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Lorenzo Poggi

2 novembre 2015

“Mentre Cammino” – Lorenzo Poggi.

Nota di lettura di Fernando Della Posta

Un’opera di fine artigianato “Mentre Cammino” di Lorenzo Poggi. L’autore si conferma come un fine cesellatore del verso, che spacca il capello in quattro per trovare rifugio al proprio animo inquieto: “La pagina bianca come neve sul tetto,/si stende ovattata a coprire gli umori/che rumoreggiano dentro./ Ci sono lacrime piatte spalmate sul pane/fresche cascate nascoste nei sassi”. Al “bar della rabbia”, infatti, Poggi si siede da spettatore attento sul mondo, assimilandone le brutture da laico ed etico pensatore. In questa poesia non ci sono morali, né l’indicazione di vie rette da seguire sulla strada dell’illuminazione: “abbiamo preso a sassate/chi indicava la via/perché la via esiste soltanto/se la sudi e l’assaggi”. Al contrario c’è un filo logico lineare che si dipana cristallino tra le varie sfaccettature del reale e dell’immondezzaio sociale odierno, a partire da un sentimento primigenio di attaccamento partecipe e viscerale alle vicende degli uomini e del mondo. Un filo che si sostiene autonomamente, col proprio argomentare, su fondamenta ben radicate nel substrato irrazionale che destruttura inesorabilmente quella che dovrebbe essere una coerenza naturalmente insita nel nostro ecosistema antropico. Ma coerenza non c’è, e Poggi, con la sua poesia, se ne fa illuminato e pulito ambasciatore.
Il substrato irrazionale, l’inconscio feroce che anima il mondo, per l’autore, è evidente e viene rintracciato quasi istintivamente, come se entrasse in trance. La sua poesia ne è capillarmente pregna: “Il Dio serpente vomitò lussuria/anzi, un braccio della lingua vomitò lussuria,/l’altro s’arrampicò sul tetto del mondo/ per sputare con più precisione./Questi i fatti di prima mattina sui giornali”. L’ambiente in cui viene individuato è principalmente il contesto urbano, più specificatamente la sua Roma. Seguendo un filone particolarmente fortunato sia nella letteratura, che nel cinema, che nella musica, Poggi articola la propria opera essenzialmente sulle periferie urbanizzate, che non sono più quelle del boom economico cantate e rappresentate dal neorealismo e da Pasolini, intrise di italianità popolare protesa fra tradizioni ancestrali e violenta industrializzazione forsennata, ma sono quelle degli appartamenti medio/alto borghesi dell’oggi, arroccati come nidi irraggiungibili sugli innumerevoli piani dei caseggiati di ultima costruzione (“M’aspetta in cucina un caffè strozzato/che stupido bolle da sé/la tenda è sempre storta/fuori è la solita solfa”) affacciati su vicoli e strade intasate dalle auto parcheggiate e dai cassonetti presi d’assalto dagli immigrati, dai rom, dai senzatetto e dai pensionati che non riescono ad arrivare a fine mese. E’ facile infatti vedere questi ultimi attori del nostro quotidiano come dei “Pezzi di vetro/come cristalli di coscienza/mischiati al concime./Sono lacrime amare/d’una città che ha rotto i confini”.
E’ evidente, inoltre, in Poggi un’attenzione particolare agli effetti del consumismo, ricollegandosi alla vena più conservatrice del regista, quando si scagliava energicamente e perentoriamente contro televisione e omologazione borghese: “In cielo passano nuvole come festoni pubblicitari/si comprano menti all’ingrosso inventando bisogni”.
La città dell’autore, inoltre, sembra respirare le stesse atmosfere delle canzoni di Rino Gaetano. Le continue anafore, il continuo riferimento agli attriti dell’umanità urbanizzata, il quasi maniacale voler denunciare gli effetti nefasti del consumismo e il voler rimarcare ripetutamente il fallimento e il tradimento di qualsiasi ideologia politica nella nostra (ahimè!) Italietta, rimandano indubbiamente a testi del cantautore romano come “Nunteregghecchiù”, “Il Cielo è sempre più blu”, “Berta Filava”, “Spendi Spandi Effendi” o “Mio fratello è figlio unico”.
Guardando sempre al pianeta musica, ancora, per lo sgorgare primigenio dell’opera dell’autore dalla propria coscienza abbrutita dal reale, si evince un collegamento ben visibile tra l’autore e Franco Califano, specialmente se si pensa ai famosissimi versi del cantautore “le parole che contano son miagolii viscerali/tutto il resto è noia”, come rintracciato prontamente anche da Plinio Perilli nel saggio introduttivo del libro.
Ancora, tornando alla letteratura, il legame con il primo Montale degli “Ossi di Seppia” e del male di vivere è più che evidente. A pag. 39 di “Mentre Cammino”, infatti, si legge un inconfondibile richiamo alla poesia del “Male di vivere” del nostro premio nobel: “è l’aquila in cima al dirupo/che non accenna a gettarsi nel vuoto/è il gabbiano impigrito nell’acqua/è l’orecchio che manca frequenze sognanti/è l’occhio che inciampa su gradini di carta”. E ancora, facendo eco alla celebre Forse un mattino andando in un’aria di vetro …: “Ho toccato le piume dei merli/e le guglie più alte del monte/ma non sono riuscito a capire/il segreto di chi sa dove andare”. Ma se nel Montale la resa, la disillusione, la nuda e cruda constatazione dei fatti e le emozioni personali provate sono i leitmotiv principali, in Poggi i canoni Montaliani sembrano essere assimilati e rovesciati, almeno nei termini della speranza e della possibilità di trovare una propria ribelle forza interiore che può farcela (e che ci riesce), le quali appunto sembrano riuscire a ricavarsi immancabilmente barlumi di visibilità di tra le sillabe brulicanti di segni e di immagini finemente intrecciate e assemblate: “Uscire di casa/rincorrendo speranza/che fa capolino/tra le pieghe oscure/del sapere di sé”.
Da contraltare alle brutture del vivere quotidiano e agli interrogativi che più o meno accomunano l’animo di tutti, non manca la consapevolezza della possibilità di fuggire attraverso gli scenari incontaminati della natura e degli ambienti a noi più lontani sia nel tempo che nello spazio. Succede a pag. 14 con “Canto Celtico” a pag. 19 con “Danze Antiche”, a pag. 50 con “Paesaggi” e “Paesaggio Salentino”, o a pag. 71 con “Una foglia” lirica in cui mi piace intravedere un richiamo alla famosissima “Fiume Sand Creek” di Fabrizio De André, nella quale la foglia, appunto, sembra sostituire le frecce degli indiani nella canzone del nostro cantautore. Fuga che, anche in questo caso, si mantiene laica e fortemente distaccata dalla religione che al contrario viene avversata e condannata, soprattutto alla luce degli ultimi notissimi scandali che coinvolgono la chiesa cattolica e quelli che l’hanno sempre accompagnata: “oggi dobbiamo adattare le ali al cavallo/prima di zappare nell’orto degli ulivi/in cerca delle radici del disonore”, si legge a pag. 55. Avversione e condanna che, tuttavia, non precludono alla possibilità di una riconciliazione, ma solo e soltanto intima, non fondata sulla piena fiducia e accettazione del credo e del potere secolare, non da offrire quindi come esempio per gli altri: “Ho perdonato/accettando assegni postdatati/e cambiali in bianco sulla fiducia./Sono tornato/ma non ho chiesto il conto”.
Infine, come una risoluzione sempre allusa, quasi preannunciata tra le righe di tutto il libro, nelle ultime pagine, la rabbia del vivere sembra sciogliersi e vediamo il poeta che si affaccia alla propria finestra, speranzoso, un poeta che comunque ha imparato che c’è un tempo per soffrire, un tempo per farsi incidere anche violentemente dalle brutture del mondo, e un tempo per andare avanti, anche e soprattutto con la forza della propria vitalità, ferina e bellicosa: “E poi stringerci in cerchio/anelanti di fumo e di carne/inciampando in rumori che sembrano canti/alla luce d’un fuoco/che danza la notte/che addenta la vita”; ma non senza una rieducazione interiore profonda: “allora ho imparato a cucire vestiti alle ore,/ho imparato a non mettere da parte i ricordi,/ho imparato a gustare i momenti,/ho imparato a sorridere affacciato/a torso nudo sulla finestra del mondo”.

Fernando Della Posta

 

poggi

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Lentamente …

Assaporare l’incenso di paesi lontani
spalmati come eco su pareti di pietra…
rovistare in vecchie cantine ormai senza tracce.
*
Rimestare ricordi…
sabbia rigirata dal bagnasciuga
perenne d’opache verità
e stringere mani su quello che sfugge.
*
M’è sembrato d’esistere, un tempo.

*

Una foglia

Ho letto una foglia sul fondo del fiume
portava un messaggio stampato sul retro
nervoso di rughe invecchiate anzitempo.

Scriveva la foglia sul fondo del fiume
postando una voce che portava dentro
da troppi millenni assai poco ascoltata.

Spargendo lacrime confuse nel fiume
parlava di accette dal filo preciso
che senza motivo aggredirono il bosco.

Parlava la foglia dell’albero antico
che cadde abbattuto nel canto di morte
parlava la foglia dell’ultimo volo
dell’ultimo pianto sul fondo del fiume.

*

Paesaggio salentino

Ho dipinto un affresco a mezz’aria
spremendo limoni in mezzo agli ulivi.

Ho lasciato segni in equivoci
designando muretti, fazzoletti di terra,
e teli arancioni.

Ho messo anche le facce
a sfiorare il terreno
e corpi adoranti dalla parte del mare.

Ci sono ancora le tracce di streghe combuste
e agnelli sacrificati sull’altare del credo.

Lo dicono i tronchi squassati dal tempo,
il plastico intreccio delle loro scritture.

*

Il mercato dei sogni

Ho visto centinaia di frasi becchettanti
sul davanzale che chiedevano di entrare.
Ho ascoltato voci strozzate rinchiudersi
dentro lo schermo di un diffusore di banalità.
In cielo passano nuvole come festoni pubblicitari.
Si comprano menti all’ingrosso inventando bisogni.

*

Le piume dei merli

Ciondolando tra me e me
alla ricerca d’un qualcosa da credere
mi sono arrampicato fin sopra la torre
e sparso le ali per terra.
Ho gridato l’urlo del falco
vomitando la rabbia che ho dentro.
Ho toccato le piume dei merli
e le guglie più alte del monte
ma non sono riuscito a carpire
il segreto di chi sa dove andare.

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Lorenzo Poggi è nato a Roma il 21 marzo del 1943 dove vive da sempre. L’attività poetica, ripresa dopo cinquant’anni, nel dicembre del 2009, si è concretizzata nella produzione di oltre 1500 poesie pubblicate su vari siti, antologie e riviste letterarie e, da ultimo, con un’assidua presenza, su facebook nei siti e gruppi poetici. Ha pubblicato in “self publishing” quattro raccolte: “Sassi sparsi” nel 2010, “Sussurri e grida” nel febbraio 2011, “Il cielo che aspetta” nel settembre 2011 e “La luna nel pozzo” nel febbraio 2012. Nel giugno 2014 è stata pubblicata la silloge “Mentre cammino” per le Edizioni Tracce ed è fresco di stampa (aprile 2015) “Versi cor(ro)sivi” per le Edizioni Progetto Cultura.

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Fernando Della Posta è nato a Pontecorvo e vive e lavora a Roma nel campo dell’Information Technology. Ha scoperto la poesia da pochi anni e come per Pessoa, anche per lui la poesia non è un’ambizione ma una maniera di stare solo. Molti suoi testi sono apparsi sul web, riviste e antologie. E’ redattore del blog di letteratura e poesia Neobar. Ha partecipato con suoi testi al poemetto collettivo “La Versione di Giuseppe. Poeti per don Tonino Bello”, edito da Accademia di Terra d’Otranto, Neobar 2011. La sua prima raccolta di poesie, “L’anno, la notte il viaggio” è nella collana “Le gemme” edita da Progetto Cultura, 2011. Nel 2015 esce con la silloge “Gli aloni del vapore d’inverno” ed. DivinaFollia. Il suo blog personale “L’anno e la notte.poesia”.

 

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