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Meth Sambiase

23 febbraio 2012

È una poesia in frammenti, che lascia sottinteso tutto ciò che si può ragionevolmente escludere e mette in evidenza, sillabando, il fondamentale per l’autrice.
L’indicibile si balbetta attraverso una sensibilità sanguigna eppure delicatamente femminile: mi man-chi chi-na la mia schie-na.
E quale donna non si è sentita così davanti ai rei-te-ra-ti ab-ban-do-ni che la vita ci dà?
Il caldo amore e il dolore che trafigge partoriscono poesia alla morte del sogno: “pendolo di campana a nozze” che aveva sciolto ogni diffidenza; nella stessa maniera tutti abbiamo sognato inutilmente in un modo o nell’altro e tutti affrontiamo quotidianamente la solitudine fondamentale della persona umana, uomo o donna. I soliti gesti di sempre, leggere il bugiardino, con scrupolo, uscire di casa, ma l’anima dov’è? È in poesia. Nei suoi frammenti amati, che trasformano lo sfogo in parole così belle e vive da essere altamente consolatorie non solo in sè e per sè, ma anche per tutti gli altri che accostano il cuore ed osano condividere le ferite.
“Eri leggera e trascinavi polvere di talamo. Ora lo sguardo non vede: hai chiuso ogni luce. Come nel gioco, hai scannato la strega”:
E chi di noi, di fronte a quelle che si chiamano “delusioni” nel linguaggio comune, non ha provato una specie di morte interiore?
Ecco perché i poeti valgono: la loro parola passa coraggiosamente dal particolare all’universale ed io leggo non solo Meth, ma il nome di tutte noi donne, in abiti e parole diversi, in corpo differenti, tutte a “schiena china”, anzi a schie-na chi-na.
E ormai diamo anche ragione agli aguzzini: significa che  ce lo meritiamo, non abbiamo fatto le brave bambine, tutti volevano da noi disponibilità, tempo, pazienza e che uscissimo di casa per andare al lavoro e guadagnare lo stipendio, ma che cosa hanno risposto alla nostra richiesta d’amore? Mai capaci di un gesto gratuito o così poco disponibili da essere niente. Ora amare senza essere amati, alla lunga, diventa impossibile e ci fa gridare, e che ben vengano queste urla da partorienti: “essere ancora Lepre in una macelleria che le proprie mani aprono ogni mattina”.
Leggete abbandonandovi al frammento e capirete: qui c’è l’eterno femminino che si proclama in una nudità struggente.

                       Domenica Luise

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TRE INEDITI

I (scansione)

Superare se stessi
sillabando i giorni dell’attesa
(mi man-chi chi-na la mia shie-na).
Randagia, da addestrare a destra e in ogni lato,
albina, chiusa in caseggiati di latta
la tana lontana, il limbo dei pensieri
(in-corpo-rei
rei-te-ra-ti ab-ban-do-ni)
superbi, nati dal sole in controluce,
soli.
Scivolando l’uno sull’altro
seguo una curva orfana nello specchio
l’accarezzo
la cullo, si stacca si ricompone si trasfigura
(pol-ve-re eri
ero t-e-m-p-o-n-u-o-vo)
Dottrina: il pensiero è inviolabile
si perde nelle mani
che germogliano amori come un cesto di rose inglesi.

II (sonetto)

Di nuovo minimi, percepiti fisici
i sogni sulla pelle, come un invasamento
le visioni arrivano ad occhi chiusi nel giorno
una moglie, un vestito, una radice, un fico
ho i sensi esterni alle immagini,
una violazione (segreta per carità) dei diritti del giorno
è soltanto una la realtà che mi circonda
incomprensibile, che io sia estranea ad ogni reazione
E’ da ieri l’altro, ho letto il bugiardino
non produce allucinazione non altera eroismi e opinioni
fantasiose, che buffa alterazione
fotografatemi, avrò un’aura perplessa sulla testa
perplessa, costruirò l’uscita mattutina nel regolare
uscire ancora, persecuzione singolare permutabile.

III (fisiologia)

Incredula
un lungomare di pensieri
(in-cru-di-to tem-po).
Cento, li conti i giri inerti
come cento figli unici
ai tuoi piedi di guerra
s’incarnano nell’addome.
Si fraziona di rosso
tinto in una lingua carnale-
dall’altra a te – nuovo codice – è liquido
la sottomissione è la testa piena di parole
sommerse, un esercito di aggettivi a voce bassa.
Bulbi le leghe degli occhi
fu-si nell’oro della fede
scioglievi come un’ombra felice
sorridente, pendolo di campana a nozze.
Eri leggera
e trascinavi polvere di talamo.
Ora lo sguardo non vede: hai chiuso ogni luce.
Come nel gioco, hai scannato la strega.
Dagli editi.

Antologia   “L’amore, la politica, l’arte, l’erotismo – XIII premio San Vitale”

IL PROSSIMO SEGNO

Il prossimo segno
dev’essere di bocca,
la cartografia di un morso, di un succhio, di un gemito.
Si deve leggere per strada,
ultravioletto:
che non si confonda al filo della stoffa
serico come la resurrezione
slabbrato in un’alcova
dove ci siamo persi
perle e ciottoli d’argento.

Da Leporis, (in)canti matrigni
Limina Mentis editore
prefazione Daniela Cattani Rusich

***

Ti attende
il racconto delle donne senzamondo
la santa serra degli uomini perenni
dimentichi delle zampe a nome di gambe.
Povere le radici,
si scarniscono nel lutto dell’orgoglio
nulla è concesso al viaggiatore
inatteso, si commuove di ogni ricordo.
Sarai (forse) capovolto in secca.
Attendi sdraiato,
molle come la moria delle risaie,
dove gettarsi e lasciarsi fluire.
Fluisce là,
un sonno antico,
la marea e la nebbia come madreperla

e ti appare liquido
quello che nei sogni chiamavi mare
è confine il respiro
dove il sangue è fratello e sorella.

***

E’ nel limite
pur si gode la forma che dissolve
una curva piena d’acqua
e fra le mani le cosce, a contare
il trascorrere corporale del disgelo
e tu dici che la colpa è nell’essere
di marzo nata in sottoveste
ghirlanda di sirena in allarme
che gode a girare le spalle e gli abiti
a chiazze di chimera negli armadi;
il canto della nuova stagione
se arriverà, ne scioglierà di brina i sensi.

***

Dentro la curva
della schiena giustifica e s’imbianca
un senso, quello del giusto:
e donalo ai tuoi carnefici
lepre in un dubbio, quelle nostre
mortificate cose, così vicine
tanto ai ghigni degli aguzzini
che alle intonazioni di misericordia
sono gradini morti,
che in una rovina scendono.
Ah i libri sacri… Mi hanno detto che s’assemblano
come dubbi ruvidi e nei dorsi
si consumano ed anche rigirano,
simili alla lettura nelle carte dei tarocchi;
che rubano sonno al corpo e denaro
nel dubbio d’essere
con gli occhi aperti a sognare.
Dalla prigione di un focolare vuoto
il variare del tempo
ne completa il senso
di essere ancora Lepre
in una macelleria che le proprie mani aprono ogni mattina.
Da “Coniugazione femminile, singolare”
(di prossima pubblicazione)
con la prefazione di Milo De Angelis

***

Virus,
mi affondi in un’ovatta di bende
e abbagli fiabeschi, oscuri la pelle
illuminata, resto brandello di semi.
Sono incorrotta, nata in un fiume largo
ho nascosto i tagli dei singhiozzi
dal tuo fumo negli occhi,
dal vertice nero del ventre.
Non hai per me né orecchie né mani,
sono mondo rappreso.
Mi respingi e io naufrago
zattera d’esilio, intreccio di sensi.
Mi assaggi,
mordi e attraversi e maceri,
ma i miei tacchi sono ancora sulle scale
come un esercito smarrito di briganti.
Misericordia,
avrei voluto passare attraverso il tuo corpo
in un bonus di grazia
fondermi come miele carnivoro.
Primordiale,
fuocoimmagine di vita senza posto,
torno penombra da alcova
un pugno svuotato di terra dissolta.
Passo la notte come un pendolo,
oscillo nelle mie parti che non hanno più il tuo odore
e selvaggia m’infetto
delle grida dei pentimenti inutili.
Così sia:
ti aprirò gli occhi ad ogni colore
sputerò menzogne
ti verrò a bussare e mi nasconderò .
Galleggerò nel rumore
delle parole mai dette
e quello che rimane
sarà inciso nella sanguinante grafia della pelle.

***

La strada è stretta per raggiungersi,
solvente, liquida come un pensiero colato
colorato, di quel reale pregato nelle nebbie
di notte, dove tutto accade e puramente per caso.
Il rumore di questa gravità che si dissipa
ascolto, senza mai pronunciare una preghiera
frana la memoria, ogni ferita,
parte, pende, non congiungo mai le mani.
Non chiederò salvezza
le ginocchia sono rigide nella postura del dubbio
quello che chiamavo altro è dentro oscuro.
Il mio nome sopra la luce spenta
è iridescente; la sopravvivenza avrà nuovi colori
perpetui come la bellezza, pieni come i rantoli del silenzio.

***

Dalla prefazione di “Coniugazione femminile”
“Qui tutto è veloce e mortale. Immagini che sembravano lontane vengono avvicinate all’improvviso, mostrano la loro inaspettata parentela e svelano universi nascosti, svelano la nostra parte più sola e vulnerabile, la nostra vita nuda e senza scampo, condannata ad avere ” il blasone del nulla sulla schiena”.
Dalla prefazione di “Leporis”
“Il simbolo, la personificazione e l’identificazione alternate, le metafore, tutto in questo libretto poetico trasuda magia, una magia molto “terrena” che s’incarna nel contrapporsi di destino e ribellione, delicatezza e potenza, sensualità e bisogno d’amore”.

Biografia.

Simonetta Sambiase, preferisce un altro nome, Meth.
Studi artistici ma a ridosso, c’è la passione della scrittura, e negli anni la mappatura delle tessere dello scrivere passa dalla redazione di radio locali fino ai settimanali femminili nazionali, con una vecchia tessera di giornalista pubblicista nel cassetto.
Ha vinto nel 2011 il Woman in Art, sezione poesia, presidente della giuria Milo De Angelis.
A marzo 2012, sarà pronto il libro con la raccolta vincitrice, e la prefazione della giuria del WIA.
Libri di poesie pubblicati, Tempo inaspettato e Una Clessidra di grazia, edizioni Rupe Mutevole.
A dicembre 2011, la plaquette Leporis (in)canti matrigni, edizioni Limina Mentis.
Una Clessidra di Grazia ha ottenuto il terzo posto del premio Leandro Polverini del 2011.
E’ stata segnalate quest’anno al XIII premio San Vitale di Bologna e al II Premio Franco Fortini
Varie partecipazioni in antologie, l’ultima è Fragmenta, della casa editrice Smasher, per il progetto di Ulteriora Mirari
Tra le ultime partecipazioni, Le strade della Poesia III edizione (Guardia Lombardi) e Poesia a strappo (Crema)
Cura la pagina poetica ElegiaStella sul sito RainStars.net.
Tra le cose del passato, presenze in alcune antologie. In forma stampata, quelle di Poesiaérivoluzione, Aletti Editrice, Edizioni Rei e
Samperi editore, quelle nel web, l’antologia erotica di Vir-Us.
Il suo blog di poesie e pensieri vaghi è su Io bloggo