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Gabriella Gianfelici

17 gennaio 2015

 

 
Scrivendo
sfioro i confini
sciolgo il dubbio.
Vedo l’altra sponda
dove
gettare
il ponte.
In mezzo uno scoglio
è come un lume
parte del mio
stesso universo.
Arpeggiano i versi
si depositano su di me.
Mi stupisco
sempre
delle sillabe intrecciate
del lungo e lento
smaniare della poesia:
mi trascina con sé.
Un sentiero che vibra.

*

Perdere e perdere.
Perdere l’anima delle cose
e trovarle in noi.
L’armonia sulle punta delle dita
come l’accordo che vibra.
Alberi slanciati ed animali solitari
cosa ricordano di noi.
E la notte
quando le stelle si organizzano
per veloci configurazioni
che prevedono il futuro
ecco la sinfonia interna dei pianeti
e sacri segreti a colmare la
soglia del vento
cantando le molecole dell’aria
ascoltare le formule del vissuto
e la forza celata di chi trascina le navi
in questo fiume di sospiri.

*

Mio insito confine
che permani
sotto il ghiaccio
sono dannata.
Pezzo che si allinea al pezzo
stretta fessura del pudore
sguardo incerto
fin laggiù.
Vorrei dirlo con gioia
invece regalo questa mia unica voce
con un balbettare timido
o un tacere silenzioso
e a brandelli.
Alcune parole lo dicono
che dobbiamo resistere.

*

Mi sento innocente
ma nessuno lo è.
Il volto non ha luce
e vorrei ancora tanta
strada per illuminare
la mia anima
assetata
e osservo:
la mia disperazione
la mia stanchezza
il mio occhio assente
e il verso che non mi raggiunge.
Afferro questo istante
percettibile distanza
fra il mondo e me stessa
frontiera mobile
dove si muove il mare
e qualcosa piange nell’aria
e una piccola fiammella
come una piccola mandorla
luminosa che vibra
a contrastare la massa oscura
che la circonda
e allora divento goccia tremula
dimentico che fui impaurita
e cado come scintillante dal ramoscello
dimentico che fui in apprensione
e conosco la più grande serenità
riposo in quella fiducia
e sono nel silenzio
senza risposta
nella tinta slavata del muro
in quel disegno appena cominciato
e lasciato
quel disegno
solo pensato.

*

Mi perdo
notturna apparizione
nel grigiore della distanza
e nel lungo corridoio
di porte false.
in me ritrovo
anime e solo anime
nel raggio di sole
e nel mio passo certo.
In quest’angolo del tempo
v’incontro
notturni ruscelli di acque vive
dove gigli dischiusi
addormentano
la mordacia delle ore.
Le mie braccia formano argini
al fiume
e navigando
con gli occhi fissi alle stelle
l’angolo del tempo risorge
muore
e risorge ancora.
fioriscono violette
al vostro passare
di profumi di nardo
l’aria s’impregna.
In questi filari curvi
pieni e decisi
passano tante ombre.
Appare il sentiero:
frontiere vagabonde.
Disorientata
dalla saggezza straniera
entro nel tenero
germoglio di rosa.

*

Guardavo
infinito blu.
Cercavo la riva
di approdo
occhi perduti
nell’indaco.
Anima stipata
annodata
sgualcita.
Rovistata.
Mi nascondo
alla mia stessa onda.
Due blu infiniti.
Ho ripassata la mia vita
cento volte
e frammento su frammento
l’ho rivista.
La traversata
verso la serenità
fu lunga.
Onde di un mare burrascoso
mi hanno accolta.
Cento volte e
cento volte ancora
a chiedermi di vivere.
Mi schernivo alla vita.
Lei mi è venuta a cercare.
nascondendo la mia bocca.

*

Solo per un giorno
essere come voi.
Solo per un giorno
toccare integro il mio corpo
farlo volare in alto
e poi
distenderlo sulla terra
pesante e felice.
Solo per un giorno
cancellare
la ferita che mi rinnova
l’incubo
che spurga le mie viscere
che fa gemere le mie notti.
Solo per un giorno
non pensare
ad una triste sorte
che nella luce tiepida
di una fine giornata
di ottobre
s’incollò ai miei anni acerbi.
E per non vacillare
trasformare la realtà
pregando in silenzio
in un mantra tutto mio
dove la carezza rinsaldi
gli infami spacchi.