle Immagini» che studia l’applicazione clinica del «Gioco della Sabbia» con adulti e bambini.
Per diversi anni ha fatto parte del Comitato di Redazione della Rivista di Psicologia Analitica.
Dal 1978 traduce dall’inglese e dal francese opere psicoanalitiche per diverse case editrici (Astrolabio, Boringhieri, Bruno Mondadori, Clueb, Liguori).
Appassionata da sempre di letteratura, musica e arti visive, in anni recenti ha approfondito il suo interesse per la poesia.

Ha pubblicato:

«Analisi e tempo», in Rivista di Psicologia Analitica, n. 40/1989.
«La tecnica junghiana», con Marcello Pignatelli, in Trattato di Psicologia Analitica, vol. 2, UTET, 1992.
«Joseph Roth e l’anima che muore», con Giovanni Baldaccini, in Rivista di Psicologia Analitica, nuova serie n. 7/1999.
«Un’ombra» (racconto breve), in AA.VV., Quel giorno in un attimo, Giulio Perrone Editore, 2011.
«Il deserto dei libri», in Rivista Fermenti, n. 238/2012.

blog: http://lallaerre.wordpress.com/