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Guido Seveli

19 aprile 2024

Guido Seveli

da L’Osservatore di pietra
(gennaio 2024 Giawadagi Edizioni)

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Negli armadi dei morti viventi
c’è un sentore di canfora
i vetri fanno l’occhiolino ai muri
attaccapanni dietro porte chiuse
più sudari che vesti
addobbi a crisantemi e calle
nei cassetti di marmo

il vulcano s’accese e spinse un vento
carico di fuliggine
sulla scala d’ingresso dell’inferno
a scuola si studiavano teoremi
inutili ai lavori forzati
la vita ne tremava fino all’osso

e non s’udiva un grido

*
Tempi d’accidia
di dentature senza labbra
mandibole cadenti
metallo nelle carie
dalle macerie i gatti
scappano come lepri
cigolando di code e campanelli
ma nessuno li ode

la sordità assoluta
fa bene a chi digrigna decisioni
lontano dagli schermi
aquile mute affondano gli artigli
sui pulcini del ghetto
le chiocce in lutto stanno sulle soglie
ad aspettare uova di ritorno
fosse pure nel sangue e nella polvere

*
Stanno sbiancati a luce
pali da strade subumane
nella futilità degli eroismi
con eloquenza imbonitrice
lontani dalle case, dai rigori
straripanti dei tombini
precettati da giudici destrorsi
in aule magne. Si commina il tempo
a chi si sa che non l’avrà
per mancate indulgenze
plenarie o parziali
il nulla ha di speciale che non conta
né vivi, né morti

*
È pietra la paura
l’affondo che trattiene nella melma
dove l’oro non luce
dove l’opacità del ferro ha suoni striduli
nelle gabbie toraciche.
Un processo si svolge all’incontrario
le vittime all’ergastolo
i carnefici al foro degli applausi

è la resa dell’anima
si vedono gli arpioni farsi strada
nel petto dei dannati.
I giudici sul fondo della gabbia
aspettano che gli ultimi assassini
battano il martelletto
dalla corte dei vili

si respira l’afrore della guerra
tra gli spettri giurati
correi di mafiosi e di avvocati

*
di segreti e di nebbie
spenti gli occhi, chiusure a cateratte
uomini adunchi, anaffettivi,
spiluccano cervelli
gli uomini che li hanno assecondati
sono peggio di loro
macigni nella notte ch’è calata.
Dormono le foreste degli ignavi
I pochi delle veglie stanno all’erta
sperando nell’ossigeno di un urlo
che scuota il piano dei rapaci
che strappi via il sudario da quei volti
legiferanti morte

ma sotto quei lenzuoli
c’è il livido del nulla. I loro passi non
fanno rumore. Hanno cuori di gomma
ghermiscono chi dorme in abulia
dopo aver dato loro lustro e seggi

*
Nel porto dei naufragi
incatramato, immobile tra i pesci
sono l’uomo seduto alla banchina
di un molo senza bitte
sono l’uomo che vede.

Ero un ardito dicitore
ma ho perso la mia voce
sono l’ombra incapace di portare
in salvo vele, tranciare le catene.

Le navi da diporto
galleggiano su plastiche e rifiuti
ma i crocieristi stanno sulla tolda
a festeggiare inganni
viaggi esotici
sordi alle grida, ciechi alle bordate

Questo è il porto da dove non si parte
ma si proietta un film di mare azzurro
sul telone dei morti

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Guido Seveli è nato a Genova, dove vive dopo essere stato per lungo tempo un capitano di navi da crociera.
Ha pubblicato questa raccolta quando, come si suol dire, ha tirato i remi in barca.
Ma la terraferma ha acuito il suo sguardo, e il vecchio lupo di mare che nelle lunghe veglie amava guardare dall’oblò le onde e le stelle, adesso traccia con le sue parole altre rotte, in cui la realtà del mondo appare nel disastro che tutta l’umanità sta vivendo, che si sia colpevoli o innocenti, nel comune destino.