Laura D’Angelo

3 novembre 2023 by

“Con dolcezza e tormento, Laura D’Angelo inganna l’umana fragilità con la voglia di riscatto e la forza primordiale dell’eros.”

Franco Manzoni, «Il Corriere della sera»

“Con Poesia dell’assenza (Il Convivio, 2023) Laura D’Angelo scrive una poesia onesta (dai risvolti sabiani), costellata di impressioni che vengono da lontano […] Amore come ‘infinito incosciente’, come impulso a donarsi, a tracciare una linea spirituale più che fisica, tra l’adesso e il passato, tra il dolore e la dolcezza. È il vincolo dell’amore a rendere Laura D’Angelo continuamente a contatto con sé stessa, finendo per immedesimarsi con il soggetto imperituro dell’amore».

Alessandro Moscè, pagina culturale del quotidiano «Conquiste del lavoro»

“Come posso dire / a un posto vuoto / di non farmi male?”, si chiede Laura D’Angelo indagando il senso della mancanza che, nella silloge, ha un ruolo prevalente. Poesia dell’assenza è un’opera interrogativa, in quanto sonda la particolare vuotezza e criticità esistenziale che, oggi, non è relativa solo al singolo, ma coinvolge un intero percorso sociale e, finanche, storico … Eppure, l’opera non si risolve nello scenario umbratile. Esiste una continua tensione ossimorica, una contrapposizione dalla quale germoglia la forza per il riscatto. Si è indicato il termine ‘ forza’ perché si tratta di uno dei misteri più affascinanti e incomprensibili che l’essere umano possiede: l’amore. E l’amore è un’energia ancestrale”.

Giuseppe Manitta, dalla Prefazione

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Estratto da Poesia dell’assenza di Laura D’Angelo Il Convivio ed. 2023

Di te

Per scrivere di te
che non sai e tuttavia esisti

Per inventarti
oltre la brina dei giorni,
sul crine in neve di passi stanchi
e sbiaditi contorni

Per raccontarti
oltre le tende alle finestre,
l’amore assonnato
delle mattine sopite in trepido
incanto

e tu solo mio

Perché l’amore sia
il mio tutto e il mio
nulla ancora
oltre l’ultimo verso
di una poesia
di te

mi inebrio.

*

Il tuo, il mio

Che senso ha questo
sottile tormento,
che riaffiora
improvviso
nella geografia delle imperfezioni
o delle solitudini
che non dico
per non farti andare via

riaffiora
ritorna
preciso e spietato
inclemente e puntuale
trova gli spazi
agli angoli delle paure
e delle mie inquietudini
senza chiedere indicazioni,
conosce le incomprensioni
i pianti amari,
il tuo, il mio
dolore, il mio
nulla
che tutto incrina e svuota
e non ha pace.

Riaffiora
agli angoli delle parole
di vecchi baci in strada
e biciclette e fiori
e macchine in coda
dove si ferma
per un attimo l’occhio
– quasi ti cerca –

ma subito riparte
nel traffico senza
sosta della vita.

*

Per ritornare

Un intrigo di strade, viuzze
di case chiuse e raccolte
in pietra grigia e rossastra
alla luce di un lampione
lungo il fumo dell’odore
notturno di nebbia
di novembre.
La solitudine di oggi
scava un ricovero
nei ricordi arsi
di vita. Cammino.
Tra le perdute cose,
l’improvviso logorio
dei riemersi.

*

Alla dolcezza ho fatto dono
della luce delle lacrime,
sono sbocciati fiori.

*

LDA

Laura D’Angelo si laurea con lode in Lettere classiche e Filologia classica e consegue un Dottorato di ricerca in Studi Umanistici. Docente di materie letterarie, pubblica articoli accademici su riviste scientifiche (Gradiva, International Journal of Italian Poetry- ed. Olschki, Studi medievali e moderni, Sinestesieonline, NS Ricerca, Letteratura e dialetti) e saggi in volumi collettanei, approfondendo lo studio della letteratura e della poesia contemporanea. Giurata in diversi Premi nazionali di poesia e narrativa, partecipa a convegni internazionali e svolge attività di critica letteraria, con presentazioni di libri e interviste. Ha scritto per diverse testate giornalistiche ed è autrice di riviste culturali e letterarie online. Ha pubblicato il volume di prose poetiche Sua maestà di un amore (Scatole Parlanti, 2021), semifinalista al Concorso di Poesia “Paolo Prestigiacomo” e la raccolta Poesia dell’assenza (Il Convivio Editore, 2023). Ama la poesia, il mare, la leggerezza della profondità.

Mario Falcone

24 ottobre 2023 by

Piccole Pietre di Mario Falcone

Prefazione
di Marietta Salvo

“Parte da lontano questo percorso di Mario Falcone, scrittore e sceneggiatore, con una solida esperienza narrativa. Con questa raccolta di poesie dal titolo scarno e suggestivo “Piccole Pietre” conduce i suoi lettori oltre gli orizzonti scrittoriali già frequentati, sulla scia di emozioni che si architettano in versi. Con passioni che assalgono occhi e cuore. Con ritmi che prendono e cercano aria, in spazi metrici nuovi. Siamo esseri cadùchi il cui animo aspira ineluttabilmente all’immortalità. Le corde toccate quelle dell’eterno andirivieni umano: solitudine […]

[…] È una lettura intensa questa prima prova in versi di Mario Falcone, apprezzabilmente indomito nel lasciarsi soggiogare dalla fascinazione della Musa che, forse più delle altre, porta in sé una opzione di salvezza. Se Flaubert incitava a “leggere per vivere”, nel caso della letture poetiche quella frase risuona di maggiore densità. Leggere e scrivere poesia attiva quel tassello in più nell’intendimento tenace di interpretare se stessi, di far planare corpo e quotidiano dentro l’immensità di anima e mente. In questa mistura “Le Piccole Pietre” narrano il passaggio dell’Autore al Tempo senza limiti, al corpoicona-storia che si fa azione, disfatta e vittoria, amore e tormento, morte e vita. “A che ti serve un coltello se non ho più sangue,/se quello che avevo l’ho usato/per irrorare i campi di papaveri”. Da qui, da questa ‘piccola pietra’ editoriale, si genera una nuova, feconda forma del ‘conversare’ col sé e con l’universo.[…]

Piccole pietre

2023 La Feluca Edizioni

A volte accade

Ci incontrammo ma non ci riconoscemmo
io, angolo appuntito, nascondiglio perfetto
tu, virgola inutile su un foglio bianco
spruzzi di pioggia estemporanea
sprazzi di vita in corsivo
perché allungo la mano e non ti prendo?
mi chiedesti;
perché vorrei perdermi nei tuoi occhi
e trovo il vuoto?
ti chiesi;
le strade s’incrociano anche non volendo
la gente si vomita addosso il dolore di esser nata
vai, vedi, vivi, ritorni, ma è il conto che difetta;
con l’affanno della salita
con la fatica del nuovo giorno
passo sotto le tue finestre
con la speranza di rivederti;
ma allora a cosa vale?
Qual è il fine?
Chi ha inventato l’estraneità
era pieno di fantasia e cattiveria
spalle contro spalle
vite speculari;
nel tramonto di quest’inverno
che non si decide a esser tale,
ci fermiamo e contiamo
i cocci sparsi delle nostre esistenze.

*

Eri troppo

debordavi dal bicchiere
da due fette di pane tostato
da un trolley comprato a via de’ Giubbonari,
da un vicolo di Roma;
ho cercato di contenerti
prima con la ragione
poi chiamando i reparti speciali
e quelli con la camicia di forza;
tu, però, continuavi a espanderti
come un signore della guerra
uno che di notte svuota il frigo
eri onnivora, pozzo senza fondo,
porzione abbondante di sesso e dolore;
il tuo sorriso piegava il ferro più coriaceo
e mortificava i tramonti;
eri troppo, te l’ho già detto
disegnavi strade, piazze, scorciatoie
per cercarti non bastava solo il fiuto dell’amore
approfittavi di ogni distrazione,
del ciclone in arrivo
e del tonfo della Borsa
per disegnare cerchi di fuoco
dentro cui si allenavano i tuoi capricci;
eri troppo
per questo mondo
per questi momenti duri
per l’impreparazione al dolore
e per la ricerca del successo a ogni costo;
di certo lo eri per me, per noi
l’ho capito quando hai spento la luce
e siamo rimasti soli, al buio.

*

I ricordi

Ultimo rifugio di quando la ruga solca la fronte
respiro corto che annebbia i pensieri
lacrima che ha il sapore amaro della sconfitta
chiave di tutto
scrigno che custodisce la rabbia e il sorriso
il rimpianto
il dolore;
con i ricordi si scrive la storia
nelle schegge
nei frammenti
nelle briciole di pane
nella polvere di vetro
nella ribellione
nelle decisioni avventate
nei rifiuti
nei pentimenti
nelle fiamme che bruciano
l’adolescenza e ti fanno uomo
nella voglia di aggrapparsi alla vita
nella presunzione di sfidare la morte;
e per quel poco che ci è concesso
non c’è vergogna nel ricordare
di essere stati felici.

*

Il nostro tempo

Lo strappo,
la fenditura,
la ferita,
il danno;
stasera le nuvole sono basse,
ci leggono i pensieri,
ci mischiano le carte,
ci obbligano a vedere la tristezza che s’avvicina,
la delusione che esplode,
il sorriso che si allontana,
la mano che saluta chi va via
e la membrana che avvolge il cuore
che si apre come un sipario sul nulla.
Lo strappo non si ricucirà,
la fenditura non ci nasconderà più,
la ferita ci regalerà oscene urla di dolore e
il danno non lo pagherà mai nessuno;
è così che va
è così che deve andare
così ci hanno detto.

*

Ultimo fuoco

Parte da un unico pensiero
o dall’ultimo binario
che non ha meta, ma solo fermate;
noi siamo
pronti al passo successivo
quello dell’incertezza,
ci vuol coraggio
e non sto parlando d’amore;
eri abbronzata, bellissima
ma tra poco saresti andata via,
io sarei rimasto qui
al centro delle bandiere
degli ululati notturni
e delle gole strozzate dal pianto;
i segni che portiamo sul viso
serviranno a riconoscere
una stagione irripetibile
decontestualizzata,
cruda, cinica, ignara,
in linea con quest’epoca sorda,
lontana da ogni tentativo di rivolta,
inesplosa;
e allora i pezzi di corpo
sparsi tra i ricordi, di chi sono?
I baci, e gli umori del dopo
a quale conto vanno addebitati?
Forse al sogno?
O al coraggio?
Pensaci, intanto che
do fuoco all’ombra di me stesso

*

Mario Falcone (3)

Mario Falcone è nato a Messina, ha vissuto a Roma quarantadue anni, da qualche anno è tornato a vivere in Sicilia.

Romanzi pubblicati: L’alba nera – Fazi Editore 2008 – (pubblicato in Francia da Edition la Table Ronde) Long Seller, Un’amara verità -Atmosphere Libri 2013 – (romanzo vincitore del Grangiallo a Castelbrando 2013, Lo Chef degli Chef -Odoya Meridiano zero Editore 2018, Nero di Siena – Mario Ianieri Editore 2019, La licenza – Oakmond-Publishing 2020 Manuela – Giulio Perrone Editore 2022, La stella spezzata – Kalòs Editore novembre 2022. In ristampa a marzo del 2023. Piccole pietre – La Feluca Editore – Poesie – settembre 2023.

Scrittore e sceneggiatore, tra i suoi film scritti si ricorda: Padre Pio e Ferrari regia di Carlo Carlei con Sergio Castellitto e Pierfrancesco Favino; Rino Gaetano, regia di Marco Turco con Claudio Santamaria; La guerra è finita, regia di Lodovico Gasparini con Alessandro Gassmann, Barbora Bobulova e Beppe Fiorello. – Cuore serie Tv in 6 episodi, regia di Maurizio Zaccaro, con Giulio Scarpati, Anna Valle e Leo Gullotta.
Inoltre, ha avuto l’opportunità di lavorare insieme a Liliana Cavani, una regista famosa in tutto il mondo, per cui ha scritto tre film: De Gasperi l’uomo della speranza, Einstein e Francesco.
Per chi volesse saperne di più sulla sua professione di sceneggiatore:
https://www.imdb.com/name/nm0265982/

Annamaria Ferramosca

15 ottobre 2023 by

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Maria Lenti

Nota di lettura a:

Annamaria Ferramosca, Luoghi sospesi, nota di Elio Grasso, ed. puntoacapo 2023, pp. 102

Un inno alla terra con i suoi abitanti, tutti: animati e inanimati, animati del fiato della vita, inanimati ma vivi nel ciclo di cui sono e fanno parte. E, nel canto di Luoghi sospesi, ultima pubblicazione poetica di Annamaria Ferramosca, si snodano le interrogazioni, le domande sul vivere, sull’amore che fa agire le creature tutte (anche i fili di erba, i granelli di sabbia, le gocce del mare: “un’onda, un fiore, un’ala, una conchiglia”, p. 45), sul come non portarle a distruzione e alla morte, sulla necessità della loro conservazione, sul desiderio di una immortalità di questa aiola che pure ci vede feroci.

E, riprendendo i titoli delle sezioni del libro, in cui si fa teatro, si scruta di là dal vetro, si guarda fuori della finestra, ci si ritrova con un nulla d’amore. Eppure alla fine sarà come vincere. Se, naturalmente e nel profondo, lo avremo desiderato e voluto nel filo unito tra corpo e mente, mente e animo, persone e cose, se questi luoghi sospesi troveranno il loro stare e uno stare per avere il quale il genere consapevole avrà usato discernimento e, appunto, consapevolezza.

Questa dinamica poetica va ricercata, ma la cosa è ovvia almeno secondo la mia lettura trattandosi di scrittura e di poesia, in versi e in parole composte e ri-composte, scomposte e riprese, direi ri-compitate (“iniziofineiniziofineinizio”, “d-io”, “re-ale”, “dis-ordinata”, “dis-orientata”, “dis-turbata”, “r-esistere”: qualche esempio, talora al limite di una sperimentazione azzardata) quasi alla ricerca di significati più profondi, di estensioni semantiche, come ad afferrare un’essenza vitale ed esistenziale sfuggente o che chiede di essere chiarita per amore della sua intrinsecità, per il mistero di inizio e di fine che l’avvolge. (Leopardi docet: e Ferramosca lo richiama a p. 28).

Il libro, che ha vinto il Premio Voci Città di Roma 2021, si pone sulla linea dei precedenti che conosco (Ciclica, 2014; Per segni accesi, 2021), ampliando la voce interiore così come amplia l’orizzonte che la raccoglie e la proietta all’esterno per una durata oltre il presente e oltre il dicibile (“scrivo perché resti dell’umano / almeno un seme / minuscola meteora / graffito vagante nelle galassia / per un domani traccia chissà se traducibile / di homo – il nome deriva da humus / umile materia terrestre –”, p. 59): con una fiducia nella poesia giusto il suo etimo.

Questo moto-movimento è ravvisabile nel movimento stilistico calato anche nel corsivo, quasi il riflesso, un’eco, uno specchio cui affidare la risposta alle domande, alla memoria, alla ferialità, al proprio passato (quando i luoghi erano, per innocenza, sospesi: p. 46), alla relazione interumana (“sentiamoci in cerchio”, p. 79), al pensiero sconvolto dagli avvenimenti e portato alla chiarezza: per la vivenza e la continuità anche sua, del pensiero stesso.

Maria Lenti

vita o come
chiamarla con altro nome?
moto imperfetto che s’incarna
di bellezza e miseria?
per quale oscura ragione?
segreto senso senza direzione
fuori dal tempo?

il tempo sa come dissolvere i corpi
modificare il soma addensare
vocabolari coi nomi del paesaggio
il tempo vede l’armonioso concerto
tutto questo felice dispiegarsi di
fisica chimica biologia

ho letto cento libri di scienza della vita
oh natura quanta buona invidia
dei tuoi segni natura
ovunque protesa
verso arcani di bellezza natura
arca inspiegata

***

se fosse
pura coincidenza di parametri
a tendere
l’arco innocente della vicenda
solo un’aria giovane
profumo d’alga iniziale
turbolenza di fango
confuso ancora
tra humus di stelle e tufo di conchiglie

se fosse
amore solo un’eco parallela
armonia di due eliche abbracciate
a punteggiare
di luci-amplesso il mare
diffusa spuma di desiderio
su questo territorio selvatico di antenne
ubiqua voce
– ti ho vista, tu mi hai visto
il tuo ventre si inarca
e mi conosco padre
n questo coraggio largo dispiegato in vela
mio figlio sicuro deve adagiarsi
nel rito lento della discendenza
io pronto al mio scarno imprinting
io accanto a insegnargli
l’estrema dignità delle parole

***
fuori dalla finestra
dove si mostra il mondo
guardo in ginocchio ascolto

accade a volte
che irrompano (non le sentite?)
note di musica ineffabile
la stessa perfezione armonica
di un’onda un fiore un’ala una conchiglia

e riconosco e imparo
il duro limite della parola
gli scogli miei su cui s’infrange si ritrae
il grande mare euritmico
che pure mi lambisce

perchè non siamo quel bambino
che al ritmo si dondola felice?
essere solo puro movimento
un’onda dei suoi riccioli al vento
leggeri farci trascinare
verso indicibili
luoghi sospesi

questo il segreto senso della musica?
universale accordoincontro
mai urto solo morbido contatto
come dentro gli spazi caldi
della prenascita

***

forse è nel sentire il senso
sentire benevolenza salire dalla terra
sentire come largo l’amore scorre
come plasma corpomenteparola
come emoziona perfino l’acqua l’aria
come muove la pietra

sentire prossimità in ogni creatura
sentire il suo sfolgorio il suo declino
sentire tutta la mite materia terrestre
ogni volta rinascere mite

e tu sentirti il nativo
appena uscito dalla foresta
ne conservi il profumo
serrati gli occhi a fermare
all’orizzonte
tutto quell’oro che lampeggia

*

annamaria ferramoscaAnnamaria Ferramosca è biologa e autrice e divulgatrice di poesia. Ha pubblicato: Luoghi Sospesi (Puntoacapo 2023, nota di Elio Grasso), Per segni accesi (Ladolfi 2021, introd.ne di M.Grazia Calandrone), Andare per salti (Arcipelago Itaca 2017), Trittici-Il segno e la parola (DotcomPress 2016), Ciclica ( La Vita Felice 2014, pref.ne di Manuel Cohen), Other Signs, Other Circles – Selected Poems 1990-2009 (Chelsea Editions 2009, trad.ne di Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti), Curve di livello (Marsilio 2006, Paso Doble (Empiria 2006, coautrice A. Crowe Serrano), La Poesia Anima Mundi (Puntoacapo 2011), Porte/Doors (Edizioni del Leone 2002, pref.ne di Paolo Ruffilli), Il versante vero (Fermenti 1999, introd.ne di Plinio Perilli). E’ presente nelle antologie: Aria di casa, a cura di Donato Valli (Congedo 2005), Blanc de ta nuque I e II vol.(Le Voci della Luna 2011 e 2016), Poeti e Poetiche, a cura di Gianmario Lucini (CFR 2012), Il fiore della Poesia Italiana – I Contemporanei (Puntoacapo 2016), Fuochi Complici, a cura di Marco Ercolani (Il Leggio 2019), Anni di Poesia 1985-2019, a cura di Elio Grasso (Puntoacapo 2020), Sud I Poeti vol.13, monografico, a cura di Bonifacio Vincenzi (Macabor 2022). Ha al suo attivo collaborazioni e contributi creativi e critici con vari siti e riviste nazionali e internazionali di poesia. È stata ideatrice e per molti anni curatrice della rubrica Poesia Condivisa nel portale poesia2 punto0, da cui ha diffuso poesia di autori noti da tutto il mondo. Ambasciatrice di Poetry Sound Library (mappa sonora mondiale delle voci poetiche nel web) per Italia e Puglia, è curatrice di progetti sinestetici di poesia con musica, danza, pittura.  Più volte finalista e selezionata in premi per la poesia edita (Camaiore, Pagliarani, Pascoli, LericiPea, Montano, Europa in Versi, è vincitrice dei premi Guido Gozzano, Renato Giorgi, Astrolabio, Voci Città di Roma. Nel 2022 le viene assegnato il Premio alla Carriera “Paesaggio Interiore”. Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, spagnolo, greco, turco e arabo per riviste straniere e sono di recente pubblicazione il volume di poesie:Volver a escribir la vida per Abisinia Editorial, BuenosAires,2023 (trad.ne di Antonio Nazzaro) e la plaquette Va veni Oceanul per Editura Cosmopoli 2023 (trad.ne in romeno di Eliza Macadan). Website: www.annamariaferramosca.it

Maria Lenti scrittrice e poetessa website qui

Miro Gabriele

2 ottobre 2023 by
Miro Gabriele

photo Miro Gabriele

*

Inediti di Miro Gabriele

QUEL CHE NON È STATO

Per quel che non è stato
per come è luminoso il vuoto
per come è sorprendente il mondo
un filo sottilissimo ci stringe
(ormai spezzato già, dimenticato)
a questi pochi versi senza gloria.

*

VERSO IL DESERTO

Lungo lo schioccare delle bocce
(centimetri lentissimi di gioco
protratti con divina noia, smaterializzati)
sul rettangolo infinito
la notte scende con abiti di polvere
io e Marco a fondo nella piccola luce
sotto l’ulivo nel buio africano
scivoliamo immensi silenziosi
insieme ai ricordi ai minuti
che fuggono verso il deserto

da qualche parte oltre le montagne azzurre
dorme un dolore che non conosco
qualcuno ha trovato rifugio nel sogno
ancora una volta resto a vegliare
tranquillo, paziente
con queste prime stelle.

*

NOI

Il cuore alberga nei refoli più leggeri
negli anni sfilacciati come coriandoli, per aria
colori che si frantumano come nei sogni
che ognuno attraversa in solitudine
antiche scene ripercorse nella memoria
sempre differenti piene di sorprese
ognuno stringe un angolo che non conosce
perché l’immaginaria geometria
continua a muoversi in mondi sconosciuti, crea
spazi impensabili non appena ci voltiamo

il senso è un’infinità corsa, non avrà termine
finché dureranno luce e cuore e ombre
carezzevoli di assenti ancora con noi,
oltre quel margine dove non si vede
continueremo a parlare d’amore.

*

UNA FERMATA DEL TRAM

Irrimediabile malinconia
la città che non esiste più
e spinge il cuore ai margini,
una figura in rosso una piazza
abbandonata come tante altre
nel buio del ricordo,
un tram verde una fermata nel tempo
come salvarli da tutto quel vuoto?

e i volti, i volti scomparsi dietro i vetri
sussurrano ancora: eravamo qui
l’uno accanto all’altro senza sapere
nella tenera e perduta magia
di un giorno scivolato via
ci ritroviamo oltre la pena tutti
in un abbraccio che non finisce più.

*

MIRO GABRIELE vive a Roma. Ha pubblicato “Odi et amo” Ianua 1988, una traduzione di poesie di Catullo con prefazione di Luca Canali, e “Il Gaio Verso” Ianua 1992, antologia di autori latini. È stato inserito da Luca Canali in “I poeti della ginestra”, Lalli 1989. Ha vinto il premio internazionale Eugenio Montale nel 1992, ed è presente in “Sette poeti del premio Montale”, Scheiwiller 1993. Compare in “Vent’anni di poesia” 1982 – 2002, a cura di Maria Luisa Spaziani, Passigli 2002. Nel 2004 ha pubblicato il romanzo “La Vita Incerta”, Valter Casini Editore. E’ autore, con Anna Maria Giannetto, del testo di latino per i licei “Navigare”, Zanichelli 2006. E’ stato finalista del Premio Lorenzo Montano nel 2006 e 2008. Nel 2014 ha pubblicato “Le città antiche e altre poesie” GBE Editoria, con prefazione di Alessandro Fo, segnalato al premio Montano 2015. Nel 2019 è uscito “Dentro lo sguardo” Ensemble edizioni. Del 2022 è “Vertiginosa Erba” Ensemble edizioni.

Nicola Romano

24 settembre 2023 by

 

Il ramo e la foglia edizioni  

Dalla prefazione di Neria De Giovanni
Presidente Associazione Internazionale Critici Letterari

“La voce del poeta è per sempre. Del poeta vero. Scrive in una età e in un tempo determinato, ma sfida la precarietà della nostra stessa esistenza umana, rimane immobile e immortale nei testi che ha stilato. Il poeta vero.

Penso spesso a questo assunto, quasi assiomatico, leggendo i versi e meditando sulle parole di chi non è più, ma, come ebbe a scrivere il grande Machiavelli, diventa vero amico da incontrare nell’intimo del nostro spazio personale e privato.

Però raramente mi è capitato di leggere e commentare un’opera in versi di uno scrittore conosciuto attraverso le sue poesie, le sue lettere, qualche telefonata, la sua indubbia fama e iniziare a scrivere su di lui dopo che lui improvvisamente non c’è più.

Per una presentazione critica, che sia corretta nei confronti della grandezza di Nicola Romano, non si può però ancorare la lettura di questo Al centro della piena, alla sua improvvisa dipartita.

Invece bisognerebbe leggere la sua ultima silloge cercando di scampare alla suggestione emozionata proprio del fatto che sia una silloge destinata a rimanere inesorabilmente ultima.

[…]

 

La poesia di Al centro della piena è certamente frutto di un intellettuale che ama la sua terra siciliana, la descrive, la respira, ne trae ora aiuto ora sollievo; un intellettuale che non si nasconde dietro la realtà biografica dolorosa, quale quella della malattia, ma che utilizza la cultura e la stratificazione delle letture precedenti per fornire a sé stesso sufficiente e matura motivazione a continuare a esistere.

Tutta la silloge è invenata di un doppio percorso che trova crocicchi di connessioni, tra il sacro e il laico. Ci imbattiamo spesso in versi in cui la descrizione della condizione umana,

fragile e sofferta in cui si trova il poeta, pone una domanda sull’esistenza stessa del divino.”

[…]

                   

                   

OGGI LA MIA PREGHIERA

            

                         

Padre che sei già nostro

diventa un po’ più mio

rimani più da presso

stringi questa preghiera

ch’io possa penetrare

vampa e viluppo del tuo focolare:

in clemenza trattienimi

anche se fossi scarto di paranza

e nel gonfio mio petto

togli ogni scoria delle mie rovine

poi pungimi nel sangue

che scorre in tentazioni

e fa che sia d’Eterno

la mia fame

                             

 

                                  

CITTÀ MERCATO

                           

È un fatto rivoltante

l’ammonticchiarsi

di ore e di faccende

mai messe in conto

e poi di pieno impaccio

sugli sterrati dell’incerto andare

Come realtà inattese

s’addensano laddove

tutto s’ammonticchia nei carrelli

da cui ogni cosa fugge

dalle maglie slargate

e restano soltanto

scartocciamenti e ingombri

le noie e le oppressioni

nel giro strascicato

tra corsie rutilanti

e stordimenti fino a 100 giga

                            

                                  

                             

VIATICO

                  

Non farci caso

sono pelle franta

ogni innesto è tregenda

e ammolla nella mota

il mio bordone

               

                    

                  

TRACOTANZE

                    

Ho saputo di forni

tenuti sempre allegri

per avvampare

corpi già piegati

e piagati nella pelle

da offese e umiliazioni

e ho letto

di lame e tracotanze

di continuo affondate nella carne

delle donne da crescere

soltanto con i baci

e di varchi sereni

transitati da passi

macchiati da sferzate di follia

Ho sentito deserti minacciosi

e catene di bocche perse a mare

vicende belluine

che dai telegiornali della sera

sono scese nel piatto come fiele

Sarà per questo

la favola del lupo

                              

   

LUGLIO

 

              

Stagna l’estate

sulle secche gore

spossa il cammino

per l’immensa soma

e troppo lente

s’alzano parole

come di bolle

vagolanti e sole

Nei brulli intorni

ogni passo evolve

tra calori di marmi

e di ringhiere

e in fine gli occhi

invocano solvenze

nell’aria consumata delle sere

                       

                          

                              

SENSAZIONI
                         
Può darsi che io sia
torrente che
non gonfia fiumi e mari
o forse un misto
sciapo e sfilaccioso
come d’erba morella…
…e può darsi che io sia
una muta concrezione
su questo lembo
di sale e di zabbàre
o ammasso di frammenti
caduti da meteore infocate
e radenti
le immensità più nere
Sono di certo
molli sensazioni
strascico di pensieri
prove di smarrimento
quando passione urla
e tutto tace

 

 

Nicola Romano (Palermo, 1946-2022) è stato giornalista pubblicista e condirettore del periodico “insiemenell’arte”, ha collaborato a quotidiani e periodici con articoli d’interesse sociale e culturale. Con opere di poesia edite e inedite è risultato vincitore di diversi concorsi nazionali di poesia.

Ha pubblicato le raccolte poetiche: I faraglioni della mente (1983), Amori con la luna (1985), Tonfi (1986), Visibilità discreta (1989), Estremo niente (1992), Fescennino per Palermo (1993), Questioni d’anima (1995), Malva e Linosa (1996), Bagagli smarriti (2000), Tocchi e rintocchi (2003), Gobba a levante (2011), Voragini ed appigli (2016), Birilli (2016), D’un continuo trambusto (2018), Tra un niente e una menzogna (2020).

Alcuni suoi testi sono stati tradotti e pubblicati su riviste spagnole, irlandesi e romene  .

 

                         

Maria Benedetta Cerro

12 settembre 2023 by

  

Estratto da Il “veritare” della poetessa Maria Benedetta Cerro
Recensione di Domenico Pisana a “Prove per atto unico”, 5 agosto 2023

Piace di questo libro la dialettica tra interiorità ed esteriorità, che poggia su una circolarità ermeneutica tra visione, dolore e memoria, su una “ricerca dell’alterità” riscoperta come “abitazione” della Trascendenza dentro se stessi, come “casa dell’anima” ove prendere consapevolezza sia della predisposizione al bene, sia della certezza che nulla è certo e che spesso le certezze che si hanno non sono altro che un soffio di vento; i versi della poetessa sembrano quel luogo ove prende corpo, da vari sentieri, quella parola chiesta al pensiero come segno di cammino; ove rifulge ciò che l’esperienza le dona: l’affanno o la gioia dei giorni, il fervore della meditazione, la consapevolezza d’aver trovato la frase che promette e l’atmosfera che inventa ed evoca e definisce.

I versi di “Prove per atto unico” sono l’attimo della meditazione di Maria Benedetta Cerro sulla vita, scritta fra azione e riflessioni, allorché ella si cerca nelle pagine che legge, o si autentica in un irrequieto rapporto letterario; e così, la sua scrittura affiora da nuclei indicativi, s’arricchisce dell’etimo tonale e prosegue in una acquisita semantica riassuntiva ed esplorativa; e così, i concetti dialogano con le estetiche della sua impegnata costruzione versifìcatoria che scorre a un dialogo d’anima con morbido fraseggio ed essenziale grafia gnomica.

Dimmelo tu che devo fare.

Mi lascerò condurre

– corpo mimetico nel gregge

dei poveri smarriti –

Vita convenientemente soggiogata

che fissa l’occhio velato

al passo ammansito e alla lentezza.

Tutto è ridotto

a questo andare multiplo

verso inquietudini spianate.

Una forza crescente / smisurata

nel non sentire propria soltanto

la vita nulla e senza pace.

*

Il tempo. Il tempo si ricorderà dell’inciso

di ciascuna delle nostre vite.

Non se ne andrà

senza fare un nodo al filo che si tira dietro.

Ma neppure laverà col pianto

la soglia che avremo appena attraversato.

*

Rendimi esperta del sentire più profondamente.

Forzare la lama

perdere gli occhi / fino alla visione.

Dare un nome a tutto questo

Perché solo ciò che ha nome / esiste e vale.

Ha diritto alla nascita

ciò che è battezzato dalla lingua.

*

Fogli strappati malamente.

Vanno a pezzi parole senza invenzioni

e indecisioni

nell’atto di fissare un vuoto

o uno smarrimento.

Potrebbe chiunque attraversare

il crocevia di sfiorati incontri

Ma tu – fermati adesso –

riconoscimi (o fingi).

Con un nome chiamami – qualunque –

Sarò chi vuoi ch’io sia

e ne sarò convinta.

*

Vengo dallo scarto / sono il penultimo.

La morte incarnata

che ricorda la morte a chi l’ha dimenticata.

Non vedo uguaglianze

né differenze.

Le morti sono numeri in una sfera opaca.

Anche da lì

con tutti i segni matematici

compiono operazioni elementari.

I conti tornano sempre.

*

Gli occhi giustiziati / il corpo spianato

ma il sole che mi acceca amo nei tuoi occhi.

E tu sei vita povera e imparziale.

Tu ordini – vivi – e questa briciola ti basti.

Ad altri che pure non ti adorano l’eccesso riconosci.

Di alcuni ti scordi.

Poi dici – essi c’erano – Chi li ha uccisi?

*

Guarda – mi disse – è stampato a lettere cubitali.

E se non basta – evidenziato a sangue.

È tutto qui ciò che devi fare.

Istruisciti. E-segui.

Io vedevo una scrittura minuta

in mezzo alle righe un corsivo manoscritto.

Un lillà fiorito appena

e all’opposto il glicine fastoso.

Colori uguali con diversa lingua.

Mi parlava l’aprile sciagurato

e non la pagina piovuta sulle nostre vite analfabete.

Maria Benedetta Cerro è nata a Pontecorvo (1951) e risiede a Castrocielo – Frosinone

Ha pubblicato: Licenza di viaggio (Premio pubblicazione, Edizioni dei Dioscuri 1984); Ipotesi di vita (Premio pubblicazione “Carducci – Pietrasanta”, Lacaita 1987), nella terna dei finalisti al Premio Città di Penne; Nel sigillo della parola (Piovan 1991); Lettera a una pietra (Premio pubblicazione “Libero de Libero”, Confronto 1992); Il segno del gelo (Perosini 1997); Allegorie d’inverno (Manni 2003, nella terna dei finalisti al Premio Frascati “Antonio Seccareccia”); Regalità della luce (Sciascia 2009); La congiura degli opposti (LietoColle 2012), premio “Città di Arce”; Lo sguardo inverso (LietoColle 2018); La soglia e l’incontro (Edizioni Eva 2018); Prove per atto unico (Premio pubblicazione “Vincenzo Pistocchi” Macabor 2023).

Alessandro Moscè

5 settembre 2023 by

Il tempo e i luoghi della poesia di Alessandro Moscè sembrano continuamente sull’orlo di una scomparsa, come se fossero il sipario di ombre che orazianamente si muovono adombrando una scena emblematica e misteriosa.
Gianfranco Lauretano

Il discorso poetico di Moscè si dipana attraverso una fitta trama di incrinature portate sempre al limite dell’epifania: spiragli aperti all’immaginazione del lettore e misteriose incursioni in un mondo che può venire scandagliato in profondo soltanto da un allusivo, mai esibito, occhio interiore.
Alberto Bertoni

Un senso quasi continuo di perdita attraversa la lirica di Alessandro Moscè, ma l’originalità del poeta, la sua forza stilistica e mentale sta nell’esprimerlo in modi insieme asciutti e svagati, lasciando emergere dal fondo della vita immagini colte di sbieco, “come da una svista”.
Paolo Lagazzi

*

inediti

Mia madre e zia Mariella, anfore
scese in cantina ad arrotolare i materassi
per le camere da letto argentate
nei natali con le letterine nascoste
sotto i piatti di ceramica inglese.
Quando imbruna nonno Ernesto
rimane nel prato gelato del giardino,
torna nelle ore ammansite
fuori tempo da un marciapiede all’altro,
tra le altalene e l’ippocastano
con la grazia immacolata
nel pendio degli spiriti rivestiti dal paltò,
nella nebbia che fuma e non svapora.
Vorrei appoggiarmi alle sue spalle
in un girotondo ubriaco di felicità
finché l’alba non si tinge di pioggerella,
di un freddo che nessuno sente

*

Qui c’è aria di aldilà,
di più non so dire.
Qui sembra tutto finito
e se mi dicessero
che il vento è il mio fiato
ci crederei stringendomi a me
per l’ultima volta.
Invece domani mi sveglierò
alla solita ora
da questa morte provvisoria
che viene a parlarmi
di notte, quando si annoia.
E’ discreta, non mi chiede
di seguirla nel crepuscolo cinereo,
sa bene che si nasce e si muore
più volte senza scongiuri,
fino all’alba.
La morte entra ed esce da me,
mi acquieta, non ne ho paura

*

L’insegna del benzinaio spenta,
l’aria che si profila sopra le pompe automatiche
per noi familiari in processione
tra i palazzi ocra del rione,
camminatori da vivi e da morti,
riconosciuti nelle aperture dell’orizzonte
appena coperte dai cortili con le panche,
dalle luci basse e palpitanti
di un’ora stanca,
in una via traversa di Ancona,
trascinati in un aldilà di arazzi,
come fossimo nelle strade marchigiane
tra chi cambia l’olio e i filtri alle utilitarie
nelle stazioni di servizio fuori dal mondo

*

FONTI 2Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. Si occupa di letteratura italiana. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’odore dei vicoli (I Quaderni del Battello Ebbro, Porretta Terme, 2005), Stanze all’aperto (Moretti & Vitali, Bergamo, 2008), Hotel della notte (Aragno, Torino, 2013, Premio San Tommaso D’Aquino) e La vestaglia del padre (Aragno, Torino, 2019). E’ presente in varie antologie e riviste italiane e straniere. I suoi libri di poesia sono tradotti in Francia, Spagna, Romania, Stati Uniti, Argentina e Messico. Ha pubblicato il saggio narrato Il viaggiatore residente (Cattedrale, Ancona, 2009) e i romanzi Il talento della malattia (Avagliano, Roma, 2012), L’età bianca (Avagliano, Roma, 2016), Gli ultimi giorni di Anita Ekberg (Melville, Siena, 2018, finalista al Premio Flaiano) e Le case dai tetti rossi (Fandango, Roma 2022, Premio Prata). Ha dato alle stampe l’antologia di poeti italiani contemporanei Lirici e visionari (Il lavoro editoriale, Ancona, 2003); i libri di saggi critici Luoghi del Novecento (Marsilio, Venezia, 2004), Tra due secoli (Neftasia, Pesaro, 2007), Galleria del millennio (Raffaelli, Rimini, 2016), l’antologia di poeti italiani del secondo Novecento The new italian poetry (Gradiva, New York, 2006) e la biografia Alberto BevilacquaMaterna parola (Il Rio, Mantova, 2020). Ha ideato il periodico di arte e letteratura “Prospettiva” e scrive sul quotidiano “Il Foglio”. Ha diretto il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”. Il suo sito personale è www.alessandromosce.com.

Narda Fattori sulla poesia di Luciana Riommi

1 settembre 2023 by

Luciana Riommi

Paolo Pistoletti: “Al di qua di noi”

10 luglio 2023 by

dalla prefazione di Fabio Franzin:

[…] … in Paolo c’è la voglia, e il dolore, di far affiorare le sue parole dalle esperienze concrete, vissute nella propria carne, piuttosto che, da pur profonde, ma sempre algide e insufficienti, letture, per trasferire sulla carta una poesia che parli dell’umano all’umano.

[…] La raccolta è, apparentemente, scritta in una lingua piana, o appena saliscesa come le sue colline La scrittura di Pistoletti non cerca di accalappiare il lettore con giochi di parole o versi ad effetto però è disseminata di invenzioni linguistiche notevoli (cui qui se n’è riportato solo qualche accenno), e di un mood, di un basso continuo che tiene la voce, trepida e quasi tremante, dentro l’aria di un inverno dell’anima, fra boschi e rotaie, neve e ze memorie e mancanze.  (Fabio Franzin)

Al di qua di noi

Al di qua di noi – Paolo Pistoletti – Arcipelagoitaca ed. 2023

alcuni testi scelti

[da dietro al sole]

Rami che fanno i rami, foglie
le foglie.
Negli spazi rimasti dentro
come bambini
che ci vegliano dall’altro capo del sonno
che ci fanno ridere il sole
di qua dai disegni.
Di chi come te
non se la prende più, di chi come te
non hai più lacrime.
Adesso che in nessun posto sei
porta
i fiumi i prati negli occhi, la terra
porta della morte
il cielo della vita, l’aria porta
della nostra
casa da sogno.

*

[dalla terza croce]

Dal tuo ritratto
ti sei
fino all’ombra.
Come ogni albero sogna
altri alberi
dall’altra parte del mondo.
Ricordati di chi quando sarai
continuaci da dietro la terra
la paglia la pietra
la nostra casa una casa sempre più grande
in fondo agli occhi
di noi bambini dove ci nasconde la nostra
stanza di qua
come una vita immensa. Dal bianco del tuo già
ma non ancora, ricordati di chi
sta da qui
dentro questa
strana presenza, che noi
ti siamo.

*

Ho comprato un campo con mio fratello non so
quanti anni fa.
Un campo a metà si diceva
che lo facevamo per i nostri figli
ma va’ a capire se stanno così le cose.
Un campo più in alto
delle nostre case
ecco guarda i tetti.
Quanti metri fa
un ettaro è impressionante
certo almeno questo adesso
è più chiaro da quassù.
Tanto che se fai diecimila passi
tutto intorno credo quasi
che ci sei. Ecco io credo
acqua fuocherello fuoco così tanto
che quasi ci sei.
Ho comprato un campo ma quanto
tempo fa non so
se ci sei. Un campo a metà
quanto fa un ettaro diviso due.
Cinquemila passi in meno
che io credo se tu tanto
non ci sei. Da di qua
di questa terra ho comprato un campo
che non so. Nel mentre
avrei voluto piantare qui
la nostra tenda tu
che continuerai
a trovare strano che non c’è
dimora. Nessun fondo
nel per sempre mai. Ma solo
un campo d’erba che ti sfiora
e non ti sfiora mentre ci sei
e non ci sei.

*

___________________   davvero con mio padre

Dai nostri maglioni portati
come allora davvero da lì
come un tempo dalle spalle
fino a dentro che io mi ricordo di noi due
in auto
le quattro stagioni di Vivaldi
ma di più l’inverno in fondo
a quell’anno che tu sei
al volante.

L’autovox che ci faceva girare
il nastro del concerto
il nostro essere eseguito
nell’esserci del 1980.
All’interno già tutto
intorno alle fiancate
a imperversare come gettati lì
dal sempre.

Come in un punto da quella parte
per orchestra dopo
il quartetto in fa minore
la luce che proviene dallo schermo della radio insieme
al suono. Dal buio dei legni
a ogni strumento dagli alberi
ma agli archi di più
all’orecchio che tendevamo

sempre più fino
dentro la macchia fatta così a cassa armonica
di pino del nord. Colla nostra
fiat 131 diesel che vibrava
dentro fuori dalle portiere
toccando certe corde
un andarsene larghissimo
come la neve con quell’aria
che ti ricomponevi
una volta uscito dal nostro abitacolo.

Non ancora gelo ma quasi gelo
ma quasi notte già in pieno
solstizio. Poi per il resto non lo so.
Non capivamo nulla dei dettagli certo
comunque un altro io si sentiva
che era la sua tonalità che anche se
in chiave diversa tutto era stato
accordato già.

Una scala di note come corvi neri via dai rami
sullo sfondo bianco un pentagramma quasi vuoto.
Quante crome in volo dal basso
di clavicembalo all’assolo.
Ma non si pensava ci fosse rimasto
così poco per chi
come te
dicembre era
un brano in crescendo, la partitura dopo
la requie, il tuo movimento
fino al finale del bosco in piedi.
Qualcosa, come un ultimo applauso.

*

Inseguire il grande sogno della nostra casa
dalla nostra vecchia casa
ogni sera.
Abitare a ridosso della stazione da una vita
da una vita. In fondo al sonno profondo
della pietra del ferro del legno
della ghiaia, dall’appartamento fino all’officina.

Come due volte ombre
rivedere
mio nonno capostazione
con mio padre ferroviere con mio nonno
che un tempo ci passava a trovare.
Si può viaggiare anche così
lui sembrava dire, lui sembrava dire.

Dal di qua
del dormire come quasi morire, dal dimenticare
dal destarsi al ricordare
dal modo come rientrare
prima di uscire ancora
dalle proprie mura.
Per poi ricominciare.

*

Dentro ogni treno che parte un altro treno
ci ha fatto restare
un sogno la vita.

Dentro un altro diretto
da quale regia
in cabina da dietro
il dormiveglia. Un tempo che si fa spazio
in testa circolo
occhio artico dal centro
di Hannover. A fare da schermo
a un retroscena. Dalla fine
dei maglioni e dei jeans
come andavano allora.
Dal fondo dell’inverno
tra noi e noi.
In ogni fotogramma
ripercorsi da ogni io

come in un lungo lentissimo metraggio.
Ogni volta riavvolti
in trama noi. Una carrozza
tutta finestre e corpi sui vetri
così sottili da ritornarci indietro
sempre da qui
dal didentro dappertutto

siamo qua
un riflesso
fissi dentro uno sguardo
che ci guardava
come gli angeli nei film.
Siamo qua che si vedeva e non si vedeva
il cielo sopra Berlino
senza un riparo
dalle nostre fattezze che non siamo, ovunque, mai.

*

Paolo  Pistoletti

Paolo Pistoletti lavora nella biblioteca comunale di Umbertide. Terminati gli studi in Giurisprudenza e in Teologia ha continuato ad approfondire i contenuti di alcune correnti spirituali d’oriente e d’occidente, ampliando, allo stesso tempo, la sua ricerca poetica. Nel corso degli ultimi anni suoi contributi, sulla poesia e la parola, sono stati pubblicati da Fara Editore e dalle Edizioni CFR. É stato condirettore della collana di scrittura, musica e immagine “La pupilla di Baudelaire” della casa editrice Le loup des steppes. In poesia ha pubblicato Legni (Ladolfi Editore, 2014 – Premio “Oreste Pelagatti” 2015), il libro d’arte Borgo San Giovanni (Fiori di Torchio, Seregn de la memoria, 2018). Al di qua di noi (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) è la sua ultima raccolta.

Gabriele Greco

1 luglio 2023 by

   

Bruciaglie è una raccolta costituita di sessanta poesie inedite scritte durante l’arco di quest’ultimo decennio tra Firenze, città d’origine e di formazione dell’autore e Örnsköldsvik, cittadina svedese nella quale egli vive e lavora da otto anni. La raccolta si apre con una riflessione metapoetica sul senso e sulla necessità dello scrivere speculari al mistero della poesia stessa e dei suoi simboli. Su questo tema cardine, s’innestano poi, rivisitati e reinterpretati, alcuni classici tópoi della poesia, quali ad esempio: la meditazione sul senso della vita, sul dolore del vivere, sul tempo, sulla memoria e sulla morte; ed altri temi chiave quali: la rinascita, la partenza, il ritorno, il viaggio, la paternità, l’infanzia e le stagioni. Alcune delle immagini ricorrenti sono spesso soltanto lievemente accennate da un tenue e acquerellato cromatismo: il biancore delle nevi e dei ghiacci dei lunghi inverni svedesi, le afose e solitarie estati fiorentine, le domeniche azzurre di mare, fino ai contrasti più accesi tra il buio e la luce, tra un io poetico dissolto e un tu muto e distante, o tra il quotidiano rarefatto esistere e l’anelito d’infinito e di bellezza.  Due ulteriori nuclei tematici significativi della raccolta sono infine quello relativo alla sfera dell’amore, della sensualità, del mistero e del sogno in stretto dialogo, e talora intercambiandosi e quasi confondendosi fra loro, con il nucleo complementare relativoalla sfera del disamore, della perdita, dell’abbandono, della  a, dell’inganno, dello sradicamento e dell’oblio.
Il linguaggio di Bruciaglie è teso alla ricerca di un’essenzialità estrema. Il dettato è stilisticamente scabro, diafano, talvolta quasi arido, vòlto a mostrare i nervi e l’ossaturadel corpo della poesia.

                                 

                  

Andai nei boschi
ma non trovai niente.

Gli alberi avevano
perso ogni colore,
tutt’intorno soltanto
sterpame.

Non ne avevo bisogno.

A casa chiusi gli occhi.

E rividi me stesso
per le strade di Vienna
di schiena
nella cornice
di un antico specchio
mentre cercavo di afferrare
il palpito di quella vita:
oltre portoni semichiusi,
dietro barlumi di finestre celate.

Tutto sembrava sigillato.

Alcuni lembi dilavati
rimasero custoditi in me
e divennero poi semi di vita.

E ancora mi nutro
di quell’odore cinerino
che sa di pianto e di perdita.

                      
                  
                  

Luce obliqua d’inverno,
come chiesa di gesso ti attraverso tutta,
verso un antico e perduto dolore
del tempo. E senza tempo, immobile,
nel tuo abbraccio di polvere e di madre,
mi arrendo.

                               

                  

La terra silenziosa attende.
E questa sera immacolata
sarà un sospiro soltanto.
Le tue mani
lentamente si apriranno
e lungo il tuo corpo
nasceranno stelle.

                               

                  

L’estate è sospesa,
aggrappata alla sera.
Tutto è materno e docile,
come queste mie nuvole
di silenzio.

                               

                  

Non importa
se il tuo cuore abbia
taciuto
o si sia voltato
dalla parte sbagliata,
sognando lune
da afferrare
o stelline di carta
da desiderare.

È l’amore forse che vince.

Addosso
hai una croce
senza chiodi

perciò sei libera.

                               

                  

Gabriele Greco nasce nel 1978 a Fucecchio (Firenze).

Dopo il diploma di maturità classica, pubblica le sue prime raccolte di poesie: Lieve, stelle in processione (Titivillus edizioni, 1998) e Petali notturni (Titivillus edizioni, 1999). Frequenta la Facoltà di Lettere presso l’Università degli Studi di Firenze, laureandosi in Teoria e Critica della Letteratura con una tesi sul poeta e pittore francese Henri Michaux. Dal 2015 vive in Svezia, a Örnsköldsvik, dove insegna italiano, francese, spagnolo e arti visive in un liceo. Nel 2020 pubblica alcuni inediti in Affluenti. Nuova poesia fiorentina. Vol. 2 (Ensemble).

Nel settembre 2022 è finalista con la poesia inedita Cardeto al Concorso Se vuoi la pace prepara la pace indetto dall’Università per la Pace, dalla Regione Marche e dal Museo Tattile Statale Omero di Ancona e a Spoleto, riceve il Premio Internazionale Menotti Art Festival per la Letteratura 2022. Nel dicembre 2022 una sua poesia inedita, Labirinti perpetui, è selezionata e pubblicata nell’Agenda poetica 2023 (Ensemble). A Firenze, nel marzo 2023, la sua ultima raccolta di poesie Bruciaglie (peQuod, 2022) ottiene la Menzione Speciale al Premio internazionale di Narrativa e Poesia “Litterae Florentinae” (Sezione poesia edita). Nel mese di aprile è a Lugano (Svizzera) dove partecipa ad una lettura di poesie insieme a numerosi poeti svizzeri, italiani ed europei, in occasione della mostra Sentinella a che punto è la notte? A Imola, nel mese di maggio, Bruciaglie riceve la Menzione d’Onore nella sezione poesia edita al Premio Nazionale di Poesia e Narrativa Alda Merini (8° Edizione) e a Grosseto, partecipa al Festival della Poesia Terra di mare, organizzato dal poeta David La Mantia. Alcune sue poesie sono state pubblicate e recensite su diverse riviste letterarie italiane ed estere.

Sara Ferraglia

25 giugno 2023 by

GIULIANO LADOLFI EDITORE SRL
CORSO ROMA, 168 – 28021 BORGOMANERO (NO)

La raccolta di poesie di Sara Ferraglia è ricca di tematiche, la cui ispirazione germinada un identico magmatico mondo di sentimenti e di affetti. La varietà, pertanto, va interpretata come apertura alla realtà multiforme e variabile con la quale l’essere umano si trova a relazionarsi quotidianamente.
Il rapporto sottostante non è quello dello studioso e neppure del cronista, ma è frutto di una personale “simpatia” (secondo il significato greco del termine “provare sentimentoinsieme”, sumpßscw), cioè di una capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona per mezzo di un’intesa partecipazione emotiva.

E vennero i muri

E se potessero innalzerebbero
muri anche in mare,
fatti di onde immense e respingenti
che non puoi scavalcare.
E se potessero costruirebbero
muri anche in cielo,
muri di nuvole finte,
dure e compatte che non puoi bucare.
E arcobaleni d’acciaio
come lame colorate e taglienti.
Muri ovunque, muri d’occidente,
per lasciare fuori chi non conta niente.

I bambini di carta

Sono bambini di carta.
Scorrono lentamente
fra carcasse di fango
galleggiando leggeri,
trasportati dalla corrente.
Di solito sono bambini neri.
Bambini di carta
più volte ripiegati
come a farne un cappello
o una barchetta.
Sagome ritagliate
con violenza guerriera
su carte insanguinate.
Inermi soldati
rispondono all’appello
di forbici che li han creati.
Sono bambini di carta.
Negli occhi hanno parole
scritte ad inchiostro trasparente
ed in bocca silenzi.
Sono così leggeri, a volte,
da volar via
anche se non c’è vento.

Rotta balcanica

Ti prego, madre… ferma le tue doglie,
trattieni in corpo ancora il tuo dolore.
Siamo al confine, solo poche ore,
saremo oltre quel muro che ci toglie
ogni diritto e che il mio nome nega.
Madre, ti prego… tieni in gola il grido,
siamo noi due, solo a te mi affido,
per quel cordone caldo che ci lega.
Ci cercano nel bosco con i cani,
squadre di umani in disumana caccia
che sul tuo corpo hanno lasciato traccia.
Resisti, madre… reggi con le mani
il ventre ed anche me, fino al confine.
La luce verde che nel buio appare
ci dà speranza ancora di arrivare
dove sarà un inizio, non la fine.
E tu mi parlerai nel nuovo viaggio,
del nome che mi hai dato questa notte,
di quando abbiam percorso mille rotte.
Io ti ringrazierò del tuo coraggio.

Il Presepe dal mare

S’infrangono sul molo come onda
brandelli di stanchezza e di speranza.
Già diafana è la luna e l’alba avanza,
illuminando ombre sulla sponda.
Siete approdati qui, occhi stranieri,
che v’insinuate oltre il mio orizzonte,
nei solchi delle rughe sulla fronte
celando il mare mosso dei pensieri.
S’accende una lampara fra i marosi,
stella cometa per viandanti persi
traccia che unisce mille e più universi,
luce che parla a volti silenziosi.
Parole ignote su labbra di sale
or sfumano nel grido dei gabbiani.
Sorride un bimbo a un battito di mani
ed è un messaggio dolce e universale.
Sei giunta fino a me, anima in viaggio,
attraversando la tua oscura notte.
Uomini uguali sulle stesse rotte,
orme noi siamo in strade di passaggio.

(Lampedusa, uno sbarco a Natale)

Non fatelo in mio nome

Mai stata prima d’ora così fiera
di non aver religione né bandiera.
Voi che baciate croci e nominate santi
poi vi contate, felici di esser tanti
qui sulla terraferma, sazi e forti
e in fondo al mare gli altri, tutti morti.
Voi, sentinelle in piedi, senza velo
pregate il vostro padre che è nel cielo
poi preti e suore dalle lunghe vesti
s’indignano col Papa degli onesti.
Con gli occhi al cielo al vostro Dio chiedete
di darvi il marchio, che i migliori siete.
Lui vi accontenterà, ne sono certa,
facendo intorno a voi terra deserta.
Ci vorrà tempo e forse anche dolore.
Scorrerà sangue, non dal vostro cuore
che è duro come l’oro che indossate
quando all’altare voi vi inginocchiate.
Pregate dunque contro “l’invasione”
ma non per me. Non fatelo in mio nome.

Sara Ferraglia è nata in provincia di Parma e vive in questa città da molto tempo.
È stata finalista e vincitrice in numerosi premi nazionali, fra cui:
– 1° premio nella VI edizione del Premio” Lampi di poesia”, Monginevro cultura (TO) – 1° premio “Insigne borgo Sala Roderari” (AL);
– più volte vincitrice nelle varie edizione del Premio “Giovanni Pascoli. L’ora di Barga” (LU); – più volte vincitrice nelle varie edizioni del Premio “La couleur d’un poeme” (MI); – 2° premio nella VII edizione del Premio “Giovanni Bertacchi”, (TO); – Premio speciale della giuria nella 28^ edizione del Premio “Ossi di seppia” (SV).
Sue opere sono presenti in diverse antologie poetiche e blog letterari e sono raccolte nel blog personale Sarapoesia.blogspot.com
Molte sue poesie sono state inserite in vari spettacoli teatrali, letture poetiche e mostremultimediali.
Voglio una danza è la sua prima pubblicazione.

Carlo Focarelli

6 giugno 2023 by

 

Dall’aldilà- Poesie di guerra
prefazione di Ivan Fedeli – Puntoacapo Editrice, 2023


                                

Nota di lettura di Annamaria Ferramosca  

Carlo Focarelli, autore di questo libro aperto sulle problematiche dell’attualità, oltre che sui  dubbi esistenziali comuni oggi a molti scriventi poesia, offre già in apertura della sua originale raccolta la visione di un’umanità disorientata, alla ricerca strenua di senso.

Ogni testo attraversa una interiorità tormentata e insieme questa nostra realtà con le sue numerose derive fluttuanti e l’indifferenza interrelazionale giunta oggi al diapason.

Lo scavo riguarda tutto il reale quotidiano, in miriadi di oggetti ed esseri  annotati quasi in un elenco omogeneizzato che pone ogni entità allo stesso livello, e volutamente anche il parlante, di cui non si discerne l’identità, che appare alternativamente dell’autore, o di un osservatore estraneo, o di un tu, a volte amico, a volte giudicante.

E gli accorpamenti di parole e frasi che campeggiano al centro delle pagine con la loro forte presenza, caotica e ansiosa, interrogante o assertiva, appaiono come rulli verbali che sollecitano una risposta limpida e urgente da chi ascolta. Trovo questa una forma originale di linguaggio che, pur rischiando consapevolmente l’impoeticità, sembra porsi un fine che oltrepassa la convenzionale necessità di forme codificate, ed è quello dello scavo autentico nel fondo della realtà oscura che oggi viviamo, nell’incerto della lunga notte.

Si procede per disvelamenti e contemporaneamente l’identità si palesa anche nell’io che affannosamente cerca amore, ma come sempre accade, esso sfugge, si spezza, pone difficoltà, metafora evidente di ogni relazione tra gli umani, oggi così evanescente, così trascurata.

Lo scavo continua insistendo nella disperata ricerca per angoli, zone d’ombra, sulla soglia di sogni e visioni, immergendosi pure nella dimensione dell’oltre, dove si sfiora  la percezione dell’inesistenza e l’autore diviene quasi entità sciamanica, come luminosamente percepisce il poeta Ivan Fedeli nella sua prefazione.

la mente sfuma il solido nell’aeriforme

e tu ci vivi sopra, ci veleggi

proprio come se non fossi                    pag.20

 

Si arriva così alla senzazione di essere giunti alla verità-chiave, dove si apre quella eterna spirale in cui la nostra vita è coinvolta.  E chi legge segue di certo incuriosito queste gimcane interroganti in ogni territorio esplorato, questa ricerca indomita di significato del vivere e del morire, che sempre si rivela in nonsense. Ma l’autore continua ancora a cercare senso sui territori dell’amore, che sono sempre quelli più limpidi e veri, perchè fatti di pure emozioni, dove bellissima appare la rivelazione – per via amorosa – di riconoscere in sé l’eterno uomo in errore. Così il significato della comunicazione con la donna si fa fuoco simbolico e metafora di ogni altra relazione, che, se autentica, dovrebbe guidare il cammino dell’uomo verso la luce.

la intuisci nel suo segreto

che vola, vuoi estrarla e lei

ti fa sentire la tua assenza,

carpirla abbracciarla preso

ti rovesci sul suo candore

e ti aggiri come un errore.            pag.36

Ma l’amore non basta, altre rivelazioni irrompono dall’urto con la vita. Si riconosce la corsa cieca del tempo, si accoglie l’effimero che siamo, nelle insistenti immagini di ceneri e macerie.E ritornano le scene della superficialità oggi dilagante, che erompe dalla routine dei telegiornali, dalle notizie scure e assurde della guerra, che pure, nel darsi, si piegano al dazio della tassa pubblicitaria, obbligatoria in questo nostro mondo dominato dal profitto e dell’indifferenza.

Improvvisamente il tono deflagra sul terreno di questo bellicismo protratto all’infinito, con una personale presa di posizione e un fiero contrasto esplicitato. Soprattutto è viva la denuncia dell’affievolirsi del sostegno alla libertà di coloro che preferirebbero solo mantenere il proprio benessere .e quieto vivere.

Nella successiva sezione l’analisi feroce delle storture umane prosegue fino alla decisione dell’autore di farsi assoluto visionario, quasi asceta che limpidamente prende le distanze da una inaccettabile realtà

ho collocato da parte

la materia di ogni vivente

e le sue tracce, ho astratto

quel me che ora sta dicendo

di astrarsi e ho finalmente

svuotato me stesso da me         pag.63

per giungere, dopo un’analisi di ogni imbelle comportamento umano volto alla mera conservazione di privilegi e consuetudini, a distanziarsi intellettualmente non solo dai codardi, ma perfino da se stesso,dichiarandosi poeta  in guerra con la sua amara poesia e pure dagli stessi lettori, comunque la pensino nei suoi confronti.  La denuncia dilata anche a tutte le cerchie e potentati vari del mondo letterario che vorrebbero inglobare ogni scrivente ribelle, ogni resistente.

Una scrittura dunque che, come lo stesso autore dichiara nelle sue annotazioni finali, non vuole ergersi a scrittura poetica, ma decide di configurarsi come stimolo all’uomo dell’oggi a riflettere sulla urgente necessità di assumere la responsabilità individuale e sociale dei propri comportamenti.

Auguro vivamente all’autore che il nobile scopo possa essere raggiunto, sempre e solo attraverso la parola, l’unica che salva dalla barbarie..

Annamari Ferramosca
Roma, 18 maggio 2023

                                     
                                 
                                         

Carlo Focarelli è professore ordinario di Diritto internazionale nell’Università Roma Tre. Di poesia ha pubblicato La trama metafisica (Il ventaglio, 1991), vincitrice del Premio “Calliope” 1989 per la silloge inedita di poesia e recensita nel 1992 in «La pagina letteraria» di Radio Rai 2; Assenza (2019), vincitrice del Premio “Tra Secchia e Panaro” 2019, 1° Premio assoluto al Concorso “Ambiart” 2019, Premio speciale al Concorso letterario “Parole e Poesia” 2019, Menzione speciale dell’inedito al Premio internazionale “Mario Luzi” 2018. Del 2022 è la raccolta Un segno. La terra sotto le scarpe (puntoacapo), finalista al Premio “Certamen Apollinare Poeticum” 2022. Nel 2023 ha pubblicato Dall’aldilà. Poesia di guerra (puntoacapo), che ha presentato alla XIX ed. del Salone internazionale del libro di Torino.

Loriana d’Ari, inediti

24 Maggio 2023 by

On Waking Dreams 2006 S. Burnstine

Photo Susan Burnstine On Waking Dreams 2006

Inediti di Loriana d’Ari

non sono lievi i voli arresi a dissolversi
inoltrano il bianco dell’alba nel colmo
di luce, nell’amplesso dei morti
a venire, musica di cortili a ricreazione
di qua dal nome che dice
possesso che dice appropriazione
l’attrito a stento percepito di antenne
piumose e ali di velluto. trattengo il fiato
per le creature affacciate alla soglia
di quel che nasce, che sbroglia la sua
rete a fili torti e maglie larghe.
una crisalide di frulli di falene sgrana
da un buio trasparente sottopelle
la nudità di tutto quello che disperde

*

La donna stambecco

la s’indovina di notte dal biancore
della schiena, quasi un’altra concrezione
calcarea o formazione lattescente.
ma trascorre oscuramente nella coltre che
s’allenta e cede quando inarca
la fionda dei tendini ed è nuda la donna
stambecco ora spicca non resta che la scia
dei cristalli  di salgemma  e come brilla
_____ lassù in alto il precipizio

*

2_run_burnstine

Photo Susan Burnstine

.

Le altalene

ognuno ritorna a sera, novembre d’umida carezza
nei rintocchi all’ora di cena.
rincasano gli ultimi, mentre curo la posa dei passi lungo
la scia di foglie cadute, un giallo ocra
che dilava all’avorio della luna.
proprio qui, solo ieri, correvano i bambini.
delle altalene gemelle l’una sembra immobile da sempre
l’altra oscilla, come un pendolo, addolcisce
solo il cigolio, e continua
dondolando
_______senza suono

*

dondola e cede la creatura viva
le tenere ginocchia a questa ghiaia
e brucia il suo fiato minuscolo finché
dischiusa la ferita i lembi tengono
la forma, pelle ____occhi naso bocca e
sanguina, e dondola e dondola e cede
ch’è mai stata sterminata ma densa
in un’ansa di nebbia un’aria spessa
ch’è fatta per le branchie e quando
scalcia rompe l’aria e comincia
ed è l’ora che respira ed è l’ora
che ritorna

*

ritorna l’ora, per quelli emersi.
chiedo degli altri, del loro sonno
invincibile a farci da sfondo, o
resinoso sognarci in forma d’acero
o di metallo scaldato nel palmo.
se non sia vita l’altalena che ci tiene
in bilico tra i mondi, ciondolando
se non sia riassorbito anche il battito
quando frantuma e condensa sul fondo
di questa coalescenza residuale che
non smette di pulsare in ogni altrove

*

Loriana d’Ari vive a Genova, dove lavora come psicoterapeuta. Ha pubblicato su diverse riviste e blog letterari e ricevuto riconoscimenti in occasione di vari concorsi, tra cui il premio Gozzano, Bologna in Lettere, Poesia di Strada. La sua silloge d’esordio, silenzio soglia d’acqua (arcipelago itaca ed. 2021)  è risultata vincitrice del VI premio Arcipelago Itaca per la raccolta inedita di versi (opera prima), ed è stata anche segnalata al premio “Lorenzo Montano.

Riccardo Renzi > Novalis

20 Maggio 2023 by

Novalis: la poesia che generò il romanticismo tedesco

Novalis, alla nascita Georg Philip Fredrich von Hardenber barone di von Hardenberg[1], fu colui che più di ogni altro autore romantico dettò un prima e un dopo all’interno del movimento letterario. Nacque nel 1972, secondo degli undici figli di Auguste Bernhardine Freifrau von Hardenberg, nata von Bölzig, (1749-1818) e Heinrich Ulrich Erasmus Freiherr von Hardenberg (1738-1814). Dopo aver frequentato il ginnasio luterano a Eisleben, si iscrisse nel 1790, come studente di giurisprudenza, all’Università di Jena. Lì il suo vecchio tutore personale Carl Christian Erhard Schmid (1762-1812)[2], che nel frattempo era divenuto professore di filosofia e uno dei maggiori rappresentanti del kantismo a Jena, lo presentò a Friedrich Schiller[3]. Tale conoscenza permeò profondamente il giovane poeta, infatti risulta impossibile comprendere a fondo la poetica di Novalis senza conoscere la filosofia di Schiller, che a sua volta è permeata da quella di Johann Gottlieb Fichte[4].

Se volessimo tener il senso proprio, quello ficcante, filosofico e teologico, e non meramente letterario del termine “romanticismo”[5], dovremmo sostenere per onestà intellettuale che esiste un unico romanticismo: Novalis. L’unico vero testo romantico, intriso in ogni sua sillaba di tutta la filosofia del romanticismo, sono gli Inni alla notte[6]. Si può sostenere fermamente che Novalis sia l’unico autore romantico per un semplicissimo motivo, in lui i motivi teorici della Romantik nascono, si sviluppato e raggiungono l’apax di tutto il movimento. Il romanticismo, senza troppa audacia, possiamo sostenere che nasca e muoia con Novalis. Tutta la poetica di Novalis si basa sull’opera la Dottrina della scienza di Fichte, che gli fu introdotta dall’amico Schiller. Il romanticismo è per prima cosa una questione di magia e la prima formula magica è quella costituita dall’io fichtiano. Il primo mago del movimento fu proprio Fichte, l’anima di Jena, che il poeta studiò e commentò a più riprese. Tale lato magico in Novalis si mischia ad un profondo cristianesimo protestante imbevuto di misticismo.

Passo dall’altra parte

ed ogni pena

diventa un pugno

di voluttà

Ancora un poco

e sarò libero

giacerò ebbro

in grembo all’amore.

Vita infinita

fluttua in me potente,

dall’alto guardo

laggiù verso di te.

Su quel tumulo

Il tuo fulgore si spegne

un’ombra reca

la fresca corona.

Oh suggimi, amato,

con forza in te,

ché assopirmi possa

ed amare.

Sento della morte

il flutto giovanile,

il balsamo ed etere

trasmuta il mio sangue

vivo di giorno

con fede e fervore,

di notte muoio

nel sacro ardore[7].

La poesia di Novalis si caratterizza per una miscela sempre volta al vitalismo di vita e morte, nella quale funge da elemento di equilibrio, quasi come la bilancia della giustizia, l’amore. Quest’ultimo è l’elemento basilare della concezione vitalistica del creato.

Ti vedo in mille immagini,

Maria, amabilmente figurata,

ma nessuna può rappresentarti

quale la mia anima ti ha veduta.

So solo che il tumulo del mondo

da allora mi è svanito come un sogno,

e un cielo d’indicibile dolcezza

mi sarà nell’animo per sempre[8].

Ecco il misticismo della poetica di Novalis si mischia con un profondo credo cristiano.

Le fonti dell’immaginario novalisiano possono essere rintracciate in numerose tradizioni letterarie e religiose: si va dalle opere dei mistici tedeschi, tra tutti Meister Eckhart e Jakob Bohme, alla lirica romantica e cimiteriale di Edward Yoing, passando per Shakespeare, Schlegel, Herder, Schiller, Fichte e Goethe.

Novalis è un autore immenso, fondatore del romanticismo, al quale però nelle antologie scolastiche di mezz’Europa ancora si continua a concedere poco spazio.

Quando in ore di tormentosa angoscia

il nostro cuore quasi si arrende,

quando sopraffatto dal male

il nostro intimo è roso dall’ansia

pensiamo ai nostri fedeli amati,

come miseria e cure li opprimano;

nubi limitano la nostra vista,

raggio di speranza non le passa:

Allora Dio si china su di noi,

il suo amore ci si avvicina,

allora desideriamo quell’altrove

in cui un angelo è accanto a noi,

reca il calice della vita giovane,

ci mormora conforto e coraggio;

e non invano allora imploriamo

pace per i nostri cari[9].

In Novalis il male incombe sempre dietro l’angolo, l’uomo è perseguitato costantemente da esso, che spesso all’ansia si accompagna. Il male non colpisce mai il singolo uomo, ma ingloba tutto il suo universo, i suoi affetti e i suoi cari. Le uniche figure salvifiche in un mondo luciferino sono Dio e la Madonna. La concezione luciferina di Novalis spesso si mischia a magia e occultismo. Qui troviamo un evidente richiamo al Graal, «calice della vita giovane»[10], nella concezione dei trovatori provenzali[11]. È proprio in questo periodo che in Germania si radicalizzerà il mito del Graal.

In Novalis anche l’immaginazione e l’immaginifico permeano profondamente il suo poetare. L’immaginazione di Novalis è quella intesa fichteanamente, dove finito e infinito si compenetrano. Essa produce magicamente una sintesi finzionale, rappresentativa, indugiando nel conflitto, oscillando tra gli estremi e cogliendone sempre un sunto. Essa è l’unica a vedere realmente l’unità originale della coscienza, cioè l’Io.

Novalis fu tutto questo: magia, occultismo, profondo credo e innovazione filosofica. Novalis fu il romanticismo.


[1] Per la biografia di Novalis si veda: G. Fontana, Novalis, Venezia, Marsilio, 2008.

[2] Carl Christian Erhard Schmidt è uno dei primi divulgatori della filosofia kantiana.Nel 1778 si immatricola a Jena, dove studia teologia e poi anche filosofia (con Johann August Heinrich Ulrich, un filosofo molto interessato alla filosofia kantiana). Nel 1781 è precettore presso la casa del padre di Friedrich von Hardenberg, in arte Novalis. Nel 1782 è Hausmeister a Schauberg e nel 1784 ottiene l’abilitazione (Magister) anche in filosofia, titolo grazie al quale può insegnare all’università di Jena. Nel 1785 tiene per primo lezioni sulla Kritik der reinen Vernunft. Proprio come ausilio per i suoi studenti nel 1786, pubblica un commentario di questa opera cui aggiunge un breve glossario, che, ampliato, costituirà il dizionario kantiano. Dal 1785 collabora con Christian Gottfried Schütz alla «Allgemeine Literatur-Zeitung» una rivista pubblicata a Jena che contribuì fortemente a diffondere il pensiero di Kant. A Jena è in contatto con molti esponenti del romanticismo, ma anche con Schiller e Goethe. Nel 1787 è nominato vicario e ordinato sacerdote a Wenigenjena, paese in cui suo padre è parroco dal 1777. Il 22 febbraio 1790 celebra le nozze tra Friedrich Schiller e Charlotte von Lengfeld. Nel 1791 è, a trent’anni, professore di logica e metafisica a Gießen. Nel 1793 torna a Jena sempre come professore di filosofia e, nel 1798, diventa professore anche di teologia.

[3] Per la biografia di Schiller si veda B. Von Wiese, Friedrich Schiller, Stuttgart, Metzler, 1959.

[4] Johann Gottlieb Fichte (Rammenau, 19 maggio 1762 – Berlino, 27 gennaio 1814) è stato un filosofo tedesco, continuatore del pensiero di Kant e iniziatore dell’idealismo tedesco. Le sue opere più famose sono la Dottrina della scienza, e i Discorsi alla nazione tedesca, nei quali sosteneva la superiorità culturale del popolo tedesco incitandolo a combattere contro Napoleone.

[5] M. Freschi, Mito e utopia nel Romanticismo tedesco, in Atti del Seminario Internazionale sul Romanticismo tedesco, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1984.

[6] Novalis, Inni alla notte, Canti spirituali, Traduzione a cura di Susanna Muti, Milano, Feltrinelli, 2012.

[7] Novalis, Inni alla, cit., pp. 71-72.

[8] Novalis, Inni alla, cit., p. 147.

[9] Ivi, p. 141.

[10] Novalis, Inni alla, cit., p. 141.

[11] Durante i secoli centrali del Basso Medioevo (1100–1230), il trovatore (o trovadore o trobadore – al femminile trovatrice o trovatora o trovadora – in occitano trobador pronuncia occitana: era un compositore ed esecutore di poesia lirica occitana (ovvero di testi poetici e melodie) che utilizzava la lingua d’oc, parlata, in differenti varietà regionali, in quasi tutta la Francia a sud della Loira. I trovatori non utilizzavano il latino, lingua degli ecclesiastici, ma usavano nella scrittura l’occitano. Indubbiamente, l’innovazione di scrivere in volgare fu operata per la prima volta proprio dai trovatori, supposizione, questa, da inserire nell’ambiente di fervore indipendentistico locale e nazionalistico (vedi età dei Comuni, nascita delle Università, eresie e autarchie cristiane).

Riccardo Renzi

Piero Saguatti

3 Maggio 2023 by

 

 

“C’erano campi immensi di grano in cui perdersi, le cui spighe gareggiavano in doratura coi raggi del sole e in altezza con noi bambini. C’erano stagioni estive che pareva durassero tutto l’anno, cariche di emozioni, sia all’interno dei cortili che in villeggiatura, nei vicini luoghi collinari o marittimi. L’amicizia era come un tatuaggio colorato, un’esigenza fisiologica che richiedeva illimitata disponibilità verso i compagni di gioco e dettava i ritmi ludici dei giorni, da trascorrere ostinatamente all’aperto. Ma quel periodo a cavallo degli anni ’60 e dei ’70 non era solo il nostro tempo speciale, fu tale anche per gli avvenimenti storico-culturali che contraddistinsero quella fase per un’intera società.”

 

Lo spigolo del senso (l’angolo del castigo)

 

Lo spigolo del senso

era contrapposto a quello del castigo

e ci trovavo dentro la libertà, la sfida

lo spirito del grido

nel dondolio

si passava dalla luce accesa

al buio, in un momento

la posizione presa

determinava l’emancipazione

o il fallimento.

 

 

Il bambino della porta accanto

 

Il bambino della porta accanto

vorrebbe farsi grande in fretta, cioè invecchiare

quello che faccio io da tempo

– ormai così lontano dal cortile –

è dimenticare quella scelta

    e ricordarmi di chiudere la porta, per non scappare.

 

 

(Da “Un bambino anni Sessanta”, Epika Edizioni, settembre 2022)

 

 

 Piero Saguatti (Bologna) classe ’63. Dopo una parentesi giovanile come cantautore, nella maturità scopre il fascino dei versi. La semplice curiosità per la poesia diventa sfida creativa trasformandosi piano piano in passione, che lo condurrà a partecipare ad alcuni fra i più prestigiosi concorsi poetici nazionali, ottenendo ottimi risultati. Uno di questi in particolare “Versi Congiurati” promosso nel 2017 da Fara Editore si concretizza nel libro di poesie “Il peso degli istanti”. L’espressione musicale resta una compagna fedele per l’autore fin dall’adolescenza, mentre la poesia si conferma l’irrefrenabile voce interna più matura, vera e propria devozione alla magia della parola.

 

È il suono che lega tutto assieme e ciò vale esplicitamente sia per i testi musicati delle canzoni, che in poesia in maniera più velata e sorprendente con i versi. La chitarra dunque resta compagna fedele dell’autore sin dalla adolescenza, mentre la poesia si conferma l’irrefrenabile voce interna più matura, vera e propria devozione alla magia della parola.